15• BOSTON CELTICS, Voto: 6,2
di Cataldo Martinelli
In Massachussetts, gran parte di questa calda estate di free agency NBA è ruotata attorno alle decisioni di Kyrie Irving e Al Horford, i due leader tecnici del roster biancoverde. Nonostante le promesse d’amore paventate dinanzi a un TD Center gremito di tifosi, la point-guard ex campione NBA con i Cleveland Cavaliers ha deciso di fare le valigie e muoversi verso altri lidi, a causa di un rapporto mai davvero decollato con Danny Ainge, con i compagni di squadra e la città di Boston tutta. Consci della sua imminente partenza e di quella della sua riserva designata Terry Rozier — unrestricted free agent dopo il ritiro della qualyfing offer da parte di Boston —, gli organi dirigenziali biancoverdi si sono mossi in primis nell’ottica di colmare tale doppia lacuna nel ruolo di point-guard. Rispettando la filosofia dirigenziale sempre posta in risalto dal GM Danny Ainge del “prima l’uomo, poi l’atleta”, i Celtics hanno deciso di orientare i propri sforzi economici in direzione Charlotte, North Carolina. Ed è proprio con la franchigia presieduta da His Airness Michael Jordan che sono riusciti a definire la prima – grande – operazione di questo mercato 2019.
Nell’ambito di una sign-and-trade che ha portato Terry Rozier nella direzione opposta, infatti, Ainge è riuscito a ottenere la firma di una point-guard d’élite come Kemba Walker, con un max contract da 141 milioni di dollari in 4 anni. Probabilmente, il miglior colpo possibile, considerando proprio quelli che erano i parametri ricercati dalla dirigenza; una point-guard All-Star da 25.6 punti e 5.9 assist a partita non poteva che essere la prima scelta. Lo stesso Ainge, durante la conferenza di presentazione del giocatore, lo ha definito come il proprio “piano A” nell’ambito di questa free agency. La leadership emotiva (e non solo) del nativo di New York sembra proprio fare al caso dei biancoverdi, reduci da un’esperienza negativa da questo punto vista con il partente Kyrie Irving. A livello di fit con il resto dei componenti del roster, ci sarà sicuramente da lavorare, ma l’ingegno e la creatività di Brad Stevens lasciano ottimisti e portano a pensare che il matrimonio possa risultare felice.
Il secondo movimento di mercato di questa estate in casa Celtics è avvenuto nell’ottica del limitare i danni causati dalla perdita di un giocatore chiave come Al Horford. Un atleta dotato di quel QI cestistico e quell’esperienza sembrava pressoché impossibile da rimpiazzare degnamente, valutando quelle che erano le possibilità offerte dal mercato. La scelta, alla fine, è ricaduta sul turco Enes Kanter, firmato alla modica cifra di 10 milioni in 2 anni. Quest’ultimo, probabilmente, sarà in grado di ricucire la ferita lasciata da Al Horford quanto meno a livello di possibilità offensive; anzi, da questo punto di vista, potrebbe rappresentare addirittura un upgrade, considerata la maggior freschezza atletica ed il bagaglio — probabilmente superiore — di skills nei pressi dell’area. Anche a livello di qualità da bloccante e rollante, il centro turco potrebbe rivelarsi un giocatore assolutamente produttivo nel sistema di Brad Stevens, alla luce dell’abilità mostrata nel sigillare l’avversario contro il proprio corpo e nel coprire vaste porzioni di campo in breve tempo, grazie ad una sorprendente rapidità di piedi per il ruolo. Il suo pick-and-roll con Kemba Walker, con ogni probabilità, potrebbe rivelarsi uno dei più letali dell’intera Lega. Anche a livello di istinti da passatore, Kanter sembra aver fatto enormi passi in avanti negli ultimi anni, in particolare nella scorsa stagione in maglia Blazers, quando ha visto crescere esponenzialmente il proprio minutaggio dopo l’infortunio di Nurkic.
