Sono stati tre anni stupendi quelli tra Kevin Durant ed i Golden State Warriors. Tre stagioni condite con due titoli NBA e due titoli di MVP delle Finals, oltre che al terribile infortunio e lo scivolone nelle Finals di questo anno. Tre anni in cui Durant ha disputato 208 partite con una media complessiva di 25.8 punti, 7.1 rimbalzi e 5.4 assist.
Il nuovo capitolo della sua carriera si intitola Brooklyn Nets, con i quali ha sottoscritto un contratto quadriennale a 164 milioni di dollari. KD ha svelato i motivi del suo addio a JR Moehringer di WSJ. Magazine:
“Sono arrivato ai Golden State Warriors desideroso di entrare in un gruppo, in una famiglia, e mi sono sentito accettato. Ma non sarò mai uno di quei ragazzi, non sono stato scelto ad un Draft. Steph Curry è draftato. Andre Iguodala ha vinto il primo titolo. Klay Thompson è stato draftato. Draymond Green è stato draftato. Il resto dei ragazzi hanno rivitalizzato le loro carriere lì. Ed io? Come mi dovrete riabilitare? Cosa dovrete insegnarmi? Come potete cambiare qualcosa nella mia carriera? Io ho già dei titoli di MVP e titoli di miglior realizzatore.”
Durant senza freni, come sempre del resto. Ne ha avute anche per la sua prima squadra, gli Oklahoma City Thunder:
“Non sarò mai più attaccato alla città. Persone che sono venute a casa mia per distruggere i cartelli con cui mettevo in vendita la casa, persone che si sono fatte riprendere mentre bruciavano la mia maglia e mi insultavano in ogni modo. Avrei voluto tornare in città e fare parte della comunità, ma non mi fido più di nessuno.”
Sul rapporto con il suo vecchio staff si è espresso così:
“Non ho più parlato con nessuno da quando me ne sono andato, ne con l’organizzazione ne con il general manager. C’è una specie di veleno tossico che si diffonde quando cammino in quell’arena. Trainer o magazzinieri che non mi parlano, che ce l’hanno con me. Ed io penso: ‘Siamo arrivati a questo punto? Tutto perché ho lasciato una squadra e ne ho scelta un’altra?'”
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Non ha mai capito questo aspetto del mondo dello sport. L'appartenenza, l'orgoglio; e non è un caso che siano proprio queste due caratteristiche a non renderlo la leggenda che poteva essere e il mostruoso giocatore triste e insoddisfatto che invece è.
purtroppo anche l'NBA è diventata come il calcio, se lasci una squadra ti vedono come un traditore...traditore di cosa? se a un professionista non sta più bene un progetto per qualsiasi motivo perchè non può fare le valige e provare a vincere qualcosa in un'altra squadra? ovvio, se fosse rimasto ai thunder e avesse provato a vincere lì sarebbe diventato una leggenda, ma ci smena solo lui in questo caso...intanto due anelli se li è portati a casa.