Un annetto fa – anzi, anche qualcosina in più, data l’emergenza sanitaria che ha costretto perfino la lega sportivo numero uno al mondo a dover elaborare una nuova formula pur di portare a termine la stagione – i Nuggets di coach Malone si portavano a casa la prima serie di Playoff degli ultimi dieci anni, proprio contro quegli stessi Spurs che qualche giorno fa hanno dovuto dire addio a ogni ambizione di postseason. Cosa che, a proposito di anniversari, non accadeva da 23 anni, quando ancora, solo per dirne un paio, le Twin Towers erano regolarmente al loro posto e Michael Jordan era a caccia del secondo three-peat, recentemente celebrato da quel capolavoro di nome The Last Dance.
Al di là dell’epocale – è proprio il caso di dirlo – flop di San Antonio, è interessante notare come gli spesso indecifrabili meccanismi di quel principio di rinnovamento e di ispirazione vagamente democratica naturalmente insito nel DNA degli sport a stelle e strisce siano riusciti a trovare una concreta applicazione nei Nuggets, che dopo anni trascorsi tra l’oblio della lottery e qualche piccola comparsata in postseason sono andati a un passo dal giocarsi l’accesso alle Finals con i Golden State Warriors. Un exploit per certi versi inaspettato da parte di una franchigia che, anno dopo anno, si è rivelata in grado di puntellare il roster aggiungendo di volta in volta i giusti tasselli per il raggiungimento dello step successivo. Se di passi avanti si deve parlare, a questo punto l’obiettivo potrebbe essere quello di approdare alle prime Finals della loro storia, o quantomeno di andarci molto vicino. Facile a dirsi, molto meno a farsi, per tutta una serie di motivi.
Innanzitutto, quando si intraprendono discorsi del genere, non si può non tener presente la folta concorrenza nel selvaggio Ovest, che quest’anno si preannuncia più agguerrita che mai. Inoltre, pur a fronte di un record di 46 vittorie a fronte di 27 sconfitte stagionali, sufficiente per staccare il seed #3, è necessario sottolineare come, una volta sbarcati a Disneyland, i Nuggets non abbiano certo fatto fuoco e fiamme, riuscendo a racimolare solo 3 successi e collezionando al tempo stesso 5 ko, di cui tre consecutivi nelle ultime uscite nella bolla.
Jordan Clarkson, Donovan Mitchell e Rudy Gobert.
Ci sarebbe poi il terzo fattore, quello relativo all’avversario da fronteggiare in questo primo turno di postseason. Già, perché il tabellone ha messo di fronte ai ragazzi di Mike Malone una squadra preparata e pericolosa, che stando alle voci che filtrano nell’ambiente avrebbe accuratamente selezionato la squadra da affrontare nella prima serie di Playoff.
A proposito di Michael Jordan e di Finals del 1998, infatti, saranno proprio gli Utah Jazz a contendere il passaggio del turno ai Nuggets. I fasti di Stockton e Malone sono ancora lontani, eppure nelle ultime stagioni i mormoni hanno saputo ritagliarsi un ruolo di spicco nell’Ovest, finendo ben presto nel rientrare nel novero di quelle squadre con tutte le carte in regole per guadagnarsi un pass per la postseason in tutta tranquillità. Forse anche troppa, dato che, stando a quanto riportato dalle solite malelingue, i Jazz avrebbero deciso a tavolino di… scendere in campo con un atteggiamento un po’ più tenero del solito, mettiamola così. L’obiettivo sarebbe stato quello di evitare l’accoppiamento coi Rockets, che lo scorso anno spezzarono i sogni di gloria di Mitchell e soci già nel primo turno con un sonoro 4-1 che evidentemente deve aver lasciato il segno. D’altro canto, per dovere di cronaca è necessario sottolineare come con tutta probabilità anche ai Nuggets siano stati stuzzicati dalla prospettiva di trovarsi di fronte i Jazz, almeno a giudicare dalla disponibilità di coach Malone a lasciare a riposo gran parte dei titolari nei momenti clou in quelle che sarebbero poi diventate delle sconfitte chiave per “blindare” il terzo posto.
Ad ogni modo, un po’ come per i Nuggets, anche i Jazz hanno messo su il loro ambizioso puzzle tassello dopo tassello, con la sapiente guida tecnica di Quin Snyder che negli anni ha saputo cucire una veste tattica perfetta su dei giocatori in grado di combinare la giusta dose di talento e QI cestistico. Con l’arrivo di Mike Conley, lontano dai tempi migliori ma comunque in grado di offrire un’alternativa di qualità in cabina di regia alle solite scorribande di Mitchell, Utah ha consolidato ulteriormente il proprio status di aspirante contender e mira a mettersi alle spalle la delusione dello scorso anno. Basterà per avere la meglio sui Nuggets? Questo è tutto da vedere, ma possiamo già provare a dare una risposta alle ragioni per cui entrambe le squadre si sono piaciute e, in un certo senso, si sono scelte, ragioni che probabilmente vanno al di là della profonda conoscenza reciproca dovuta alla comune appartenenza alla Northwest Division.