Di contro, il vero gap rispetto al suo predecessore dominicano lo si dovrebbe riscontrare nella metà campo difensiva, dove il turco è sembrato troppo spesso pigro e rinunciatario negli aiuti e negli scivolamenti in situazioni di contenimento del pick-and-roll. Da questo punto di vista, Brad Stevens e i suoi assistenti avranno parecchio lavoro da fare per riuscire a oscurare questi suoi difetti. Nel complesso, Danny Ainge ha concluso un’operazione da 6 (forse qualcosina in più) in pagella, prendendo un miglior rimbalzista e un giocatore con più punti nelle mani a una cifra irrisoria, pur perdendo tanto da un punto di vista difensivo e di leadership.
Alle stesse identiche cifre di Kanter (10 milioni in 2 anni), è arrivata in seguito la firma di Daniel Theis, giocatore apprezzatissimo dal coaching staff per la sua versatilità su entrambe le metà campo e per la sua capacità di trasmettere grande energia alla squadra in uscita dalla panchina. Nell’arco della prossima stagione il minutaggio del tedesco potrebbe crescere rispetto ai 13′ medi di impiego dell’anno scorso, vista anche la partenza della power-forward titolare Marcus Morris. Theis, infatti, è giocatore capace di agire sia da power-forward in un quintetto più robusto fisicamente, pur garantendo una certa dose di pericolosità perimetrale, sia capace di giocare da centro sottodimensionato in quintetti più rapidi, lottando incessantemente sotto i tabelloni. Nel complesso è un’operazione funzionale al mantenimento di una second-unit di buon livello. Sempre a tal proposito, è arrivata la firma per un anno al minimo salariale di Brad Wanamaker, point-guard già a roster lo scorso anno con un minutaggio medio di 10 minuti a gara. Nella stagione 2018/2019 il suo ruolo sembrava limitato a quello di “tappabuchi” in caso di infortunio di Irving e Rozier, avanti nelle gerarchie di squadra, ma quest’anno potrebbe avanzare la propria candidatura al ruolo di vice-Walker, almeno nel primo periodo; nella sua posizione, infatti, sono arrivati due giocatori inesperti dall’ultimo Draft NBA (Carsen Edwards e Tremont Waters). Altra firma che, tutto sommato, potrebbe avere una qual certa utilità nel progetto tecnico complessivo. Sempre con uno sguardo ai rookie, da seguire con particolare attenzione il percorso di Romeo Langford, freshman ex Indiana Hoosiers.
Altro giocatore arrivato per rimpolpare il core della second-unit è Vincent Poirier, centro dotato di grande mobilità e atletismo, in uscita dal Baskonia. La sua firma al minimo salariale per una sola stagione potrebbe rivelarsi una mossa vincente da parte di Danny Ainge. In un frontcourt carente a livello di intimidazione difensiva nella propria area (fatta eccezione forse per l’incognita Robert Williams III), un atleta come Poirier, dotato di grande prorompenza atletica e di tenacia difensiva, potrebbe costituire una valida alternativa al più talentuoso Enes Kanter. Fidandoci del fiuto in materia di mercato della coppia Ainge-Stevens, si potrebbe andare incontro ad un’operazione da low risk high reward, come dicono dall’altra parte dell’oceano.
