Articolo pubblicato per la prima volta il 24 novembre 2016
Largo ai giovani è il motto che rispecchia maggiormente l’andamento dell’attuale NBA. Infatti, tra la fine dell’anno scorso e l’estate appena passata, hanno deciso di non calcare più il parquet tre superstar, colpevoli di aver fatto innamorare della pallacanestro milioni di appassionati. Stiamo parlando, naturalmente, di Kevin Garnett, Tim Duncan e Kobe Bryant.
Al contrario degli altri due, KG non ha passato tutta la sua carriera con una sola canotta. The Revolution è entrato in NBA nel 1995 con la maglia di Minnesota, si è consacrato campione con quella di Boston, ha tentato di dare solidità al frettoloso progetto di Brooklyn e infine è tornato ai T’Wolves per fare da chioccia al suo erede.
Tim Duncan, invece, è stato scelto al Draft dai San Antonio Spurs nel 1997 e per i successivi due decenni è sempre restato nella piccola cittadina del Texas. Sotto il comando di un ex agente dei servizi segreti di nome Gregg Popovich, The Big Fundamental ha conquistato cinque anelli e due titoli MVP.
E infine Kobe Bryant. Il leader maximo dei Lakers ha saltato il college proprio come Garnett ed è rimasto per vent’anni nella stessa franchigia esattamente come Duncan. Il Black Mamba, per sua sfortuna, non è riuscito a coronare il sogno di vincere sei titoli, pareggiando Michael Jordan, ma si è dovuto accontentare di portarne a casa solamente cinque.
Se da una parte Kevin Garnett, come abbiamo visto, ha girato parecchie squadre, dall’altra, invece, la storia d’amore tra Tim Duncan e gli Spurs non è mai andata neanche vicina ad un’interruzione.
E il rapporto tra Kobe Bryant e i Los Angeles Lakers è sempre stato tutto rose e fiori?
La risposta è: assolutamente no. Il numero 24 giallo-viola, infatti, anche se alla fine non ha mai lasciato la sponda fortunata di L.A., è stato più volte vicino a portare altrove il suo talento. La quarta puntata di what if indagherà proprio su una di queste volte, con un focus particolare sul 2004, anno in cui Kobe fu ad un passo da lasciare i Lakers per approdare ai…Clippers.
Come accaduto con i Bulls di Michael Jordan, a cavallo del nuovo millennio i Lakers trovarono la quadratura del cerchio soltanto con l’arrivo di Phil Jackson in panchina. La filosofia del Maestro Zen e l’attacco a triangolo riuscirono nell’impresa di indirizzare l’enorme ego di O’Neal e Bryant verso un obiettivo finalmente comune: la vittoria del titolo. L’equilibrio tra le due stelle della squadra condusse i Lakers a tre trionfi consecutivi (2000, 2001 e 2002), grazie ai quali Kobe e Shaq entrarono di diritto nell’Olimpo NBA.
Anche se la strada sembrava ormai in discesa e la coppia consolidata, una volta conclusa la vittoriosa campagna del 2001/2002, la successiva stagione dei Lakers si rivelò molto più problematica delle precedenti. La pancia piena e diversi infortuni (il ginocchio di Kobe, l’alluce di Shaq e il piede di Fox) condizionarono pesantemente l’esito dell’annata, che si concluse in Gara 6 nella Semifinale di Conference contro i futuri campioni dei San Antonio Spurs.
Invece di rappresentare un nuovo stimolo da cui ripartire, questa sconfitta simboleggia l’inizio della fine della dinastia di Bryant e O’Neal.
Nell’offseason del 2003, infatti, accaddero diverse cose. Dal punto di vista sportivo, la dirigenza dei Lakers portò a Los Angeles due stelle ancora competitive ma sulla via del tramonto: Gary Payton e Karl Malone. Però, nonostante la campagna acquisti faraonica, a far parlare i giornali furono soprattutto le vicende extra-campo:
Kobe fu arrestato in Colorado con l’accusa di stupro.
Il figlio di Joe si era recato in Colorado, senza neanche avvertire la società, per farsi operare dal Professor Richard Steadman, uno specialista per gli infortuni al ginocchio. A quanto pare, il giorno prima dell’intervento Kobe si era piacevolmente intrattenuto con una diciannovenne appena conosciuta in città. La mattina seguente la donna si recò dalla polizia per denunciare il campione NBA di violenza sessuale, negando categoricamente che il rapporto fosse stato consensuale.
L’accusa formale arrivò il 18 luglio 2003 e quello stesso giorno il nativo di Philadephia tenne una conferenza stampa. Accompagnato da sua moglie Vanessa, un Kobe in lacrime ammise pubblicamente di aver commesso adulterio ma allo stesso tempo negò con veemenza di aver violentato l’accusatrice.
