La Atlantic Divison è, in tutta evidenza, uno dei raggruppamenti NBA che ha subito il maggior stravolgimento nel corso dell’ultima off-season. La division è composta, infatti, praticamente solo da squadre che hanno vissuto un’estate che ne ha profondamente cambiato la fisionomia e le prospettive future.
Nelle intenzioni dei Philadelphia 76ers e dei Brooklyn Nets l’estate appena trascorsa dovrebbe tramutarsi nell’anno zero di una nuova -ed entrambe le franchigie sperano vincente- fase dei rispettivi processi evolutivi.
Al contrario, per Toronto Raptors e New York Knicks l’ultima free-agency non è riuscita a portare ciò che le rispettive dirigenze si attendevano: Kawhi Leonard ha lasciato l’Ontario e nessun free-agent di lusso ha scelto di accasarsi a New York.
Per i Boston Celtics, infine, l’estate del 2019 ha inevitabilmente il sapore dolceamaro derivante dalla consapevolezza di aver parzialmente tamponato alcune delle pesanti partenza ma di dover lavorare pesantemente sul proprio sistema e sullo sviluppo delle individualità presenti in squadra per poter mirare a una competitività che un anno fa davamo per scontata e che ora, invece, appare tutt’altro che certa al massimo dei livelli della Conference.
Insomma, il quadro è totalmente stravolto rispetto ad un anno fa: per comprendere al meglio quale stagione attende le cinque squadre appena citate, andiamo a scoprire nel dettaglio ciò che attende le protagoniste della Atlantic Division.
1. Boston Celtics
I Boston Celtics sono, con ogni probabilità, la squadra con la posizione di partenza meno comoda nel contesto della Atlantic Division e, volendo allargare il campo, dell’intera Conference.
La franchigia del Massachussetts è, infatti, chiamata a produrre una stagione migliore di quella appena trascorsa -conclusasi con 49-33 più che deludente, viste le aspettative maturate in pre-season- pur disponendo di un roster complessivamente meno talentuoso e profodondo.
Perdere nella stessa estate Kyrie Irving e Al Horford non è un colpo facilmente assorbibile, soprattutto se si considera che un anno fa di questi tempi entrambi sembravano essere decisamente propensi a rifirmare con Boston. Una stagione dopo, però, tutto è cambiato. Se, poi, ai loro addii si sommano quelli di Marcus Morris, Aaron Baynes e Terry Rozier, tre pezzi piuttosto importanti della rotazione dello scorso anno, il contesto si complica ulteriormente. Queste tre partenze hanno sapori ben diversi da quelli di Horford e Irving ma avranno comunque impatto sulla strutturazione complessiva delle rotazioni di Stevens: Morris è stato pound-for-pound uno dei migliori della scorsa annata di Boston, Baynes permetteva ai Celtics rotazioni molto importanti tra i lunghi potendo anche giocare in coppia con Horford e Rozier è sempre sembrato poter avere impatto su questa squadra ma soffrire decisamente il suo ruolo in uscita dalla panchina. Alla luce di questo, dunque, ci è ancor più semplice comprendere come la prima urgenza di Boston sia quella di ricostruire un sistema funzionale al proprio nuovo assetto.
Gli arrivi di Kemba Walker ed Enes Kanter hanno comunque aggiunto al roster un All-Star e un attaccante di impatto sulla lega, permettendo ai Celtics di uscire dalla free-agency con le ossa meno rotte di quanto potesse sembrare a un certo punto della loro estate ma l’impressione diffusa è che il roster assemblato da Danny Ainge in questa estate sia decisamente meno ricco di alternative e di talento puro rispetto alla sua edizione 2019-20.
Anche se poi, a dirla tutta, si sono visti premi di consolazione peggiori di un All-NBA reduce dalla miglior stagione della sua carriera.
Anche per queste ragioni non sembra difficile prevedere molto passerà dagli elementi di continuità di questa squadra con il suo passato più o meno recente, a partire, ovviamente dalla guida tecnica: coach Brad Stevens. L’ex allenatore di Butler è chiamato agli straordinari: assorbire nel miglior modo possibile le partenze, ristrutturare il ruolo dei superstiti e mettere nelle condizioni di avere il miglior impatto possibile i nuovi arrivati permettendo al contempo ai suoi di restare competitivi: un’impresa non da poco.
Un’impresa, se possibile, resa quanto meno più intrigante dalla tutt’altro che positiva estate vissuta da Marcus Smart, Jaylen Brown, Kemba Walker e Jayson Tatum, quattro giocatori chiave della prossima stagione, tutti chiamati ad avere un impatto importante sulla stagione di Boston dopo un mondiale poco gratificante. In particolare ci si aspetta molto dal terzo anno NBA di Tatum, apparso involuto soprattutto a livello di letture nella scorsa annata, e dalla quarta stagione di Jaylen Brown, chiamato nuovamente a riposizionarsi all’interno dello scacchiere di Stevens.
Molto passerà, con ogni probabilità, anche dall’impatto di Gordon Hayward con la sua seconda stagione post-infortunio: l’ultima annata per l’ex ala dei Jazz è stata davvero travagliata. In una squadra assolutamente incapace di produrre al massimo delle proprie possibilità, il prodotto di Butler ha faticato a trovare la propria collocazione tecnico-tattica (trovandosi anche a dover accettare il ruolo da sesto uomo a un certo punto della stagione) e, cosa ancor più importante, non ha mai ritrovato fino in fondo il feeling con il parquet e con il gioco.
Dopo un’altra estate di lavoro intensivo, coach Stevens spera di potergli affidare finalmente le chiavi della squadra, cosa praticamente mai avvenuta da quando Hayward ha firmato per i Celtics. Il fit con Kemba Walker sembra piuttosto interessante, soprattutto per la capacità di entrambi di agire sia on che off the ball e per le capacità di entrambi di effettuare con continuità quelle letture offensive tanto importanti nell’attacco di coach Stevens. Un concetto ancor più amplificato dalla perdita del closer per eccellenza del team, Kyrie Irving.
Gordon Hayward parla dei suoi miglioramenti dopo un’intera estate trascorsa a Boston per migliorare le proprie condizioni fisiche.
Sia l’attacco che, soprattutto, la difesa di Boston, però, accuseranno più che mai la partenza di Al Horford, autentico alfiere di Boston in entrambe le metà campo: la mancanza del suo playmaking, della qualità dei suoi blocchi, della sua capacità di cambiare e comunicare come pochissimi difensori della lega e di giocare nelle pieghe delle partite potrebbe non essere assorbita neanche con uno step-up collettivo, visto che nè Kanter nè nessun altro dei lunghi attualmente a roster sembrano poter assumere anche solo una piccola parte di questi compiti in prima persona.
Insomma, Boston è chiamata a ristrutturare e competere al contempo: probabilmente la missione più complessa da quando Brad Stevens siede sulla panchina dei Celtics. Una missione che, però, potrebbe mostrarci nuove sfaccettature dell’immenso talento di un allenatore e di un gruppo che potrebbero ancora dover esprimere il meglio del proprio potenziale. Almeno per il fattore campo a Est questa squadra è assolutamente chiamata ad esserci: tutto ciò che verrà dopo sarà da considerare come il frutto del lavoro di Stevens e della crescita di un gruppo che, malgrado tutto, ha ancora moltissimi margini.