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Il Pagellone del Mercato NBA 2019: posizioni 24-19

Continua la nostra scalata verso la vetta del Mercato NBA 2019. Chi ha assaporato la gloria solo pochi mesi fa si trova in una posizione inedita e non mancano le sorprese, tra sonore bocciature e voti di incoraggiamento.

24 • TORONTO RAPTORS, Voto: 5,1

di Carmine Borgia

Nulla è scontato nella NBA e ciò che è accaduto sul finire della scorsa stagione lo conferma. The Queen City si è addormentata su di un abbondante e comodo cuscino: il Larry O’Brien Trophy. D’altronde, a volte, l’esito sorprendente di un evento particolarmente significativo può letteralmente immobilizzare una franchigia, come è accaduto in questa sessione di mercato ai Toronto Raptors. I canadesi hanno fatto la storia: il titolo non era mai giunto in Ontario dove neppure i più ottimisti, ad inizio stagione, potevano presagire ciò che sarebbe poi avvenuto qualche mese più tardi. I Raptors, però, hanno dovuto subire, inermi, pesanti perdite durante questa sanguinosa free agency.

Sebbene la scommessa di Ujiri su Kawhi Leonard di un anno fa, che aveva visto sacrificare quel DeMar Derozan volto della franchigia, fosse una mossa aperta a ogni epilogo, è innegabile che la conquista dell’anello avesse aumentato vertiginosamente le convinzioni di gran parte dei tifosi canadesi sulla possibile rifirma di The Klaw. Così però non è stato e la scelta di andare ai Clippers è diventata realtà dopo una lunga e snervante riflessione. La volontà dei dirigenti di Toronto nulla ha potuto nei confronti dell’MVP delle Finals che ha deciso di tornare a casa, da nativo della California, portando con sé Paul George. Si era parlato anche della possibilità, che sarebbe stata declinata proprio dai Raptors, di vedere i due insieme in Ontario con Oklahoma City che avrebbe chiesto in cambio Pascal Siakam, Fred VanVleet e delle scelte. Tutto ciò non toglie meriti a quanto fatto dal General Manager ex Nuggets nella passata stagione.
L’enigmatica dinamica con cui si è concretizzata la decisione di Kawhi ha però giocato a sfavore di Toronto che si è trovata senza due dei propri titolari — Kawhi e Green, che aveva scelto di attendere la sua decisione — quando ormai il resto della lega aveva già effettuato le proprie mosse.
E allora la linea da seguire è stata quasi obbligata: ripartire dai giovani e dai veterani che hanno contribuito in maniera decisiva al successo. Una scelta che si traduce nella volontà di blindare Siakam e dare al ragazzo camerunense un ruolo ancor più preminente, essere pronti a riconoscere anche contrattualmente i propri meriti a VanVleet nella prossima estate e ripartire anche da Lowry, il cui contratto è in scadenza. È chiaro che le mancate firme di quello che probabilmente è il miglior giocatore “integro” in circolazione e del letale Danny Green, anche lui arrivato nell’ultimo anno del suo contratto dagli Spurs, hanno inficiato in maniera evidente sul giudizio, che non può che tradursi in un voto negativo per la compagine dei Raptors. Positiva e con logica la mossa di firmare per un anno Rondae Hollis-Jefferson che arriva numericamente a riempire quel vuoto nel ruolo di ala della squadra di Nick Nurse. L’ex Nets è un giocatore solido, abile sia in attacco che in difesa: un’energica presa nel ruolo di PF che entrerà nelle rotazioni ed avrà minuti per dimostrare di essere un atleta puro, capace di dare il proprio apporto alla causa, cercando di lavorare maggiormente su di una meccanica di tiro ancora deficitaria.

