Ultima puntata della rubrica che ha passato in rassegna i movimenti estivi di tutte le franchigie NBA. Scopriamo assieme le regine del nostro Pagellone Mercato 2019.
6• INDIANA PACERS, Voto: 7,1
di Gherardo Dardanelli
Perdere tre titolari e uscirne non indeboliti, se non addirittura rafforzati, non è impresa banale. Sulla carta però ci sono riusciti gli Indiana Pacers che, nonostante gli addii di Thaddeus Young, Bojan Bogdanovic e Darren Collison, rimangono nel novero delle squadre di élite della Eastern Conference.
Il merito è senza dubbio del GM Kevin Pritchard che, pur lavorando in un cosiddetto Small Market, un posto cioè che non attrae free agent di primissima fascia, è riuscito a consegnare a coach Nate McMillan giocatori che paiono perfetti per il suo sistema di gioco.
Nella scorsa stagione i Pacers sono stati accusati di essere troppo spesso dipendenti da Victor Oladipo. L’imperativo di questa free agency era uno e piuttosto chiaro: migliorare la fase offensiva. Indiana allora ha puntato il suo gettone più importante su Malcolm Brogdon rimasto restricted free agent dai Milwaukee Bucks. Il Rookie of the Year 2017, che ha firmato un quadriennale da $85 milioni complessivi, rappresenta il fiore all’occhiello di questa offseason gialloblù e il motivo è duplice: è un realizzatore affidabilissimo (oltre che uno dei migliori difensori sul perimetro della conference) e inoltre è stato “rubato” a una concorrente diretta. Sempre per colmare i limiti offensivi palesati lo scorso anno, Pritchard ha pescato T.J. Warren (arrivato via trade dai Phoenix Suns) e Jeremy Lamb, rimasto free agent dopo gli anni agli Charlotte Hornets, arrivato a prezzo di saldo ($31.5 milioni in 3 anni).
Ovviamente il futuro dei Pacers dipende da quando e soprattutto come rientrerà Victor Oladipo. L’ex Orlando Magic infatti è fermo dallo scorso gennaio per la rottura del tendine quadricipite del ginocchio destro. Un infortunio grave e, in NBA, capitato solamente a Charles Barkley e Tony Parker, il che rende impossibile ogni tipo di previsione.
L’altro punto interrogativo suii Pacers riguarda la scarsa profondità e incisività della propria panchina. In estate è arrivato solo T.J. McConnell a rafforzare la second unit di McMillan. L’ex Philadelphia 76ers inoltre non ha costruito la sua credibilità NBA grazie alle doti offensive, pertanto la speranza di Indiana è che ci possa essere una crescita sostanziale dei giovani T.J. Leaf e Aaron Holiday —riunitosi con il fratello Justin — e magari anche la definitiva esplosione di Doug McDermott.
Nonostante ciò, non si può non apprezzare il lavoro fatto in estate da Pritchard e il suo front office. Lavoro che merita una sufficienza piena in pagella che consente ai Pacers, grazie anche al passaggio di Kawhi Leonard ad Ovest ai Los Angeles Clippers, di rimanere nel novero delle favorite a Est, Oladipo permettendo.
5• UTAH JAZZ , Voto: 7,8
di Paolo Stradaioli
Nello Utah sono successe un po’ di cose: Dennis Lindsey è stato promosso a executive vice president of basketball operations e al suo posto è subentrato Justin Zanik, nel ruolo di General Manager. Zanik è un veterano dell’organizzazione: assistente di Lindsey dal 2013, dopo un anno di “prestito” ai Bucks, è tornato per finire il suo cursus honorum e sedere sulla poltrona più agognata.
Costretto a partecipare, in un modo o nell’altro, a una delle free agency più nevrasteniche della storia, Zanik ha deciso di prendere in mano il timone e fare di tutto per non recitare un ruolo secondario in questa offseason. Un giorno prima del Draft arriva la prima bomba: salutano Grayson Allen, Kyle Korver, Jae Crowder e la pick 23 (più una scelta al primo giro futura) per far spazio a Mike Conley, praticamente l’asset perfetto per l’attacco dei Jazz.
La squadra di coach Snyder non ha mai avuto problemi nella metà campo difensiva, diventando un benchmark nella lega per qualità nelle rotazioni e difesa del pitturato, ma l’NBA odierna segue un suo mantra personale.
