The Last Dance, il documentario che sta andando in onda in questi giorni sui Bulls, sta catalizzando l’attenzione mediatica di tutto il mondo NBA. Per realizzarlo Chicago nella stagione 1997-98 concedette a una troupe di seguire i movimenti di tutta la squadra, dagli allenamenti alle partite, in maniera costante. Un esperimento nato anche dalla forte consapevolezza della squadra, dai giocatori all’allenatore, che sapevamo cosa avrebbero voluto da quella stagione. A quanto pare gli Warriors non vogliono replicare quell’esperienza.
A confermarlo uno dei soci della franchigia californiana, Peter Guber, in una intervista a Usa Today. Guber infatti è anche tra i produttori proprio del documentario The Last Dance e ha dichiarato di aver più volte provato a proporre una cosa simile per la dinastia Warriors, ricevendo sempre risposte negative.
Tra i motivi, secondo il businessman, che spinsero i Bulls ad accettare c’era anche la consapevolezza di qualcosa che stava per finire. Coach Jackson avrebbe lasciato dopo la stagione, così come Jordan e Pippen e tutti lo sapevano. Era quindi la fine di una dinastia e questo spinse ad accettare di essere documentati.
Per gli Warriors invece la situazione è differente. La dinastia c’è ed esiste. La franchigia ha partecipato alle ultime cinque Finals NBA, seconda nella storia dopo Boston. E ha battuto il record di vittorie in stagione proprio dei Bulls. Ma la dinastia di Golden State è in mutamento e non ha ancora una fine. Tutto ruota attorno alle figure di Green, Curry Thompson e all’allenatore Kerr. E nessuno di loro pare intenzionato a lasciare nel breve.
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