La player option di Marc Gasol, invece, è stata una scelta abbastanza scontata visto i 25.6 milioni che, a 35 primavere da compiere il prossimo gennaio, sono risultati un incentivo tutto sommato interessante per il centro spagnolo. Si alternerà con il connazionale Ibaka che, malgrado qualche indiscrezione che lo voleva lontano dal Canada, non sembra intenzionato a lasciare Scariolo e tutta Toronto in quello che è il suo ultimo anno di contratto.
Nuovo accordo anche per McCaw, che ha firma per altri due anni con la speranza di ottenere più presenze in campo. Triennale invece l’operazione conclusa con Matt Thomas, un tiratore che giocherà la sua prima stagione in NBA dopo l’esperienza in Europa ed il cui approccio alla lega è ovviamente tutto da testare. Un altro giocatore che sarà fondamentale nelle rotazioni è OG Anunoby. All’inglese di origini nigeriane sarà chiesto un ulteriore step e l’aumento delle percentuali realizzative è un upgrade che OG è chiamato a rispettare. Si giocherà probabilmente il posto, partendo nettamente favorito, con il nuovo acquisto Stanley Johnson, anch’egli giovane e molto atletico arrivato da Nola. Al draft invece la scelta è ricaduta su Dewan Hernandez, 59esima scelta, un ragazzo che si porta dietro tutte le incognite del caso.
Insomma, un’estate all’insegna delle mosse d’emergenza per i Raptors: il 5.1 in pagella era, per certi versi, inevitabile. I tifosi dei Raptors però, sono pronti ad una lenta e, pur sempre, “felice” ricostruzione.

23 • MINNESOTA TIMBERWOLVES, Voto: 5,2

di Federico Ameli

A Minneapolis il tempo sembra essersi fermato. Passano, almeno apparentemente, gli anni, e puntualmente i Timberwolves si ritrovano al punto di partenza del loro viaggio verso un futuro migliore.

Che l’etichetta di “nuovo LeBron” stia piuttosto larga ad Andrew Wiggins è un concetto che ha ormai fatto breccia persino nei cuori dei suoi sostenitori più accaniti. Inoltre, i limiti caratteriali mai limati hanno fatto sì che negli ultimi anni il pur fenomenale Karl-Anthony Towns non sia mai riuscito a trascinare i suoi compagni oltre un primo turno dei Playoff in quattro anni. Se nemmeno Jimmy Butler, uno che nella vita di sfide ne ha vinte parecchie, è riuscito a dare la scossa a un ambiente che dà l’impressione di non disdegnare troppo la pericolosa spensieratezza tipica della mediocrità, è evidente come la situazione di Minnesota sia molto più grave del previsto. Saranno riusciti i nostri eroi a risollevarsi in questa free agency 2019? La ventitreesima posizione nella nostra classifica dovrebbe essere sufficiente per farsi una prima idea, ma ad ogni modo proviamo ad analizzare le mosse dei Timberwolves per vedere come il front office abbia tentato di risolvere una dei casi più intricati e spinosi della lega.

Nota di merito per il duo Gersson Rosas – Scott Layden per aver fatto trade up al Draft dello scorso 20 giugno ed essersi portati a casa Jarrett Culver, guardia/ala piccola in uscita da Texas Tech, in cambio dell’undicesima pick, con cui difficilmente i Timberwolves avrebbero potuto pescare un potenziale nuovo uomo franchigia, e di un Dario Saric per la cui partenza a Minneapolis non si staranno certo strappando i capelli. A poche ore dal Draft, Culver era indicato dagli addetti ai lavori come un potenziale prospetto da top-5: per gentile concessione dei Suns, l’arrivo in Minnesota del classe ’99 costituisce senza dubbio il momento più alto della non proprio esaltante estate dei Lupi. Culver è il classico giocatore in grado di offrire fin da subito il suo contributo, ma toccherà al coaching staff mettere il ragazzo nelle giuste condizioni per poter esprimere tutto il suo talento. A questo proposito, con Saric spedito in Arizona e in attesa di capire cosa fare sul fronte Wiggins, è probabile che tocchi a Robert Covington trascorrere diversi minuti da ala grande per lasciare spazio al prodotto di Texas Tech, su cui i Timberwolves ripongono buona parte delle loro speranze future. Dal Draft è arrivato anche Jaylen Nowell, altro esterno del ’99 che però, a differenza del suo compagno di reparto, almeno inizialmente rischia di dover sgomitare parecchio per trovare spazio nelle rotazioni di coach Ryan Saunders.