Good offense beat good defense, ed è stato sempre così per i Jazz, incapaci di diventare una contender proprio perché, nella tonnara agonistica che è l’Ovest, a un certo punto arrivano macchine da canestri contro cui è impossibile rispondere, se non con la stessa moneta. Negli ultimi tre anni i Jazz hanno subito uno sweep dagli Warriors e due sconfitte per 4-1 dai Rockets, non riuscendo mai a scalfire le certezze dei due modelli offensivi più impressionanti nella lega.
Sostituire Ricky Rubio con Mike Conley è la cosa migliore che potesse succedere ai Jazz. L’ex Grizzlies ha disputato la sua miglior stagione in carriera, firmando 21 punti a partita, tirando con il 43% dal campo e smazzando 6,4 assist per game. Avere un giocatore di questo tipo, pericolosissimo dal palleggio ed efficace anche off the ball, toglie tanta pressione e tante responsabilità a Donovan Mitchell, il quale non sarà più il primo (e in alcuni casi unico) problema per le difese avversarie. Due attaccanti da oltre venti punti a partita, che tirano il 36% da 3, che giocano il pick and roll portando a casa quasi un punto a possesso (0,95 Mitchell, 0,96 Conley), sono elementi potenzialmente esplosivi, specialmente se abbinati a un Rudy Gobert riscopertosi rollante di ottima qualità.
Conley è un ottimo tiratore sia dal palleggio sia fuori dai blocchi (41,9% in situazioni di catch and shoot), non abbassa il livello difensivo della squadra, attacca il ferro con grande costanza ed efficacia; insomma, uno scorer di assoluto valore al quale è sempre mancato un giusto riconoscimento a livello di titoli.
Il neo GM dei Jazz, dopo aver aggiunto il tassello più importante, inizia a puntellare: alla lista dei partenti si aggiunge Favors, dal Draft arrivano solo scelte in fondo al secondo giro, c’è abbastanza spazio per offrire un quadriennale da $73 milioni di dollari a Bojan Bogdanovic. Il croato viene da un’ottima stagione con i Pacers, è uno dei migliori tiratori off screen della lega, può giocare da 3 o da 4 senza particolari problemi e anche lui si aggiunge alla batteria di giocatori che fanno male dal pick and roll (86 di percentile). Se già l’anno scorso i Jazz erano una delle squadre che più utilizzavano questa situazione di gioco, la prossima stagione sarà una continua ricerca di blocchi e tiratori, con Ingles e O’Neal a completare un roster capace di adattarsi a ogni situazione.
Le prese di Jeff Green ed Ed Davis vertono ulteriormente sul “Qui e Ora”; due giocatori pronti capaci di portare energia dalla panchina, con Davis che ha dimostrato di essere un ottimo difensore, tra i migliori rimbalzisti difensivi della lega e Green reduce da una stagione positiva a Washington. L’incognita più grande è rappresentata da Emmanuel Mudiay: pagato pochissimo, molto lontano dall’hype con il quale era entrato nella lega quattro anni fa, quella con i Knicks è stata la sua migliore stagione nella lega, ma per essere un backup di livello per una quasicontender deve crescere ancora parecchio.
Il punto è proprio questo: quanto manca ai Jazz per puntare al bersaglio grosso? A Salt Lake City sono pronti a godersi una Regular Season da assoluti protagonisti, ma, una volta ai playoff, i binomi di stelle andatisi a formare in estate potrebbero essere uno scoglio troppo arduo per un core che non è mai andato oltre il secondo turno. L’esordio di Zanik nella stanza dei bottoni è andato più che bene, scommettendo forte sugli ultimi due anni di contratto di Gobert e Mitchell per tentare l’assalto al titolo con questo gruppo, con questa filosofia di gioco. Al campo l’ardua sentenza.
4• LOS ANGELES LAKERS , Voto: 8
di Leonardo Flori
Descrivere l’estate dei Los Angeles Lakers in meno di mille parole probabilmente è come provare a far entrare un cavallo adulto in un bagno Sebach di quelli che si trovano ai concerti.
Il reclutamento dei gialloviola e di LeBron James è cominciato per la verità in pieno inverno, tra gennaio e febbraio, quando Anthony Davis ha informato la dirigenza dei New Orleans Pelicans della propria volontà di lasciare la Louisiana e raggiungere proprio Los Angeles via trade. Come farlo succedere sarebbe stato affare di NOLA, che però durante i giorni che hanno preceduto la trade deadline di febbraio ha resistito agli attacchi dei Lakers che erano arrivati a offrire un pacchetto forte di Lonzo Ball, Brandon Ingram, Kyle Kuzma e Josh Hart.
