Primo Piano

E’ il momento di Andrew Wiggins (?)

Quando si parla di Andrew Wiggins, la prima cosa che ci si scorda è che si parla di un giocatore che non ha ancora compiuto 25 anni, e che all’alba del quinto anno in NBA, con un contratto estremamente pesante sulle spalle, è chiamato alla stagione della vita.

Dopo essere stato scelto con la prima assoluta dai Cleveland Cavaliers al draft del 2014, e aver fatto subito le valigie direzione Minneapolis nella trade che vide Kevin Love raggiungere LeBron James e Kyrie Irving in Ohio, Wiggins arrivava in NBA con addosso la pressione del predestinato, essendo riuscito a finire davanti anche a Jabari Parker – a detta di alcuni, il giocatore liceale più eccitante all’epoca dai tempi di James stesso:

 

Sports Illustrated, Maggio 2012

 

La prima stagione in NBA di Wiggins non era però stata esaltante, nonostante il premio di Rookie of the Year arrivato più per mancanza di vera concorrenza che per meriti propri (16.6 punti a partita con 4.6 rimbalzi e 2.1 assist, ma solamente 45% di effective field goal e il 31% da 3 su 1.5 tentativi a partita).

Per quanto la NBA non fosse ancora nella piena rivoluzione del tiro da 3 punti degli ultimissimi anni, lo stile di gioco stava lentamente cominciando a cambiare – i campioni in carica erano i San Antonio Spurs – e l’incapacità di Wiggins di diventare pericoloso dal perimetro e scegliere costantemente poco efficienti tiri dal midrange sono state sempre meno nascoste dagli straordinari mezzi fisici a disposizione dell’esterno canadese.

Il momento in cui Wiggins è sembrato più in procinto di incontrare le aspettative createglisi intorno è arrivato durante la stagione 2016-17, conclusa con 23.6 punti, 4 rimbalzi e 2.3 assist a partita, accompagnati però ancora una volta da uno stile di gioco stagnante e percentuali rivedibili (47% dal campo, 48% di efg e 35% da 3 punti su 3.5 tentativi a partita, in aumento ma non ancora determinante come arma).

Successivamente, per i Timberwolves è arrivata l’era Tom Thibodeau, e con lui i 18 mesi della Jimmy Butler Experience.

Con l’arrivo di Karl-Anthony Towns al draft del 2015, è presto diventato chiaro quale sarebbe stata la colonna portante del rebuilding di Minnesota, e se già questa realizzazione aveva messo un freno allo sviluppo di Wiggins, l’arrivo dei due ex Bulls di cui sopra non aveva certo migliorato le cose.

La presenza di un nuovo franchise player, veterano per altro, aveva contribuito a togliere spazio al canadese, che tra il 2016 e il 2017 è passato da 19.1 conclusioni dal campo a 15.9; lo stile di gioco fortemente voluto da Thibodeau, improntato alla massima intensità difensiva e al passaggio in secondo piano della ricerca di spacing, in un momento in cui tutta la lega stava andando nella direzione opposta sulle orme dei Golden State Warriors, non hanno aiutato un giocatore già in difficoltà a trovare una dimensione offensiva precisa.

In ritardo nello sviluppo del tiro da 3 punti, Wiggins ha visto venire meno anche la possibilità di sfruttare le proprie doti atletiche nel pitturato e al ferro, visto l’intasamento in area da parte delle difese avversarie provocato dai dettami di Thibodeau, che durante i suoi mesi ai Timberwolves non solo da coach, ma anche da President of Basketball Operations, ha messo a rischio pure lo sviluppo di Karl-Anthony Towns, che più volte sotto la sua gestione ha finito partite con meno di 10 tentativi dal campo (sì, proprio Towns, meno di due anni fa).

(Credits to SBNATION)

Nel 2017-18 e 18-19 le medie di Wiggins sono calate, da 23 punti a partita a 17.7 prima e 18.1 poi, ma più che la realizzazione quantitativa, a preoccupare fino quasi all’esaurimento della pazienza era lo stile di gioco del canadese, statico sulle proprie idee e riluttante a espandere il proprio gioco sul perimetro, nonostante sulle spalle il peso della max extension firmata nell’Ottobre 2017 con Minnie da 150 milioni in 5 anni.

Per tutta questa serie di motivi, prima dell’inizio della regular season attualmente in corso i sentimenti generali verso Wiggins erano di riluttanza verso nuova fiducia, desiderio da parte della fan base di muovere il suo scomodissimo contratto concentrandosi su Towns, e una voglia di novità assoluta che pervade una franchigia arrivata ai playoff solamente una volta dal 2004 a oggi.

 

La svolta di Saunders

E la novità è effettivamente arrivata nel corso della scorsa stagione, quando il front office ha deciso di mettere fine all’esperienza con Tom Thibodeau e affidare la panchina a Ryan Saunders, figlio della leggenda della franchigia Flip Saunders – scomparso il 25 Ottobre 2015, a 60 anni, dopo aver lottato con il linfoma di Hodgkin.

Saunders Jr. è un allenatore profondamente diverso da Thibodeau, decisamente più in linea con la pallacanestro moderna e che da subito ha voluto dare una svolta tecnica a una franchigia in estrema difficoltà.