Analizzato il più che discreto lavoro fatto dal front office in sede di Draft, è tempo di passare alla nota dolente di questa estate targata T’wolves, ovvero la free agency.
E pensare che le premesse per scalare la nostra classifica c’erano tutte. In più di un’occasione, infatti, Minnesota è sembrata essere vicina a chiudere un colpo che avrebbe rilanciato le proprie ambizioni di vittoria e, contestualmente, l’immagine della franchigia. “Russell” era il filo conduttore dei sogni di mercato di Rosas e Layden: Westbrook e D’Angelo erano due obiettivi poco meno che dichiarati, ma sappiamo tutti com’è andata a finire. L’ormai ex leader dei Thunder è volato a Houston per ricongiungersi con l’amico James Harden, mentre i Timberwolves sono effettivamente entrati nella trade per D’Angelo Russell, ma dalla porta sul retro.
Mentre l’ex Nets veniva spedito alla corte di coach Kerr, a Minneapolis approdavano Shabazz Napier e Treveon Graham, non esattamente quello che i tifosi avevano osato sperare fino a qualche ora prima. Nel frattempo, Derrick Rose si è accordato con i Detroit Pistons per un biennale da 15 milioni di dollari complessivi, mentre qualche giorno più tardi il restricted free agent Tyus Jones ha raggiunto un accordo triennale con Memphis da ben 28 milioni, cifra che il front office dei Timberwolves, a buon diritto, ha scelto di non pareggiare. Con il cap intasato da contratti privi di ogni logica, primo fra tutti quello di Andrew Wiggins, i T’wolves non hanno potuto far altro che accontentarsi delle briciole lasciate dalle altre franchigie. Non si può certo dire che le firme di Noah Vonleh, che ha siglato un annuale da 2 milioni, e di Jordan Bell al minimo salariale siano state dispendiose e sconsiderate, ma è altresì vero che l’identikit dei due lunghi in questione non corrisponde neppure lontanamente a quello di un giocatore franchigia. Inoltre, con Jake Layman in uscita da Portland, Minnesota va indubbiamente a guadagnare profondità, ma pur sempre in un roster che anche quest’anno, a meno di ribaltoni, si conferma tristemente privo di qualsivoglia ambizione da postseason.

A questo punto è lecito chiedersi se abbia effettivamente senso insistere su un core che, per limiti tecnici e caratteriali, ha dimostrato di non poter competere agli alti livelli della Western Conference. Probabilmente no, ma c’è anche da dire che ad oggi gli asset di Minnesota sono ben lontani dall’essere i più ambiti sul mercato. Front office miope a non voler forzare la mano e rivoluzionare la squadra o situazione tecnica e salariale talmente complessa da non avere chance di tornare a riveder le stelle nell’immediato? Difficile rispondere a questa domanda. Quel che è certo è che, come abbiamo già avuto modo di vedere nei bassifondi della nostra classifica, i front office NBA sono soliti raccogliere ciò che è stato seminato nelle precedenti stagioni. Se per anni scelte tecniche discutibili, contratti rivedibili e faide interne allo spogliatoio sono state il pane quotidiano della franchigia, è chiaro che difficilmente il raccolto potrà poi essere di quelli indimenticabili. Morale della favola: mai offrire 62 milioni di dollari in 4 anni a Gorgui Dieng.