Tracciando un bilancio della free agency dei Boston Celtics non si può non marcare un fattore fondamentale: le perdite, probabilmente, sono state così ingenti e dolorose da rendere quasi impossibile una degna compensazione. Dire addio a tre giocatori del proprio quintetto titolare come Irving, Morris e Horford — e rimpiazzarli con i soli Walker e Kanter — non può che costituire un downgrade. Se quanto meno Walker potrebbe costituire un lieve miglioramento rispetto a Irving per un discorso di chimica di squadra, la partenza dei due titolari del frontcourt dello scorso anno potrebbe costituire una ferita non arginabile. Per quanto riguarda Horford, si è provato a limitare i danni con la firma di un centro più fresco atleticamente e offensivamente come Kanter, ma con Morris non si è riusciti a trovare un valido sostituito, almeno sulla carta. La speranza della dirigenza biancoverde è che il rookie undersize Grant Williams possa portare da subito un buon contributo, con il suo enorme QI cestistico e la sua lunga esperienza collegiale. Le alternative nel ruolo non mancano: Semi Ojeleye, Gordon Hayward o Jayson Tatum adattati, Daniel Theis. Ognuno di loro ha dei chiari difetti da circoletto rosso (Ojeleye e Theis poco talento offensivo, Hayward e Tatum poca fisicità, Grant Williams nessuna esperienza a livello NBA), e tuttora si fatica a capire quale potrebbe essere il giocatore designato per partire in quintetto in quel ruolo.
Per il resto, come detto, si è andati per lo più a limitare i danni e a cercare giocatori funzionali che potessero allungare il roster, viste le numerosissime partenze.
Un mercato che, a nostro parere, merita poco più della sufficienza in pagella, se non altro per la firma di un All-Star come Kemba Walker, che sin dalle sue prime battute in maglia Celtics sembra aver restituito grande entusiasmo ad un ambiente bisognoso di una scossa dopo le difficoltà della stagione appena conclusa.
14 • MEMPHIS GRIZZLIES, Voto: 6,3
di Federico Ameli
Ripartire da zero non è mai bello e l’NBA non fa eccezione, ma riuscire a farlo con criterio e organizzazione è il primo passo verso il successo. Stando a quanto visto finora, sembra essere questo il caso dei Memphis Grizzlies, che dopo un decennio di onorato Grit & Grind si sono rassegnati ad adeguarsi ai dettami tattici della pallacanestro moderna, muovendosi discretamente sul mercato nonostante una situazione tecnica e salariale non certo invidiabile.
Se gli addii di Zach Randolph prima e Marc Gasol non fossero bastati per intuire che a Memphis non ci fosse più posto per ogni forma di nostalgia o romanticismo, la trade che ha coinvolto Mike Conley ha spazzato via definitivamente ogni dubbio. La cessione dell’ex leader della squadra ai Jazz sancisce la fine di un’era cestistica fatta di sudore, lavoro sporco, difesa e tanta intensità. L’ultimo baluardo del Grit & Grind, sacrificato sull’altare del rebuilding, ha portato in dote Jae Crowder, Grayson Allen, Kyle Korver, una prima scelta al Draft 2019 e un’altra prima scelta futura, un pacchetto tutto sommato accettabile in cambio di un giocatore dall’infortunio facile e dalla carta d’identità incompatibile con un progetto tecnico che punta dichiaratamente allo sviluppo dei giovani.
Mentre i Jazz si assicuravano il compagno ideale per Donovan Mitchell, il front office dei Grizzlies pensava già ad individuare l’erede di Conley in cabina di regia. Forte della seconda scelta assoluta al Draft dello scorso 20 giugno, la dirigenza ha deciso di puntare sul mix di talento ed esplosività rappresentato da Ja Morant, point guard in uscita da Murray State nonché secondo miglior giocatore dell’intero lotto. Riuscire a portarsi a casa un prospetto del calibro di Morant equivale, a meno di colpi di scena, a garantirsi un prossimo futuro decisamente roseo. Se dal punto di vista fisico Morant appare già in grado di poter dire la sua al piano di sopra, tecnicamente è obiettivamente difficile trovare qualcosa che non vada nel prodotto di Murray State. L’aver giocato in un college non di prima fascia lo ha costretto al one-man show in quasi tutte le uscite stagionali dello scorso anno, ma, nonostante le grandi attenzioni riservategli dalle difese avversarie, Morant è stato il primo giocatore della storia della NCAA a far registrare almeno 20 punti – 24,5 nel suo caso – e 10 assist di media. Numeri pazzeschi per un ragazzo che ha lavorato duramente per limare i suoi difetti, come nel caso del tiro da 3, passato dal 30,7% fatto registrare nell’anno da rookie al 36,3% della scorsa stagione.