Come se non bastassero le difficoltà di inserimento di Payton e Malone e i problemi giudiziari di Bryant, Jerry West, GM dei Lakers, doveva fronteggiare altre due grane: nel 2004 Phil Jackson e lo stesso Kobe sarebbero diventati free agent. A tal riguardo, i primi messaggi che Bryant mandò alla dirigenza non furono positivi. Sembrava, infatti, che il numero 24 volesse cambiare aria al termine della stagione per approdare in una squadra che gli permettesse di non condividere la leadership con qualcun altro, tantomeno con Shaquille O’Neal.
Prima dell’inizio della stagione, il Dr. Buss (proprietario dei Lakers) e Jackson si incontrarono per discutere del futuro, trovando un accordo di massima per il rinnovo del contratto. Nel suo libro Eleven Rings, Jackson racconta che durante quell’incontro fece presente a Buss che, se nei mesi successivi fosse stato necessario scegliere tra Bryant e O’Neal, avrebbe scelto il secondo.
Probabilmente distratto da tutto ciò che gli succedeva intorno, Kobe iniziò la stagione con delle brutte prestazioni, tanto che Shaq, delicato come al solito, a mezzo stampa consigliò all’amico/nemico di cambiare modo di giocare e di fidarsi maggiormente dei compagni. Come prevedibile Bryant non la prese benissimo, rispondendo a Shaq di farsi i fatti suoi. Come apice di questa rapida escalation arrivò quindi la seguente dichiarazione di O’Neal:
Se non gli piace quello che dico, può anche uscire fuori dal contratto, fare le valigie e andarsene perché tanto io non me ne vado da nessuna parte.
Nei mesi che seguirono la situazione precipitò e Phil Jackson chiese addirittura la cessione di Kobe prima della deadline di febbraio. Il Dr. Buss, preoccupato dalle voci di mercato che circolavano su Bryant, andò immediatamente a parlargli, scoprendo un interessante retroscena.
Avendo subodorato il momento di confusione nel mondo dei Lakers, i Clippers pensarono bene di sfruttare la situazione a loro vantaggio. Difatti i rivali cittadini, attraverso le figure di Donald Sterling e Mike Dunleavy (rispettivamente proprietario e allenatore), pur violando le regole NBA, contattarono Kobe a stagione in corso, proponendogli un contratto pluriennale da oltre cento milioni di dollari.
Oltre all’aspetto economico, che sicuramente influiva parecchio, l’offerta dei Clippers faceva gola a Bryant anche per altri motivi. Era un’occasione più unica che rara per fare uno sgarbo a Buss e Jackson, colpevoli di tenere in maggiore considerazione Shaquille O’Neal rispetto a lui.
E allora come mai, alla fine, Kobe è rimasto ai Lakers?
Come detto prima lo Zio Phil avrebbe preferito puntare su Shaq per ricostruire una squadra da titolo. E Kobe questo l’aveva capito. Ma il Dr. Buss, invece, da che parte stava?
Nel corso dell’incontro privato tra Buss e Bryant di cui parlavamo prima, tutte le carte vennero messe in tavola e gli esiti della chiacchierata furono chiari nei mesi successivi. L’11 febbraio i Lakers annunciarono di aver sospeso le trattative per il rinnovo del contratto di Phil Jackson. Questa notizia conteneva due messaggi tanto nascosti quanto evidenti: un no secco ai Clippers e l’addio alla coppia Jackson e O’Neal. Largo ai giovani, insomma. Inizia l’era di Kobe.
Con tali premesse, la stagione della franchigia giallo-viola non poteva che concludersi negativamente. I Lakers furono infatti spazzati via dai Detroit Pistons, alle Finals, in soli cinque incontri.
Il corso dei nuovi Los Angeles Lakers cominciò ufficialmente con l’arrivo di Rudy Tomjanovich nel ruolo di Head Coach e con la trade che, a metà luglio, portò Shaquille O’Neal a vestire la maglia dei Miami Heat in cambio di Lamar Odom, Caron Butler e Brian Grant.
Sebbene tutti sappiano come sia andata a finire, è comunque meglio rinfrescare la memoria con un breve riepilogo.
Partiamo dal piano giudiziario. Il 1° settembre 2004 il giudice assolse Kobe da tutte le accuse in quanto la sua accusatrice alla fine si rifiutò di deporre. Le congetture sul perché le lascio a voi…
Per quanto riguarda il lato sportivo, appena qualche mese dopo il suo insediamento Tomjanovich fu esonerato e, a fine stagione, il Front Office dei Lakers richiamò Jackson, abile nello stringere con Kobe un accordo di non belligeranza, ponendo le fondamenta per i due titoli conquistati nel 2009 e nel 2010. Dall’altra parte della costa invece, specificatamente in Florida, nel giro di due anni la mortifera accoppiata Wade & Shaq regalò a Miami il primo Larry O’Brien Trophy della sua storia.