Con carta bianca da parte del front office dopo le partenze sia di Thibodeau che di Butler, il nuovo coach aveva il compito di dare nuovo vigore alla squadra negli ultimi mesi di una regular season a cui i Timberwolves non avevano più nulla da chiedere, cercando di guadagnarsi la conferma per il 2019-20.

La svolta è arrivata, Saunders ha subito dato più libertà ai giocatori mettendo come base del proprio progetto allargare il campo, tanto da arrivare a penalizzare i tiri dal midrange tentati in allenamento dai giocatori con un -1, a prescindere dall’esito della conclusione.
Se i benefici maggiori, nell’immediato, sono arrivati sopratutto per Karl-Anthony Towns, che ha visto i propri tentativi dal campo e le statistiche subire una furiosa impennata, la trasformazione principale di Minnie è quella a cui stiamo assistendo in questo primo mese di regular season.

Il dato principale è anche il più facile, ossia quello del record, che nel momento in cui scrivo (14 Novembre) vede Minnesota al sesto posto della Western Conference, al pari dei Los Angeles Clippers, con 7 vittorie e 4 sconfitte nelle prime 11 partite della stagione.
Se l’uomo copertina non può che essere proprio Towns, che ha iniziato la stagione con numeri spaventosi e sta rivoluzionando ulteriormente il concetto di unicorno tentando 9 tiri da 3 punti a partita (che converte con il 40.7%), la sorpresa più grande è proprio il rendimento di Andrew Wiggins.

Il canadese, seppur su un campione ancora ristretto, sta vivendo la miglior stagione della carriera dal punto di vista statistico, con 25.9 punti, 5.1 rimbalzi e 3.6 assist a partita.
Le novità maggiori riguardano la selezione di tiro di Wiggins, che sta tentando il maggior numero di tiri da 3 punti della carriera (6.5 a partita, quasi 2 in più rispetto ai 4.8 dello scorso anno, secondo miglior dato) e li sta convertendo con la migliore percentuale della carriera ( 36.1%, di poco migliore rispetto al secondo miglior dato, 35.6%, che arrivava però solamente su 3.5 tentativi a partita).

Wiggins è stato messo al centro dell’attacco dei Timberwolves al fianco di Towns, come dimostrato dalla usage percentage che a oggi dice 28.3, uguale a quella proprio di Towns; se il dato dovesse far storcere il naso, vista l’evidente differenza di apporto arrivato negli anni dai due giovani di Minnie, i numeri di Wiggins dovrebbero bastare a legittimare la scelta di Saunders, che è supportato dalle rinvigorite percentuali dal campo del giocatore ex Kansas: 53.2% dal campo, 53.5% di efg, oltre al 36% da 3 punti di cui sopra, accompagnati da una gestione della palla mai vista prima (perde solamente due palle a partita, contro le 3.5 di Towns, e ha la turnover percentage più bassa della squadra, a 6.3).

La pericolosità dall’arco acquisita quest’anno fa sì che le difese abbiano più attenzione nei suoi confronti già sul perimetro, facilitandone il primo passo e le penetrazioni al ferro dove sta diventando un finisher sopra la media. 

I long-two, conclusioni dalla lunga distanza ma sempre da 2 punti, rappresentano adesso una percentuale decisamente ridotta della shot selection di Wiggins, che sta tentando solamente l’11% dei suoi tiri da 16 o più piedi dal ferro restando all’interno dell’arco – i famosi tiri per cui Saunders ha cominciato a penalizzare i suoi giocatori durante gli allenamenti.

Spostando l’attenzione ai tiri da 3 punti, è incoraggiante il dato su come Wiggins arriva alla conclusione, visto che il 61.5% dei suoi tiri da 3 sono assistiti dai compagni, segno di un miglior lavoro off the ball rispetto alle scorse stagioni e una migliore occupazione degli spazi.
C’è ancora da lavorare per quanto riguarda le corner threes, zona da cui i grandi tiratori diventano solitamente ancora più solidi e in cui Wiggins dovrà per forza di cose migliorare, visto che solo il 12.5% dei suoi tiri da 3 arrivano dagli angoli e sono convertiti con il 33%, sotto media rispetto alle conclusioni totali.

Che il rendimento di Wiggins sia destinato a calare (possibile) o migliorare ancora (non probabile, visto che sta già andando fortissimo), quanto fatto in questo primo mese di stagione è già un qualcosa che in pochi, sottoscritto compreso, si sarebbero aspettati solamente a metà ottobre.
Guardare al contratto che il canadese si porta dietro è ancora un’azione per cuori forti, sopratutto se tifate T’Wolves, ma Wiggins sta per la prima volta da anni mettendo in mostra quelle che possono essere le sue sconfinate potenzialità, e sopratutto sta dimostrando un’attitudine al lavoro sul proprio gioco e uno spirito di adattamento verso la nuova pallacanestro proposta da Saunders che mai avevamo visto nella sua breve carriera.

Breve, perché nonostante la sensazione è che Wiggins sia in NBA da quando abbiamo memoria della lega, stiamo parlando di un giocatore di 24 anni, all’inizio della sua quinta stagione, ancora anni luce lontano dal proprio prime e che, sotto la guida giusta, avrà la possibilità di redimersi completamente a livello tecnico e diventare la spalla di Towns in una delle giovani squadre più interessanti di questo inizio stagione (strizzando l’occhio, a tempo debito, al premio di Most Improved Player of The Year).

Meglio tardi che mai.

 

 

 

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Pubblicato da
Leonardo Flori

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