Road to NBA Draft 2019: Romeo Langford

Squadra: Indiana (Freshman)

Ruolo: Combo Guard 

2018-2018 Stats Per Game: 

Pts  TotRebs DefRebs OffRebs Asts Stls Blks FG% 3pt
FG%
Ft%
16.5 5.4 4.0 1.4 2.3 0.8 0.8 44.8 27.2 72.2

2018-2019 Advanced: 

Ast% Reb% OffReb% DefReb% TO% Usg% Blk% eFG% TS%
14.2 8.9 4.8 12.8 12.2 26.1 2.7 49.1 54.2

Lo Stato dell’Indiana è da sempre emblema di una pallacanestro pura, viscerale, simbolo di un’epoca in cui i fondamentali del Gioco erano venerati come déi. In questo tipo di contesto è nato e cresciuto Romeo Langford, freshman in uscita dall’università cestisticamente più importante del suo territorio. Il suo caso però è abbastanza particolare. Trattasi, infatti, di un figlio dell’Indiana abbastanza “atipico”. Basta aprire un suo video di highlights a caso e prendere atto di quanto il suo gioco si basi, in primis, su istinto e fisicità.
I suoi Hoosiers quest’anno non sono stati protagonisti di una stagione esaltante, a causa soprattutto dei troppi infortuni che hanno decimato il roster sul più bello; il record di 12-2 con cui hanno cominciato la prima settimana di gennaio, si è trasformato in un negativo 13-14. Nonostante questa vistosa débacle di squadra, Langford ha continuato a macinare gioco, provando a prendersi sulle spalle i propri compagni e a condurli verso traguardi ormai insperati. Tentativo, purtroppo, fallito. La stagione degli uomini in rosso si è conclusa anzitempo (in data 14 marzo contro Ohio State, al secondo turno del torneo della Big Ten), non offrendo agli sceneggiatori della pallacanestro collegiale nessuna favola da tramandare ai posteri.
A dispetto di alcune marcate criticità, la stagione di Langford è tutta lì da vedere; stiamo parlando di un freshman dall’enorme potenziale, capace di lasciare la propria impronta in un College prestigioso qual è quello di Indiana. Le statistiche sono lì a dimostrarlo. Pochi altri freshman sono stati capaci di impattare a quel modo sin dal day-one della loro carriera collegiale. 

Punti di forza

La miglior qualità offensiva di Langford? Senza ombra di dubbio, l’aggressività e la capacità (e voglia) di attaccare costantemente il ferro. A tal proposito, non si può non menzionare il suo telaio fisico di primissimo livello: stiamo parlando di una guardia di 198 cm, con un’apertura alare prossima ai 213 cm. Uno sproposito, persino tra gli alieni del mondo NBA. Nel corso della stagione ha dimostrato di saper assorbire i contatti contro qualsiasi tipo di avversario, esterno o lungo che fosse, senza mai perdere in intensità ed efficacia.

Quando parlo di aggressività nelle penetrazioni e di capacità di assorbire i contatti, mi riferisco a questo

EHI, ma quello lì in difesa è Zion Williamson!

A supporto di un istinto innato per l’aggressione al ferro, è dotato anche di un decision making inconsueto per un giocatore così acerbo e con un atletismo di tal sorta. Questo sin dai tempi dell’high-school, quando dominava in lungo e in largo contro i suoi coetanei, gestendo ogni singolo possesso offensivo; in quel contesto, è parso a proprio agio anche come facilitatore, riuscendo, spesso e volentieri, a mettere in ritmo anche i suoi compagni meno talentuosi. In che modo? Soprattutto sfruttando le linee di penetrazione concesse dalla difesa e scaricando per il compagno meglio appostato sul perimetro, o nei pressi del ferro.

Qui attira volontariamente il raddoppio in area su di lui, al fine di creare spazio per i compagni sul perimetro: well done!

 

Ancora una volta, decision making di alto livello e capacità di portare a spasso le difese avversarie a proprio piacimento

La sua capacità di tenere sempre la testa alta e di mantenere il controllo del corpo, pur viaggiando a velocità supersoniche, è davvero degna di nota, e gli è tornata parecchio utile anche nel guadagnarsi dei preziosi viaggi in lunetta nei momenti topici delle partite; i viaggi medi in lunetta sono stati 6, numero che non va assolutamente sottovalutato. La capacità di racimolare punti ai tiri liberi può aiutare un giocatore dagli istinti offensivi a rimanere in partita, nel caso si trovi in una giornata no al tiro (e potrebbe essere il caso di Langford, come vedremo più avanti): DeRozan e Harden insegnano.
Le situazioni in cui si trova al massimo del proprio agio, come si può facilmente desumere, sono quelle di transizione offensiva. Con la palla tra le mani, è abilissimo nel condurre l’attacco con il giusto mix di aggressività e controllo; senza palla, è in grado di occupare i corridoi giusti e farsi trovare sempre in posizione perfetta per la ricezione.
In conclusione, per quanto riguarda la metà campo offensiva, non si può non fare cenno alla sua grande abilità nel raccogliere rimbalzi. I suoi 5 rimbalzi di media, rapportati al ruolo, sono un plus enorme, soprattutto quelli nell’area avversaria (1.4 di media in stagione). Un altro modo di rendersi utile offensivamente in serate difficili a livello di percentuali.
Per quanto riguarda la propria metà campo, Langford non ha quasi mai sfigurato, rendendosi utile in tanti modi. La sua wingspan mostruosa, la rapidità laterale e la forza fisica sono tutti elementi che potrebbero renderlo, potenzialmente, un difensore d’élite anche tra i pro.

