2. Kobe Bryant
Era scontato che prima o poi saremmo dovuti giungere anche a lui, ed il momento è arrivato: Kobe Bryant il numero 8/24 dei Los Angeles Lakers, uno dei migliori realizzatori puri della storia della lega, un maniaco del lavoro, un agonista senza rivali, con una freddezza da black mamba, la testardaggine di un capricorno e l’orgoglio di un leone.
Volendo riassumere tutto questo potpourri di peculiarità in un’unica frase: la cosa più vicina a Michael Jordan che si è vista dopo Michael Jordan.
Bryant, come risaputo da molti, è figlio d’arte: suo padre infatti è stato un giocatore di pallacanestro che per una decina di anni militò in NBA bazzicando principalmente nei 76ers e nei Rockets per poi concludere la sua carriera professionistica in Italia.
La madre invece non aveva mai praticato pallacanestro in vita sua anche se proveniva da una famiglia che aveva sempre masticato basket grazie al fatto che il fratello di Pam, ovvero John “Chubby” Cox, era stato un giocatore professionista nella CBA.
Quando il “Black Mamba” nacque a Philadelphia nel 1978 i suoi genitori decisero di chiamarlo Kobe Bean Bryant.
Il primo nome deriva da una celebre bistecca di manzo proveniente da una razza di bovino giapponese ovvero il “Kobe”, prelibatezza che i coniugi Bryant avevano letto sul menù di un ristorante.
Il secondo nome Bean invece è una parte del nickname che era stato affibbiato a Joe quando giocava ovvero “Jellybean”: la parola indica un dolce dal ripieno goloso e morbido, rivestito da una scorza dura di zucchero, mentre nel linguaggio di strada americano, il nomignolo viene dato a qualcuno che si comporta in modo grezzo e duro ma che in realtà sotto sotto è un buono, una persona molto dolce ed amichevole.
I primissimi anni dell’infanzia di Kobe si svolgono a Philadelphia città nel quale il padre giocava. Quando nel 1986 Joe decise di ritirarsi dalla lega americana per approdare in Italia a Rieti l’intera famiglia si trasferì insieme a lui (oltre a Pam e Kobe si trasferirono anche le due sorelle di quest’ultimo Shaya e Sharia).
Il periodo italiano fu un intervallo molto lungo conclusosi solamente nel 1991, dopo che la carovana dei Bryant aveva fatto tappa oltre che alla già citata Rieti anche a Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia; in ognuna di queste città Kobe frequentò scuole e oratori, strinse amicizie e visse la tipica vita di un bambino italiano.
Per Bryant è un periodo felice, riesce ad imparare l’italiano, crea rapporti di forte empatia con i bambini che frequenta, ed ovviamente inizia a nascere in lui il desiderio irrefrenabile di giocare a pallacanestro.
Apriamo una lieve digressione: il basket non era l’unico sport che gli interessava, vivendo in Italia la passione per il calcio lo contagiò e divenne grande tifoso del primo Milan di Sacchi, d’altra parte in quel periodo essere tifoso milanista non era per nulla complicato a differenza dei tempi recenti.
Kobe andava a vedere con la madre Pam ogni singola partita del padre, e quando finiva il primo tempo si liberava dall’abbraccio materno per andare sul parquet a tirare per cercare di imitare le gesta del padre e degli altri giocatori. Questa ovviamente non era l’unica occasione in cui Kobe aveva il pallone fra le mani, infatti ogni settimana si allenava nei settori giovanili delle squadre nelle quali il padre giocava.
È nelle palestre italiane che un giovane mini mamba impara i fondamentali del gioco e inizia a sviluppare le sue incredibili doti tecniche, anche grazie al fatto che il suo primo approccio didattico alla pallacanestro fu di puro stampo europeo quindi in linea di massima focalizzato più sui fondamentali e sull’essenzialità del gioco che non sul puro talento.
Ormai diventato più grande e tornato negli Stati Uniti, prese la decisione di iscriversi alla Lower Marion High School di Philadelphia, un liceo situato in un sobborgo benestante della città dell’amore fraterno, un ambiente dove Kobe mette in mostra per la prima volta al pubblico statunitense tutto il suo incredibile talento.
Gioca la sua prima stagione al liceo nella squadre delle matricole prima di passare l’anno successivo nella varsity (senza neanche farlo apposta imitando qualcun altro) della Lower Marion. La squadra dei senior proveniva da un’annata da 4 partite vinte e 20 perse, nelle 3 stagioni successive con il Black Mamba leader indiscusso il record si tramutò in un fantasmagorico 77-13.
All’High School, il 24 (che vestiva il 33) era un all-around player capace di giocare con medesima efficacia ed efficienza tutti e 5 i ruoli del gioco. Concluse i suoi primi anni da novellino con oltre 30 punti, 10 rimbalzi e 5 assist di media facendo alzare su di lui un vero e proprio polverone.
Venne nominato (seppur non ancora da senior) Pennsylvania player of the year, carica che immediatamente attirò gli scout dei più celebri e blasonati college dell’intera nazione: Duke, Michigan, North Carolina, e Villanova bussarono tutte alla porta della famiglia Bryant per cercare di strappare un accordo preliminare da parte del Mamba.
Se in un primo momento Kobe sembrava propenso a frequentare in un futuro prossimo il college, iniziò a cambiare completamente idea quando nel 1995 venne selezionato con la prima scelta al draft NBA Kevin Garnett direttamente proveniente dalla High School. Il pensiero di K.B. fu semplice e logico: se c’è riuscito lui perché non posso riuscirci anche io?
Nell’estate 1995 compì un estenuante lavoro in palestra con il suo allenatore del liceo (Greg Downer) per cercare di aumentare la sua massa muscolare cosa che gli avrebbe consentito di avere un fisico adatto per competere a livelli professionistici; contemporaneamente a questo massacrante lavoro individuale venne nominato MVP all’Adidas ABCD camp ed invitato dall’allora coach dei 76ers John Lucas ad effettuare alcune sessioni di allenamento con la squadra.
Kobe al suo ultimo anno al liceo realizzò una stagione incredibile: gli “Aces” vinsero il titolo statale dopo 53 anni di astinenza, con un Bryant da 31 punti, 12 rimbalzi, 6 assist, 4 rubate e 3 stoppate ad allacciata di scarpa.
Terminò la sua permanenza al liceo superando Wilt Chamberlain nel numero totale di punti realizzati a livello liceale nello stato della Pennsylvania mettendo a referto oltre 2883 punti in 4 anni.
La sfilza dei premi che ricevette fu di quelle prepotenti: per l’anno 1996 venne nominato Mc Donald’s All-American, miglior giocatore nazionale Gatorade, e miglior talento liceale per Usa-Today, fu nominato nel primo quintetto dei migliori giocatori liceali per il 1996, ed infine rinominato Pennsylvania Player of the Year.
Bryant dopo tanto lavoro e sacrificio decise ovviamente di puntare dritto verso i professionisti come aveva premeditato, non visitò nessun campus universitario (nonostante le continue richieste, e l’ottenimento di un punteggio SAT di 1080 che gli avrebbe aperto le porte di qualsiasi college), e si rese eleggibile per il Draft NBA 1996.
La decisione fece scalpore, dopo Garnett fu il secondo liceale in 20 anni a rendersi eleggibile, venne chiamato alla tredicesima scelta assoluta al primo giro del draft dagli Charlotte Hornets prima di essere immediatamente girato in casa Lakers grazie ad uno scambio imbastito da quel volpone di Jerry West.
Tutto il resto è leggenda…
Un giovane mamba in maglia Lakers