22 • DALLAS MAVERICKS, Voto: 5,6

di Cataldo Martinelli

Forti dell’esplosione del Wonderkid Luka Dončić, votato con merito Rookie of the Year per il 2018-19, i Dallas Mavericks si sono affacciati a questa pazza finestra di free agency con un pizzico di fiducia in più rispetto agli ultimi anni. La netta sensazione è che il percorso della franchigia presieduta da Mark Cuban sia in ascesa, grazie alla conclamata leadership tecnica del portento sloveno e al probabile rientro dal lungo stop dell’altro franchise player designato Kristaps Porziņģis . Potendo disporre di due talenti di tale calibro, diventa a dir poco fondamentale compiere delle scelte oculate in free agency, per far sì che il mosaico del supporting cast si completi in ogni suo tassello e permetta di competere per posizioni di vertice.
Nello specifico, come si è mossa la franchigia texana nell’arco di queste ultime  —folli— settimane?
La prima – più rilevante – mossa è stata dettata da una necessità impellente: trattenere il restricted free agent Porziņģis. Un giocatore con quei dati anagrafici abbinati a una fisicità unica nel suo genere (221 cm e piedi da ballerino) e a  quel bagaglio tecnico  non può che essere uno dei fari della rinascita Mavericks. Anche alla luce delle scelte future sacrificate nella trade di febbraio, Mark Cuban e soci hanno deciso di calare il proprio asso sul tavolo del gigante lettone, con l’offerta di un max contract  quinquennale da 158 milioni di dollari. L’assenza dai parquet NBA a causa del grave infortunio al crociato e  la sua storia recente costellata di altri acciacchi potrebbero far storcere il naso di fronte alle cifre monstre dell’accordo, ma l’all-in della franchigia texana appare più che condivisibile per una serie di ragioni. Se integro, Porziņģis è un giocatore capace di mettere assieme delle cifre da All-Star come 22.7 punti, 6.6 rimbalzi e 2.4 stoppate di media, con percentuali prossime al 40% da oltre l’arco e all’80% ai tiri liberi; senza dimenticare, peraltro, che si sta parlando di un atleta di soli 24 anni e con tutto il tempo per recuperare appieno dai recenti guai fisici.
La seconda mossa compiuta dal front office dei Mavs è legata sempre alla volontà di consolidare il proprio organico, con l’estensione da 33 milioni in 3 anni offerta a un giocatore di energia e dal sicuro rendimento come Dwight Powell.  Nell’arco dell’ultima stagione  il canadese ha rappresentato un punto di riferimento nel pitturato per coach Carlisle (sopperendo all’assenza di Porziņģis), soprattutto a livello difensivo. Le sue dignitose medie di 10.6 punti e 5.3 rimbalzi in 21.6 minuti medi di impiego testimoniano quanto sia stato importante il suo apporto in termini di energia e presenza mentale per la second-unit dei Mavs.
Il lavoro della dirigenza è proseguito con l’aggiunta di un rinforzo mirato a colmare una marcata lacuna tecnica. Pur essendosi affermata al secondo posto assoluto per frequenza di tiri da oltre l’arco (con il 42.2%, alle spalle dei soli Rockets), Dallas  ha chiuso infatti la regular season 2018/2019 come quartultima squadra per percentuale realizzativa, con un mediocre 34%. Sfogliando la margherita dei migliori tiratori disponibili sul mercato, il profilo identificato per contribuire da subito al miglioramento delle realizzazioni da oltre l’arco è stato quello di Seth Curry, che fa del tiro da tre punti la propria ragione di vita nella lega. Stiamo parlando di un giocatore capace di chiudere la scorsa stagione con il 45% da tre, alternando conclusioni dal palleggio a conclusioni in spot-up: musica per le orecchie di Luka Dončić, i cui laser pass in situazioni di pick-and-roll potrebbero finalmente avere un degno ricevitore. Il  giudizio complessivo su tale tipo di operazione, dunque, non può che essere positivo, anche alla luce dei termini contrattuali ($32 milioni di dollari in 4 anni). Sulla falsariga del rinnovo di Powell, è stata effettuata in seguito un’operazione molto simile, con i 35 milioni in 4 anni offerti al lungo tedesco Maxi Kleber, autore anch’egli di una solida stagione da gregario. Nello specifico, le sue statistiche parlano di 6.8 punti, 4.6 rimbalzi ed il 35.3% da tre punti, in 21.2 minuti medi trascorsi sul parquet. Tutto sommato, il suo contributo alla causa Mavs è stato di tutto rispetto: la sua capacità di aprire il campo, di passare il pallone discretamente e di lottare sotto le plance potrebbe tornare molto utile. Considerando anche la ricchezza di giocatori di frontcourt disponibili in free agency, qualche perplessità potrebbe sorgere solamente in relazione alle cifre spese su un giocatore di 27 anni  con risicati margini di miglioramento,