Quella di Morant non è stata però l’unica buona operazione dei Grizzlies al Draft. Con Brandon Clarke uscito fuori dalla lottery, Memphis ha ritenuto opportuno fare trade up con la scelta numero 23 da poco ottenuta nell’affaire Conley, girata ai Thunder per poter chiamare il prodotto di Gonzaga alla 21. Anche in questo caso, nonostante i soli 203 centimetri di altezza, pochi per un lungo degno di questo nome, siamo di fronte ad un atleta già decisamente sviluppato sul piano fisico, in grado di poter competere con gli altri lunghi NBA quantomeno nella propria metà campo.
Come abbiamo già avuto modo di vedere nella trade con gli Utah Jazz, il front office dei Grizzlies non si è certo fatto problemi a rivoluzionare il roster nel tentativo di regalare al neoassunto coach Taylor Jenkins una squadra giovane, talentuosa e futuribile. Talento a parte, per ovvi motivi Kyle Korver non può certo rappresentare il giocatore ideale da cui ripartire e in questo senso si spiega la trade che ha portato lui e Jevon Carter a vestire – metaforicamente parlando, dato che l’ex Hawks è già stato tagliato – la canotta dei Suns. A fare il percorso inverso, oltre a due seconde scelte future, sono stati Josh Jackson e De’Anthony Melton, due ragazzi che non hanno ancora sviluppato appieno le proprie potenzialità, ma che potrebbero trovare in Tennessee il contesto ideale per esplodere una volta per tutte. Chi invece non ha più nulla da dimostrare è Andre Igoudala, spedito senza troppi complimenti a Memphis insieme ad una prima scelta futura in cambio di Julian Washburn. Per Iggy vale lo stesso discorso fatto per Korver: è probabile che si arrivi a un buyout, ma essere riusciti a ottenere una prima scelta è già di per sé un’ottima notizia, esattamente come quelle che giungono dal fronte Chandler Parsons, che se ne va ad Atlanta in cambio di Miles Plumlee e Solomon Hill, entrambi in scadenza, proprio come il costosissimo ex Mavericks. Anche se — a meno di future cessioni dei due nuovi arrivi —ad oggi la trade con gli Hawks non ha liberato granché spazio salariale, la separazione Memphis-Parsons non potrà che giovare ad entrambe le parti in causa, uscite a dir poco malconce da uno dei peggiori accordi della storia recente.
Capitolo free agency: con il poco spazio salariale a disposizione e le peggiori intenzioni per quanto riguarda la competitività della squadra a breve termine, i tifosi dei Grizzlies non potevano certo attendersi i fuochi d’artificio in questo mercato estivo. Jonas Valanciunas, arrivato a Memphis nella seconda metà della scorsa stagione, è stato riconfermato con un triennale da $45 milioni di dollari, un buon accordo se si considera il valore del giocatore e soprattutto la scadenza del contratto. Molto meno condivisibile, invece, la scelta di dare 28 milioni in tre anni a Tyus Jones, un onesto comprimario che i Timberwolves hanno lasciato andare piuttosto a cuor leggero. È di qualche giorno fa, infine, la notizia della firma di Marko Guduric su un biennale da 5,3 milioni di dollari, una scommessa low cost per una franchigia che, nonostante le difficoltà, sembra aver iniziato con il piede giusto un processo di ricostruzione che potrebbe rivelarsi meno difficoltoso di quanto inizialmente previsto.