Qui, ad esempio, pare essersela cavata discretamente bene su un certo RJ Barrett

Punti deboli

Addentrandosi nel dark side del suo gioco, la prima criticità a cui si va incontro è la sua scarsa propensione al tiro da tre punti. Al netto di 4 tentativi a gara, la misera percentuale del 27% in stagione non può e non deve essere ripetuta anche a livello NBA; il rischio di diventare un giocatore “demodé”, di portarsi sempre dietro l’etichetta di “what if”, è enorme. La meccanica non è sicuramente delle migliori, ma la mano non sembra neanche essere così malvagia. L’ha dimostrato in più di un occasione di poter avere un tocco morbido, sia quando si è trovato a tirare dal mid-range che quando si è dovuto inventare dei floaters in penetrazione. Anche il fatto che abbia tentato ben 4 triple a gara può essere di conforto: la caparbietà e la fiducia nei propri mezzi, c’è tutta. Bisogna, però, lavorare costantemente in palestra con gli allenatori specializzati, trovare una migliore continuità a livello di meccanica e una maggior fluidità di rilascio (che parte troppo da dietro la testa). In aggiunta, c’è da segnalare anche la sua sofferenza dalla linea della carità, dove ha racimolato un 72% non proprio esaltante. Anche qui, il duro lavoro potrà pagare i propri dividendi.
Altra problematica è legata ad una mentalità non sempre da “duro”. Troppo spesso lo si è visto deprimersi ed assumere un atteggiamento arrendevole in campo, peccando a livello di leadership emotiva con i propri compagni. Tale sua emotività la si è potuta riscontrare anche a livello difensivo, dove, talvolta, ha difettato a livello di aiuti difensivi e di prontezza di riflessi nelle deflections (0.8 rubate di media sono davvero una miseria, per uno dotato di 213 cm di apertura alare).
Le sue difficoltà offensive al tiro, di sicuro sono un fattore fondamentale da ricollegare alla sua “altalena umorale”. Le continue sfide a cui è stato sottoposto dalle difese avversarie l’ha portato, in qualche occasione, a perdere il controllo, e a forzare penetrazioni anche laddove non ci fosse lo spazio necessario. Tutto questo, facendo leva sulla sua mano forte (la destra), e dimenticandosi di attaccare anche con la sinistra; questo, di conseguenza, l’ha portato ad essere troppo prevedibile. Contro l’organizzazione difensiva dell’universo NBA, questo tipo di “leggerezze” risulterebbero fatali. C’è, dunque, da lavorare sul ball-handling in generale, e specificamente sulla sua mano debole.

In questo video, tutto il meglio e il peggio della sua stagione collegiale:

Upside

Seppur grezza, la materia prima sembra essere parecchio interessante e futuribile. Limando i suoi difetti più marcati, potrebbe arrivare a diventare un all-around player che tanto piace alle franchigie NBA di oggi, e tanto bene si sposa con lo stile di gioco attuale. Fatta eccezione per pochi dei suoi pariruolo tra i pro, sono in poche le guardie che possono vantare una struttura fisica di quel tipo. Urge abbinargli una maggiore maturità cestistica ed una durezza mentale più costante. Deve, insomma, prendere maggior consapevolezza di quello che è il suo potenziale, e di quelle che sono le sue skills. Insisitere su punti forti quali la versatilità difensiva, la tenacia a rimbalzo offensivo e l’altruismo potrebbe consentirgli di avere sin da subito un ruolo di rilievo per la franchigia che sceglierà di buttare la propria fiche su di lui.
Nella migliore delle ipotesi, potremmo trovarci di fronte ad una point-forward saldamente titolare in una squadra con ambizioni elevate.

Draft projection

Al momento, i maggiori mock draft situano il nome di Romeo Langford a ridosso della Lottery. Potrebbe, dunque, finire un po’ ovunque, a partire dalla scelta numero 15; detentori di quest’ultima scelta sono i Detroit Pistons, squadra disperatamente alla ricerca di esterni di talento da affiancare alle twin-towers Griffin-Drummond. Scegliere un freshman dotato di quel tipo di feeling per il gioco, potrebbe rivelarsi una scelta a dir poco azzeccata, viste anche le poche pressioni legate ad una chiamata non troppo alta. Una win-to-win situation, insomma, per la franchigia del Michigan. Se dovessi espormi, quindi, propenderei per loro.
Il Draft NBA, si sa, è spesso teatro di incredibili stravolgimenti e scelte incomprensibili (Ciccio Bennett, ti vogliamo bene), e chissà che durante la serata del 20 giugno il nome di Langford non possa volare al di sopra delle modeste aspettative.

 

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Pubblicato da
Cataldo Martinelli

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