Certe trade però sono destinate a compiersi, prima o dopo, ed ecco che i Lakers, dopo aver messo le mani sul free agent più importante dell’estate 2018, sono riusciti a portare allo Staples Center il miglior giocatore disponibile tra i non-free agent.
Per farlo, la ‘cifra’ sborsata è stata notevole.
Sebbene Kyle Kuzma sia rimasto a LA, a differenza di quanto previsto dall’offerta di febbraio, la quantità di scelte abbinate dai Lakers a tre dei propri migliori giovani ha reso la trade straordinariamente proficua anche per i Pelicans, che hanno raggiunto il difficile obiettivo di scambiare uno dei primi cinque giocatori al mondo e uscirne probabilmente rafforzati (non solum sed etiam per le fortune in sede di lottery, s’intende).
Dopo l’arrivo di AD, i Lakers si trovavano però comunque di fronte a una situazione complicata, visto che per diversi giorni il loro roster è stato composto dai soli LeBron, AD, Kyle Kuzma, Isaac Bonga e Moritz Wagner. Con appena più di $30 milioni di dollari di spazio ricavati successivamente dall’ingresso nella trade per Davis dei Washington Wizards — che hanno preso a carico i contratti di Bonga, Wagner e Jamarrio Jones —, e la rinuncia da parte di Davis stesso al trade kicker che gli avrebbe assicurato $4 milioni di dollari ulteriori, Rob Pelinka doveva decidere se andare dietro a una terza stella oppure puntellare il roster come meglio avrebbe potuto a suon di role player di livello.
La scelta del GM e di tutta l’organizzazione gialloviola è stata la prima, e per alcuni giorni i Lakers sono sembrati a tutti gli effetti i favoriti nella corsa a Kawhi Leonard – per quanto possano essere considerate affidabili le voci di quei giorni che, verso la fine, davano i Los Angeles Clippers come ultimi nella sfida con Lakers e Raptors per The Klaw.
Leonard, però, alla fine ha scelto l’altra metà di Los Angeles, lasciando i Lakers in difficoltà vista la corsa agli armamenti di tutta la lega che ha visto i migliori role players tra i free agent sparire alla velocità della luce; qualcosa anche per i gialloviola però è rimasto, e grazie alla volontà di diversi giocatori di concedere uno sconto sul proprio salario pur di unirsi a LeBron e Davis nella caccia all’anello, a puntellare il roster sono arrivate firme, tra le altre, del calibro di DeMarcus Cousins (annuale da 3.5 milioni) e Danny Green (annuale da 14.6 milioni), oltre ai ritorni di Rajon Rondo, Kentavious Caldwell-Pope e JaVale McGee dopo la sufficiente stagione 2018-19 (degli ultimi due), e le aggiunte di Jared Dudley, Avery Bradley e Quin Cook.
Il voto per l’offseason dei Lakers non può che essere molto alto; in un’estate in cui è finita la dinastìa dei Golden State Warriors con l’addio di Durant, e mai come prima un altissimo numero di superstar ha cambiato squadra sconvolgendo il panorama della lega e aprendo più che mai la lotta al titolo, i gialloviola hanno affiancato a LeBron il miglior lungo che la NBA possa offrire in questo momento, uno degli unici 5 (?) giocatori al mondo in grado di competere credibilmente sia per MVP che Difensore dell’Anno (assieme a Kawhi Leonard, Paul George, Giannis Antetokounmpo e forse Joel Embiid) e sono riusciti ad allungare la propria rotazione con alcuni giocatori di livello assoluto (Danny Green e il punto interrogativo Cousins) e altre riserve che sulla carta possono dare una mano ad allargare il campo e lasciare l’area libera alle stelle della squadra — in questo senso sarà importante l’inserimento di Dudley e Cook e il tentativo di recupero di Avery Bradley, che è stato visto in reali vesti di giocatore NBA poche, pochissime volte nelle ultime stagioni.
L’estate dei Lakers poteva essere coronata dall’arrivo di Davis e Leonard insieme, che avrebbe fornito alla lega dei più che degni eredi degli Hampton’s Five di Golden State creando una nuova superpotenza, ma anche con il roster attuale L.A. rientra di diritto tra le prime 3-4 favorite per la prossima stagione, e se tutto funzionerà non sarà un grosso scoop vedere The King con il quarto anello della carriera fra 11 mesi.