13• GOLDEN STATE WARRIORS, Voto: 6,3
di Cataldo Martinelli
Reduci dalla delusione della sconfitta nelle scorse NBA Finals, i Golden State Warriors hanno avuto a che fare, probabilmente, con l’estate più importante della loro storia recente, in ottica mercato. Agli inizi di luglio, ogni ragionamento del front office californiano è rimasto legato a doppio filo al destino, rispettivamente, di Kevin Durant e Klay Thompson, pietre angolari — assieme a Curry e Green — della squadra. La netta sensazione, da qualche mese a questa parte, è che si fosse rotto quell’incantesimo che teneva uniti così tanti pezzi pregiati in un sistema di incastri perfettamente complementari che aveva reso Golden State una macchina offensiva pressoché inarrestabile, senza dubbio tra le più forti di sempre. Il finale di stagione indirizzato dai gravi infortuni di Durant e Thompson ha definitivamente aperto il vaso di Pandora. Il primo dei due, a distanza di poche settimane, ha annunciato pubblicamente di aver scelto di firmare per i Brooklyn Nets; il secondo, invece, ha scelto di rimanere fedele alla franchigia che puntò su di lui nel Draft del 2011, firmando un max contract quinquennale da $190 milioni di dollari. Quanto meno, si è riusciti a mantenere intatto il gruppo storico Curry-Thompson-Green, limitando i danni. Consapevoli dell’impossibilità di poter firmare un giocatore equiparabile in senso assoluto a Kevin Durant, Bob Myers e soci hanno deciso di virare in una direzione che in pochi avrebbero previsto. Preso atto della volontà di KD di partire in direzione Brooklyn, in accordo con la dirigenza Nets, è stata impostata una sign-and-trade che potesse portare tra le proprie fila il fresco All-Star D’Angelo Russell, assieme ai due gregari Shabazz Napier e Treveon Graham. Se gli ultimi due citati, probabilmente, avranno il compito di far rifiatare i titolari con un minutaggio molto basso, il discorso per il primo è ben diverso. La scelta di firmare D’Angelo Russell con un max contract da 117 milioni per i prossimi 4 anni suona un po’ come un atterraggio d’emergenza, utile a evitare un completo disastro. Secondo molti esperti, il fit Warriors-Russell potrebbe rivelarsi alquanto problematico, per una serie di ragioni tecniche e ambientali. L’ex stella dei Nets è reduce da una stagione da 21.1 punti e 7 assist di media, con 18.7 tiri tentati per partita ed un Usage Rate del 33.1%. Si sta parlando, in sostanza, dello yin e dello yang di un attacco. Riuscirà a inserirsi in punta di piedi in un sistema collaudato e in una gerarchia di spogliatoio profondamente delineata?
Anche da un punto di vista strettamente tecnico, non mancano i nodi da sciogliere. Quando si pensa al Russell più maturo in versione Nets, infatti, in primis vengono in mente i suoi pick-and-roll giocati a dei ritmi molto compassati, tenendo tanto il pallone tra le mani e dettando costantemente i movimenti dei propri compagni. Situazioni di quel tipo, di contro, non si sono quasi mai viste durante la gestione Kerr in California. Il sistema di Golden State, come ormai risaputo, è un sistema basato sul movimento costante dei propri uomini, su continui blocchi ciechi e tagli dal lato debole, su handoff che possano fruttare delle rapide conclusioni perimetrali e, in linea più generica, su un pace parecchio elevato. In tal senso, si potrebbe chiedere un “sacrificio” al leader maximo Steph Curry, cercando di orientare il suo gioco verso un’evoluzione più da combo-guard, grazie alle abilità nello smarcamento in uscita dai blocchi e nei movimenti senza palla.
