Il Pagellone del Mercato NBA 2019: posizioni 12-7

Al penultimo appuntamento con il nostro Pagellone del Mercato NBA, assaporiamo l’aria della Top 10 con squadre ambiziose, in cerca di conferme o rilancio.

12•  DENVER NUGGETS, Voto: 6,4

di Carmine Borgia

In Colorado si vuole dar seguito a  quanto di buono fatto nella scorsa stagione con l’obiettivo neanche troppo velato di migliorarsi. L’ottima regular season culminata col secondo posto a Ovest ha dato risposte confortanti sulla crescita dei giovani Nuggets che spesso avevano anche messo il naso davanti agli Warriors, salvo poi cedere nel rush finale. La semifinale nella Western Conference poteva comunque definirsi un buon traguardo in cui l’esperienza di Damian Lillard ha avuto la meglio.
Esperienza appunto, parola chiave a Denver. Tutti — da Jokic a Murray ed Harris, fino a coach Mike Malone — hanno aggiunto una dose in più di consapevolezza e approcciano alla prossima stagione con uno spirito tipico di chi vuol scrollarsi di dosso l’appellativo di “squadra immatura”.

Il GM dei Nuggets, Arturas Karnisovas, non poteva che cavalcare l’onda e confermare a suon di milioni Jamal Murray: l’estensione firmata dal play è davvero faraonica, massimo salariale di $170 milioni di dollari nei prossimi cinque anni. Il rischio di finire nella categoria ‘overpaid’ esiste, tuttavia il canadese viene dalla sua miglior stagione sotto ogni punto di vista soprattutto quello realizzativo. Un giocatore che non poteva che essere rifirmato, a maggior ragione se l’idea principale è quella di dare continuità a un gruppo cresciuto a vista d’occhio nell’ultimo periodo.
Assieme a Nikola Jokic avrà il compito di trainare il gruppo, senza dimenticare Gary Harris e Will Barton, solite pedine importanti alle quali verrà chiesto un buon quantitativo di punti. Sono stati salutati Isaiah Thomas, che non ha praticamente mai avuto modo di avere impatto, e Trey Lyles finito agli Spurs. Mille e più incognite, invece, su Michael Porter Jr. e su Bol Bol, scelto alla 44 dell’ultimo Draft: entrambi continuano ad avere problemi fisici che ne mettono a serio rischio l’atteso debutto.
E dalla panchina? Aspettando Hernangomez, quest’anno la franchigia del Colorado potrà contare anche su Jerami Grant. L’ex  #9 di Oklahoma City sembra essere un fit perfetto per una squadra che aveva bisogno di atletismo: è un atleta pazzesco che è cresciuto parecchio in Oklahoma sia nella costruzione sia nella meccanica di tiro, arrivando a produrre 13.6 punti di media a partita nella passata stagione. La sua, però, è un’aggiunta che avrà il suo peso nella metà campo difensiva, vista l’enorme versatilità. Un’ottima presa in cambio di una prima scelta che, con ogni probabilità, nel prossimo Draft cadrà molto bassa.

 

Nel ruolo di ala grande dovrebbe essere riproposto Paul Millsap, uno dei pochi veterani, sul quale è stata esercitata la team option per averlo ancora un anno al Pepsi Center.

In chiusura due parole le merita il già citato Bol Bol: l’ex Oregon è un talento intrigantissimo che porta con sé degli interrogativi inerenti le sue condizioni cliniche; un rischio accettabilissimo per un mid-second rounder.
In definitiva è stata una buona estate per i Denver Nuggets. A farla da padrone sono stati due dogmi fondamentali: raziocinio e continuità. In un Ovest oltremodo equilibrato, i Nuggets hanno la possibilità e il dovere di provarci. I favori del pronostico, chiaramente, non sono dalla loro parte,  ma la base solida c’è e questo è il momento di diventare grandi.