Con il senno di poi si può dire che la situazione fu gestita bene o che perlomeno abbia portato risultati estremamente positivi a tutte le parti interessate. Le cose però, come abbiamo visto, sarebbero potute andare diversamente. Vediamo come attraverso i soliti What if:
What if n°1
A fine stagione, in qualche modo, Shaq e Kobe ricuciono il rapporto e convincono il Dr. Buss a confermare Phil Jackson. Ai nastri di partenza della regular season 2004/2005, oltre che sulla coppia di superstar, i Lakers possono contare sull’apporto di Malone (che a quel punto non si sarebbe ritirato per tentare un’ultima cavalcata verso il tanto agognato titolo) e sulla conferma di Derek Fisher e Rick Fox (che da free agent avrebbero rifirmato con i giallo-viola invece di andare rispettivamente a Golden State e Boston). Per il rovescio della medaglia Gary Payton sarebbe comunque andato via, non sentendosi valorizzato dalla triangle offense. Sebbene gli altri innesti nel roster siano impossibili da pronosticare, immaginiamo che Jerry West non avrebbe avuto troppe difficoltà ad aggiungere due-tre veterani competitivi ad un roster stellare.
Considerando anche il carburante dato dalle sconfitte dei due anni precedenti, difficilmente dei Lakers così strutturati, a meno di infortuni, avrebbero mancato l’accesso alle finali. Ad aspettarli, con ogni probabilità, il rematch contro i Pistons e, come in ogni vendetta che si rispetti, il conseguente trionfo. Quarto titolo per il duo Bryant/O’Neal.
Continuiamo, quindi, con le elucubrazioni. Con l’età di Shaq che avanza, Kobe prende sempre più in mano la squadra. Nel nostro Universo, quello reale, il titolo del 2006 lo ha conquistato Dwyane Wade, supportato efficacemente proprio da The Big Aristotle. Sempre nel mondo reale, Kobe concluse la stagione 2005/2006 a 35.4 punti di media. Ora, se c’è qualcuno che davvero ritiene che Kobe e Shaq non avrebbero potuto portare a casa il loro quinto anello in sette anni, parli ora o taccia per sempre.
Dal 2006 in poi O’Neal è stato martoriato dagli infortuni, non riuscendo più a risultare decisivo. Sia nel caso in cui i Lakers lo avessero scambiato, sia che l’avessero tenuto, è difficile pensare che l’accoppiata Kobe più Shaq a mezzo servizio dal 2006 in poi avrebbe potuto impensierire le altre contender. In ogni caso, il loro divorzio prematuro ha probabilmente impedito ai Lakers di sventolare un altro paio di banner sul soffitto dello Staples Center.
What if n°2
Finisce la stagione 2003/2004, Kobe e Shaq non trovano un punto d’incontro e il nativo di Filadelfia decide di abbandonare la baracca, dirigendosi verso nuovi orizzonti…dall’altra parte della città. Bryant, infatti, accetta l’offerta dei Clippers, cedendo alle lusinghe di Sterling.
In fondo, quale migliore sfida che portare alla vittoria la franchigia Perdente per eccellenza?
Il roster dei Clippers 2004/2005 è il seguente:
Nell’Universo Reale, con questa squadra, i Clippers, guidati da Elton Brand, raggiunsero quota 37 vittorie, ben tre in più rispetto ai Lakers senza Shaq per intenderci. Con Kobe all’interno del roster, probabilmente i Clippers avrebbero strappato una decina di vittorie in più, forse abbastanza per qualificarsi ai playoff. Quell’anno, infatti, l’ultimo biglietto disponibile per la post-season fu strappato dai Grizzlies con 45 W. Comunque, anche se avessero scalato la conference classificandosi ottavi, con ogni probabilità sarebbero usciti al primo turno contro i Phoenix Suns testa di serie numero uno.
Riprendiamo in considerazione per un momento l’Universo Reale. I Clippers nel 2005/2006 mettono insieme un roster di tutto rispetto:
L’aggiunta di Sam Cassell e di Cuttino Mobley permise ai Clippers di agguantare il sesto seed del tabellone grazie a 45 vittorie. Quella squadra, senza Bryant, giunse alle semifinali di Conference, uscendo in gara 7 dopo una combattutissima serie contro i Phoenix Suns. E se ci fosse stato anche Bryant? I Clippers, forse, sarebbero arrivati alle Finali di Conference, dove ad aspettarli avrebbero potuto trovare…i Lakers di Shaq. Derby cittadino e sfida nella sfida, che vale una stagione, tra Bryant e O’Neal.
Ora, dirvi anche chi avrebbe vinto ci sembra azzardato. L’unica certezza è che, con Kobe, i Clippers sarebbero diventati una contender. Oltretutto la franchigia di Donald Sterling, nel 2008, avrebbe potuto cercare di imbastire una trattativa per portare a Los Angeles, stavolta sponda Clippers, Pau Gasol, formando la coppia che ha fatto la fortuna dei Lakers per sette stagioni.
Stavolta ci siamo spinti troppo in là con ipotesi e speculazioni? Alcuni di voi pensano che dovremmo osare ancora di più? Per accontentarvi tutti, la prossima settimana parleremo del Draft di Darko Milicic, il cui talento mozzafiato convinse i Detroit Pistons a rinunciare a Carmelo Anthony, Chris Bosh e Dwyane Wade.
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