Il problema vero potrebbe porsi nella metà campo difensiva, dove sia Russell sia Curry si sono dimostrati alquanto vulnerabili nel corso della propria carriera. Vista anche la perdita di un assoluto maestro della disciplina come Andre Iguodala (partito in direzione Memphis Grizzlies assieme ad una prima scelta 2024 nell’ambito di un’altra sign-and-trade), si è deciso di correre ai ripari, ricercando profili che potessero aiutare la squadra a mantenere una certa solidità difensiva e confermandone altri di quel tipo già a roster. Facendo riferimento a questi ultimi, bisogna porre l’attenzione sulla conferma di Kevon Looney, con un contratto triennale da 15 milioni complessivi. Autore di una serie finale di tutto rispetto nonostante un grave infortunio alla spalla, il lungo scuola UCLA ha dimostrato a più riprese di essere adatto al sistema difensivo messo in piedi dall’assistente Ron Adams grazie ad una notevole rapidità di piedi e a un eccellente timing negli aiuti. Nel suo stesso ruolo, è arrivato dal mercato quello che forse è il grande capolavoro della free agency dei Warriors, con la firma per un anno al minimo salariale di Willie Cauley-Stein. Valutando anche gli altri affari conclusi durante questa estate NBA, sarà difficile trovare operazioni migliori di questa per rapporto qualità-prezzo. Il centro ex Sacramento Kings, infatti, è reduce da una solida stagione da 11.9 punti e 8.4 rimbalzi di media, e potrà dare alla sua nuova franchigia quell’intimidazione in area e quella protezione del ferro che erano forse l’unico anello debole del sistema Warriors degli ultimi anni. In parte sono caratteristiche che ha fornito solo il primo Bogut, pur con un’esplosività molto diversa. Un giocatore con quei centimetri, con quell’atletismo e con quella capacità di concludere rapidamente nei pressi del ferro avversario non lo si è mai visto negli ultimi anni nella Baia, e siamo sicuri che il suo innesto potrà dare nuova linfa vitale all’attacco degli Warriors.
Per quanto riguarda il miglioramento della difesa perimetrale, poi, è arrivata la firma di un giocatore poco talentuoso ma dotato di grande tenacia come Glenn Robinson III, con un contratto di due anni al minimo salariale (con player option per il secondo anno). Se si pensa al lungo periodo di assenza di Klay Thompson e alla carenza di fisicità nel ruolo di small-forward dopo le partenze di Durant e Iguodala, la sua firma assume un significato ancor più preciso.
In seguito, complici le partenze di Shaun Livingston e Quinn Cook, si è palesata la necessità di rafforzare un backcourt povero di alternative per Steve Kerr. A questo proposito, il front office ha deciso di offrire un contratto di un anno al minimo salariale ad Alec Burks, giocatore che negli ultimi anni, per varie ragioni, ha avuto parecchie difficoltà nel trovare una stabilità ed un ruolo ben definito, ma pur sempre dotato di un discreto talento offensivo. Il suo inserimento potrebbe mischiare le carte, disegnando per lui un ruolo da “guastatore” in uscita dalla panchina, un po’ come Nick Young nella sua unica stagione in maglia Warriors.
L’ultima tra le firme di questa estate 2019 è stata quella che ha portato in California Omari Spelmann, con una sign-and-trade che ha portato in direzione Atlanta Damian Jones ed una seconda scelta del 2026. La sua duttilità e la sua capacità di colpire dalla lunga distanza potrebbero tornar molto utili a Steve Kerr e al suo coaching staff, quando ci sarà bisogno di far rifiatare o di preservare dal ricorrente “problema falli” il titolare Draymond Green
In conclusione, a giudizio di chi scrive il mercato dei Warriors è sembrato più che altro orientato nella direzione del “salvare il salvabile”. Bob Myers e soci hanno fatto il possibile per far sì che la squadra, giunta probabilmente alla fine di un ciclo tanto lungo quanto vincente, rimanesse competitiva nella selvaggia Western Conference. Quegli 0.4 punti assegnati oltre la sufficienza sono figli dell’operazione Cauley-Stein, unica nota davvero positiva in una free agency che, in California, verrà ricordata in primis per la partenza di Kevin Durant.
Guarda i commenti
Reputo golden inferiore Ai celtics... inoltre non avete minimamente menzionato Romeo Langford, ottima presa e da voi recensito con quest'articolo https://www.nbareligion.com/2019/05/28/road-to-nba-draft-2019-romeo-langford/ .
Reputo ci sia troppo svettiamo attorno a Boston, considerato che i playoff senza Irving sono stati giocati alla grande.