11•  PORTLAND TRAIL BLAZERS, Voto: 6,4

di Federico Ameli

Niente fuochi d’artificio, ma idee chiare e funzionali al progetto nel segno della continuità. È questa la ricetta dell’off-season dei Trail Blazers, il cui front office quest’estate ha puntellato la squadra nel tentativo di risolvere alcune storiche problematiche del roster dando contestualmente fiducia ad un core che nelle ultime due stagioni è stato in grado di ottenere il terzo miglior record ad ovest. La conferma di coach Terry Stotts ha rappresentato il primo forte segnale lanciato dal GM Olshey, che il giorno dopo l’eliminazione in Finale di Conference ha annunciato di aver raggiunto un accordo sul prolungamento del contratto di uno dei principali artefici degli ottimi risultati ottenuti negli ultimi anni.

Se l’obiettivo principale per questa off-season 2019 era aggiungere soluzioni offensive e profondità, è evidente come la dirigenza di Portland abbia lavorato con organizzazione e criterio per regalare a coach Stotts le pedine necessarie per fare l’ennesimo passo in avanti. Con un po’ di fortuna, alla venticinquesima chiamata del Draft del 20 giugno scorso il front office si è trovato nelle condizioni di potersi portare a casa Nassir Little, talentuosa ala piccola in uscita da North Carolina che a inizio stagione sembrava poter ambire a essere uno dei primi cinque nomi chiamati sul palco da Adam Silver. Oltre a rappresentare nella fattispecie il best player avalaible, il prodotto di UNC possiede tutti i requisiti necessari per poter pensare di diventare quel 3&D di cui i Blazers hanno un disperato bisogno, anche alla luce della partenza di Al-Farouq Aminu e della cessione di Mo Harkless. Atleticamente il ragazzo c’è e non si fa certo fatica a notarlo, bisognerà però vedere come riuscirà a riprendersi da una stagione in chiaroscuro e a calarsi in questa nuova realtà. Il potenziale da steal of the Draft non manca, parola di Lillard, ma starà al coaching staff capire come integrare e sfruttare al meglio il talento della nuova ala piccola dei Blazers.

Chiuso il discorso Draft, passiamo ora ad analizzare le mosse del front office in sede di free agency. Sebbene i vari Kanter, Aminu, Curry e Layman, tre elementi fondamentali nelle rotazioni di Portland, abbiano preferito migrare verso altri lidi, la dirigenza non si è lasciata cogliere impreparata e ha portato a termine diversi affari importanti, come nel caso del rinnovo di Rodney Hood. Arrivato sul filo di lana della trade deadline dello scorso febbraio, l’ex Cavs è stato uno dei protagonisti della postseason dei Blazers ed era onestamente difficile credere che, alla luce di quanto dimostrato sul parquet, potesse accontentarsi di un annuale da 5,7 milioni di dollari con player option per l’anno successivo.
Oltre a convincere Hood a restare, la bontà del progetto della franchigia dell’Oregon ha fatto sì che a Portland sbarcassero anche dei veterani in cerca degli ultimi barlumi di gloria, come nel caso di Pau Gasol e Anthony Tolliver, ma anche dei giovani in cerca di riscatto come Mario Hezonja, che con il suo biennale al minimo salariale rappresenta la classica scommessa a rischio zero che potrebbe pagare dividendi interessanti qualora il croato ex Magic dovesse mai ritrovare se stesso.
Se il bilancio della free agency dei Blazers è già di per sé positivo, il voto a questa off-season 2019 sale ulteriormente analizzando le trade imbastite dal front office nelle ultime settimane. Con uno scambio che sa tanto di damnatio memoriae dell’offseason 2016, Olshey si sbarazza di Evan Turner in cambio del ben più funzionale Kent Bazemore, che ha tutte le carte in regola per recitare una parte importante negli schemi di Terry Stotts. Inoltre, con l’arrivo di Hassan Whiteside da Miami nell’ambito della sign-and-trade che ha portato Jimmy Butler a South Beach, il coach può ora contare su un centro in grado di non far rimpiangere il lungodegente Nurkic, che stando a quanto dichiarato da Olshey potrebbe restare ai box fino a febbraio. Al di là dell’aspetto emotivo, Maurice Harkless e Meyers Leonard, Blazers di vecchia data, sono un prezzo più che accettabile per quello che fino a qualche anno fa, al netto dei limiti caratteriali, era uno dei lunghi più dominanti del panorama NBA.
È importante sottolineare il fatto che, sia nel caso di Bazemore sia in quello di Whiteside, si stia parlando di contratti in scadenza  — di conseguenza tra dodici mesi i due potrebbero ritrovarsi a migliaia di chilometri da Portland—, ma è pur vero che per averli in squadra il front office si è permesso il lusso di mettere sul piatto tre giocatori che, per motivi diversi, erano ampiamente fuori dal progetto.
Chi invece nel progetto dei Blazers rientra eccome — al pari di Lillard — è C.J. McCollum, che ha visto premiati i costanti miglioramenti degli ultimi anni con un’estensione contrattuale da 100 milioni di dollari in tre anni, un riconoscimento dovuto e ampiamente meritato da parte di chi in più di un’occasione ha tenuto in piedi la baracca.
Profondi, versatili, giovani, ma già con un discreto bagaglio di esperienza. Non è mai facile arrivare fino in fondo nell’affollatissima Western Conference, ma i nuovi Blazers possono davvero dire la loro. Unica pecca il non aver rimpinguato a dovere la batteria di esterni a seguito della partenza di Seth Curry, ma si sa, la perfezione non è di questo mondo e neppure un front office illuminato come quello dei Blazers può fare eccezione.