La conferma di JJ Barea sembra dettata più da un sentimento di riconoscenza che dall’effettivo valore attuale per la causa dei texani. In ogni caso, al di là del contratto annuale al minimo salariale,  l’operazione potrebbe avere anche un suo senso tecnico. Il portoricano è reduce dalla rottura del tendine d’Achille alla veneranda età di 35 anni e con un chilometraggio alle spalle piuttosto elevato. La speranza di coach Carlisle e del suo staff è che  Barea possa tornare almeno al 50% del proprio potenziale e  fungere un po’ da “chioccia” in un gruppo molto giovane. A distanza di pochi giorni, la società si è mossa verso un’ulteriore conferma di un giocatore già presente a roster: Dorian Finney-Smith. Le cifre dell’affare sono assolutamente buone (12 milioni per i prossimi 3 anni), se relazionate sia alla versatilità  del giocatore in questione sia al rendimento tenuto durante la scorsa stagione (7.5 punti e 4.8 rimbalzi in 24.5 minuti di media). Attorno a due  punte di diamante come Dončić e Porziņģis, la sua energia e la sua applicazione difensiva sono armi che qualsiasi squadra vorrebbe avere nel proprio arsenale. Finney-Smith, insomma, si candida al ruolo di difensore scelto per limitare, in svariati frangenti di partita, il miglior attaccante avversario.. In seguito, la franchigia texana si è mossa con la firma per 2 anni a 7 milioni complessivi di Boban Marjanović, in uscita dai Philadelphia 76ers. Le mani del giocatore sono ottime per il ruolo e il suo contributo offensivo in uscita dalla panchina potrebbe far comodo alla squadra allenata da coach Carlisle. I dubbi derivano più che altro dai suoi noti limiti difensivi in situazioni di pick-and-roll, difficoltà che lo rendono oltremodo vulnerabile. La sensazione è che la franchigia volesse più che altro aggiungere un centro di ruolo per far quadrare i conti a livello numerico. Se valutata in quest’ottica, è una firma che può avere il suo senso, considerando anche il carattere notoriamente amichevole del giocatore serbo e le sue doti da “uomo spogliatoio”.
L’ultima delle operazioni concluse in questa free agency è forse la più interessante, assieme a quella che ha portato all’aggiunta di Seth Curry. In tempi recenti, i Mavs hanno firmato Delon Wright a 29 milioni per i prossimi 3 anni, nell’ambito di una sign-and-trade con i Memphis Grizzlies (a cui sono andate due seconde scelte future). Il ventisettenne originario di Los Angeles è un giocatore capace di fare tantissime cose sul parquet e che porta un contributo in termini di playmaking, difesa perimetrale, rimbalzo, mid-range game e penetrazione. Pur non eccellendo in nulla, è il classico giocatore che ogni allenatore vorrebbe nella propria squadra, per la sua costanza, l’abnegazione  e l’intensità di ogni sua singola giocata. Le sue statistiche della stagione 2018/2019 parlano di 12.2 punti, 5.4 rimbalzi, 5.3 assist e 1.6 palle rubate a gara. Pur trattandosi di un giocatore con dei limiti a livello di tiro, che potrebbero causargli qualche problema,  la sua, a  giudizio di chi scrive, rimane una firma coerente rispetto al progetto dei Mavs.

In conclusione, appare chiaro come la franchigia di Cuban non sia stata protagonista sul mercato, ma sia andata più che altro a compiere manovre sotto traccia, aggiungendo giocatori solidi al supporting cast e confermando i gregari più produttivi. Alla luce anche della grande flessibilità salariale a disposizione, qualcosina in più la si sarebbe potuta fare. Cuban e soci, insomma, sono parsi troppo timidi sul mercato, in un’estate che avrebbe potuto rivelarsi decisiva per il loro futuro, alla luce soprattutto dell’esordio tra le proprie fila di Kristaps Porziņģis, di fianco al Rookie of the Year in carica.

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NbaReligion Team

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