Si chiama back-to-back NBA e, dietro un’espressione di uso comune che significa ‘di seguito’, si nasconde un’operazione semplice: far giocare ad una squadra due partite in due giorni, anche in località molto distanti fra loro. In tanti anni trascorsi in Europa, mi sono sempre chiesto come fosse possibile affrontare gare così ravvicinate col viaggio in mezzo. Appena arrivato qui, l’ho capito.
Funziona in questo modo. Finita una partita, c’è un’ora di tempo per raggiungere l’aereo: per questo, è consigliato di evitare il supplementare. In quel periodo ristretto si cena: direttamente nello spogliatoio, a casa propria se si abita vicini, lungo la strada per l’aeroporto o una volta a bordo del volo.
Arrivati a destinazione, più o meno a notte fonda in base all’orario locale (non sembra, ma anche una sola ora di fuso può fare un’enorme differenza), si va in albergo e si dorme almeno fino al brunch, fissato fra le 11 e le 12. A seguire un meeting di squadra per analizzare la partita della sera prima o solo per studiare gli avversari della sera stessa, visto il poco tempo a disposizione, un po’ di riposo e poi di nuovo in campo. Morale: nel giro di 36 ore giochi due partite, magari a migliaia di chilometri l’una dall’altra risvegliandoti, nel migliore dei casi, nel tuo letto.
Raccontato così, sembra un viaggio nel frullatore. In realtà, vivi il back-to-back senza stress perché tutto è calcolato al secondo, fin dall’estate: il nostro responsabile organizzativo, Jaxon, pianifica il programma dell’intera stagione un paio di settimane dopo l’uscita del calendario. Ad esser triturata, invece, è la tua routine, che cambia totalmente: se hai le tue buone abitudini, puoi scordartele. È un continuo adattamento alla situazione, a ciò di cui il tuo corpo ha bisogno, perché ogni back to back è diverso dall’altro.
Puoi scordare anche dove sei: non nascondo che mi è capitato di non ricordare il numero di camera, convinto di essere ancora nella città precedente. E qui è decisiva la memoria perché, per quanto organizzati, ancora non hanno predisposto il cartello che indica ‘stanza di Nik’.
di Nicolò Melli
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