10•  ATLANTA HAWKS, Voto: 6,7

di Federico Ameli

Entriamo finalmente nella top 10 con gli Atlanta Hawks, che dopo qualche stagione di pochissimi alti e innumerevoli bassi tornano di nuovo a volare, quantomeno in off-season. Già, perché il front office della franchigia, capitanato dal GM Travis Schlenk, si è dato parecchio da fare per assicurare un futuro luminoso alla franchigia, proseguendo in quel processo di rebuilding grazie al quale gli Hawks si sono presentati alla lottery del Draft con ottime probabilità di essere tra i primi a scegliere al Barkley Center di Brooklyn. Così non è stato, ma nonostante la dea bendata non abbia premiato la strategia di Atlanta, in un modo o nell’altro Schlenk è riuscito a rientrare tra i protagonisti in positivo della serata dello scorso 20 giugno. Con le sole scelte 8 e 10 in mano, decisamente troppo poco se si considerano tante sconfitte accumulate lo scorso anno dagli stessi Hawks e dai Mavericks— che avevano ceduto la loro pick ad Atlanta in occasione dello scambio Young-Doncic dello scorso anno la dirigenza ha ritenuto opportuno fare trade up per potersi portare a casa uno dei pesci grossi di questo Draft, quel De’Andre Hunter che tanto piaceva a coach Pierce e che costituiva l’obiettivo numero uno di casa Hawks.

Difficile, per non dire impossibile, che Hunter potesse scendere fino alla 8, ma con le prime tre chiamate del Draft ampiamente pronosticabili, il front office ha messo nel mirino la scelta numero 4 in mano ai Pelicans. Per convincere New Orleans a cedere un asset tanto prezioso servivano però degli argomenti piuttosto convincenti, presto individuati nelle scelte 8, 17 — nel frattempo ottenuta dai Nets nell’ambito di una trade che ha portato Taurean Prince a trasferirsi a Brooklyn insieme a una seconda scelta e Allen Crabbe a fare il percorso opposto accompagnato dalla suddetta 17 e dalla prima scelta 2020 della franchigia di New York — e 35, oltre ad una prima scelta futura originariamente di proprietà dei Cavs.
Con l’aggiunta di De’Andre Hunter gli Hawks si portano a casa un eccellente difensore in grado di farsi valere anche nella metà campo avversaria grazie a un valido arsenale offensivo che, unito ad una struttura fisica già adeguata per gli standard NBA, fa del prodotto di Virginia uno dei prospetti più interessanti della classe del 2019. A fargli compagnia nel viaggio ad Atlanta ci ha poi pensato Cam Reddish, ala piccola in uscita da Duke dotata di stazza e tonnellaggio da big man, ma anche di un tiro affidabile e di un QI cestistico sopra la media; un ottimo innesto che fin da subito saprà dire la sua in entrambe le metà campo.
L’ottimo lavoro di Atlanta in sede di Draft non si ferma però al solo primo giro. Con l’ennesima trade della serata, in cambio della scelta 57 e di due seconde future, gli Hawks hanno rilevato dai Sixers la trentaquattresima chiamata, spesa per assicurarsi le prestazioni dell’aspirante sleeper Bruno Fernando. Grazie al suo atletismo, il prodotto di Maryland è già in grado di farsi valere sia a rimbalzo che a difesa del ferro; inoltre, nei due anni trascorsi al college il centro angolano ha sviluppato anche una serie di interessanti movimenti in post che torneranno sicuramente utili al piano di sopra.

