Un nutrito gruppo di giocatori NBA, presumibilmente capeggiato da rappresentati dei Brooklyn Nets, si è riunito virtualmente su Zoom per trovare un accordo comune circa il comportamento da assumere alla ripresa delle operazioni sportive.
L’uomo che ha preso in mano la situazione è stato Kyrie Irving, deliberando apertamente di non voler tornare in campo a partire dal 30 luglio. La sua proposta rinunciataria è stata quindi condivisa con parecchi colleghi nel corso della fantomatica chiamata Zoom, con l’intento nemmeno troppo latente di organizzare uno “sciopero generale” dei giocatori in segno di protesta.
L’invito avrebbe trovato anche individui interessati, ma si è rivelato in ultima analisi decisamente incompleto. Irving non avrebbe proposto, oltre alla ormai nota richiesta di non presentarsi ad Orlando, una vera soluzione alternativa od una nuova possibilità da cogliere, sostenendo unicamente uno stoico distacco da una realtà presente non gradita. Si è ipotizzato che pensasse alla creazione di una propria lega, piuttosto che ad una richiesta di premi per i suoi “seguaci”, ma nulla di questo è emerso veramente. Il giocatore non ha colto fino in fondo una ghiotta occasione nata dal suo estro.
Kendrick Perkins, attuale giornalista ESPN, ha espresso le sue impressioni in merito alla vicenda:
“Kyrie è diverso dagli altri. Ha avuto il coraggio di schierarsi apertamente contro i piani alti, ma non ha dato valore pratico alla sua idea. Conosco dei ragazzi che furono presenti durante quella chiamata multimediale con lui e mi hanno confidato che sarebbero stati perfino d’accordo con il suo piano, se solo fosse stato enunciato il passo successivo. E’ encomiabile proporre alternative, a patto che siano attuabili e ben studiate nel complesso. Non si può proporre a giocatori professionisti di non giocare, senza però chiarire altro. Il ragazzo dovrebbe esprimersi solo in possesso di qualcosa di valido.”
L’associazione giocatori continua a monitorare da lontano la situazione, anche perché predilige al momento perorare la causa degli allenatori e dei dirigenti di colore, nettamente inferiori in termini numerici rispetto alla componente bianca. Ad ispirare l’iniziativa è stato indirettamente Troy Weaver, nuovo general manager dei Detroit Pistons ed appunto uno dei nove GM di colore in NBA.
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