L’arrivo di tanti giovani talentuosi è sicuramente un dato positivo, ma alla base del loro sviluppo dev’esserci la creazione di un contesto, sportivo e non, in grado di metterli nelle migliori condizioni possibili per potersi esprimere al meglio. È in questo senso che si spiega la trade che ha visto protagonisti Kent Bazemore ed Evan Turner: come abbiamo già avuto modo di vedere parlando di Portland, in termini contrattuali la differenza tra i due è minima, ma la presenza di Bazemore a roster avrebbe tolto minuti preziosi a qualcuno dei ragazzi terribili di coach Pierce, mentre con Turner gli Hawks trovano un backup affidabile, ma soprattutto un giocatore navigato in grado di fare dai chioccia ai giovani per trasmettere loro la sua esperienza dentro e fuori dal campo e aiutarli ad ambientarsi nella lega, sulla scia del percorso intrapreso lo scorso anno con Vince Carter.
Sempre in ottica sviluppo dei giovani, gli Hawks hanno portato a termine una trade con i Memphis Grizzlies che ha visto Solomon Hill — arrivato ad Atlanta nell’ambito della trade con i Pelicans — e Miles Plumlee scambiarsi la canotta con Chandler Parsons. Anche in questo caso a livello salariale non cambia pressoché nulla, ma grazie a questo scambio il front office riesce a liberare uno spot a roster a beneficio di uno dei giovani Hawks, con la flebile speranza che Parsons possa tornare a mostrare sprazzi di quel talento che anni fa ha convinto Mavs prima e Grizzlies poi a concedergli una pensione dorata.
E non finisce qui, perché a fare le valigie è stato costretto anche Omari Spellman, spedito a San Francisco in cambio del centro Damian Jones. In questo caso, più che di scelta tecnica si è trattato di una mera valutazione numerica. Sebbene infatti non abbia sfigurato nella sua prima stagione nella lega, l’ex Villanova Wildcats avrebbe rischiato di finire vittima del sovraffollamento nel ruolo di ala grande, rischio che invece ad oggi Jones non dovrebbe correre.

Per quanto riguarda invece la free agency, era obiettivamente difficile attendersi nomi di spicco disposti a trasferirsi in quel di Atlanta, che dopo aver perso Dewayne Dedmon —un triennale da $40 milioni di dollari era decisamente troppo per le casse degli Hawks, ma evidentemente non per quelle dei Kings — gli Hawks hanno  comunque messo a segno un buon colpo firmando Jabari Parker. $6,5 milioni di dollari per un anno con opzione in favore del giocatore rappresentano tutto sommato un buon investimento su un classe ’95 che, nonostante i cronici acciacchi alle ginocchia e qualche difetto mai realmente limato gli abbiano finora impedito di sbocciare definitivamente, ha talento a sufficienza per poter recitare un ruolo da protagonista in qualunque contesto. Che Atlanta sia il posto giusto per spiccare il volo?

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Guarda i commenti

  • Mah il mercato di Philly e Miami proprio non mi sembra adeguato.
    Philadelphia: Bene max contract a Simmons, male aver perso JJ Redick, Marjanovic e McConnell, malissimo un max contract da 190 milioni a Tobias Harris, capisco volessero "blindarlo" ma è proprio sopravvalutato come giocatore. Horford è un ottimo giocatore ma non ce lo vedo nei sistemi di Brown. Spero vivamente di sbagliarmi mi ero affezionato alla Philly versione Playoff del 2017.
    Miami ha fatto un azzardo, hanno detto di essersi finalmente liberati del contratto dell' "umorale" Whiteside ma hanno offerto un max contract al giocatore più "umorale" della Lega, di sicuro Butler dalla sua ha i numeri e forse, essendo l'unico alpha può far bene, ma si sono presi un grossissimo rischio.

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Pubblicato da
NbaReligion Team

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