Precedenti stagionali
In una stagione molto particolare, inevitabilmente condizionata dall’emergenza sanitaria, sono stati tre gli incontri tra le due squadre e, per rispondere alla domanda di qualche riga fa, non lasciano presagire nulla di buono per la truppa di Quin Snyder. Almeno questa è la situazione se ci si limita a constatare le tre vittorie su tre conquistate da Denver negli scontri diretti con Utah, che complessivamente però ha incassato solo undici punti di distacco da Jokic e compagni. Sospiro di sollievo dunque in casa Jazz, che lo scorso 31 gennaio sono andati a un passo dal piazzare il primo successo contro dei rimaneggiati compagni di Division grazie a uno strepitoso Jordan Clarkson, che ha realizzato 24 dei suoi 37 punti finali nel quarto periodo. La verve dell’ex Cavs, arrivato tra le montagne dello Utah circa un mese e mezzo prima, non è stata sufficiente per interrompere la corsa di Denver, che dopo essersi ritrovata sotto di 9 a metà terzo quarto, ha alzato i giri nel motore e non si è più fermata, con buona pace di Clarkson e dei suoi canestri, che nulla hanno potuto di fronte al 106-100 finale.
Copione che, a grandi linee, si è ripetuto solo sei giorni più tardi, quando un sontuoso Nikola Jokic, autore di 30 punti, 21 rimbalzi e 10 assist, è riuscito a forzare il posto di blocco della Vivint Smart Home Arena di Salt Lake City, con i Nuggets capaci di strappare un’incredibile vittoria per 98-95 – “la più bella della stagione” secondo Mike Malone – in soli sette uomini per via di una sfortunata serie di infortuni e delle conseguenze della mega trade che ha visto protagonisti, tra gli altri, Clint Capela e Robert Covington.
Dopo qualche mese di assenza forzata, le due squadre si sono nuovamente incrociate nella bolla di Orlando, dove hanno dato vita a un match pirotecnico che alla fine, come già anticipato, ha sorriso ancora una volta ai Nuggets. A fare la differenza tra le due squadre è stato il ritorno in campo di Jamal Murray, autore di 23 punti, 12 rimbalzi e 8 assist, cifre che, oltre a farlo flirtare con la tripla doppia, hanno concesso ai Nuggets di avere la meglio nel doppio overtime, all’interno del quale anche Jokic ha avuto un ruolo fondamentale con i suoi 10 punti realizzati nel primo supplementare. In poco meno di 40 minuti, quasi il doppio di quelli inizialmente previsti dallo staff tecnico di Denver, Murray ha messo la sua firma indelebile sul match, siglando allo scadere la tripla della vittoria che è valsa il 134-132 finale.
Chiavi tattiche
Detto che, a partire dall’arrivo in quel di Orlando, entrambe le formazioni sono apparse un po’ appannate dalle tante settimane di riposo più o meno forzato, l’accoppiamento tra Denver e Jazz offre senza dubbio degli interessanti spunti di riflessione e dei temi che vale la pena approfondire.
Partendo dalla squadra che, quantomeno sulla carta, avrebbe dalla sua il fattore campo, al netto delle difficoltà a cui si è già accennato e pur avendo a disposizione un campione di partite piuttosto ridotto, i ragazzi di coach Malone sembrano aver fatto dei leggeri passi avanti dalla lunga distanza, un’arma che nell’NBA moderna non può non far parte della faretra delle squadre che puntano ad arrivare fino in fondo. Dalle 30,4 triple tentate a partita quando ancora la pandemia sembrava apparentemente lontana, convertite nel 35,8% dei casi, siamo passati a 32,1 conclusioni dall’arco, condite da un discreto 36,6%. Nulla di trascendentale, sia chiaro – il caso dei Rockets in questo senso è emblematico: Harden e compagni sono passati da 44,3 a 53,6 triple, scavando un solco apparentemente incolmabile con il resto della lega – ma è un aspetto con cui i Jazz saranno chiamati a fare un po’ più di attenzione in vista di questo primo turno, e che senza le ultime defezioni di casa Nuggets avrebbe potuto essere anche assumere dei tratti più marcati.
D’altra parte, stiamo pur sempre parlando di uno dei migliori attacchi Nba, con i suoi 116,9 punti realizzati in 100 possessi – quinto miglior dato della lega in questa ripresa – che sanno di guanto di sfida a una squadra che può contare su uno che, dal suo sbarco a Salt Lake City, è costantemente in lizza per il premio di Defensive Player of the Year e che in questa stagione mira a portarsi a casa il terzo consecutivo, come fatto solo da Dwight Howard prima di lui. Parliamo, ovviamente, di Rudy Gobert, che avrà il compito di stroncare l’estro di Jokic, la pietra angolare dell’attacco dei Nuggets, in quello che costituisce il primo appuntamento tra i due in postseason. Se i recenti precedenti, come già visto, sembrano sorridere al serbo, che ha chiuso la mini serie di regular season viaggiando sui 25 punti di media e tirando con il 48,9% dal campo quando marcato da Gobert, storicamente il francese e il sistema difensivo dei Jazz rappresentano un avversario piuttosto ostico per l’unicorno dei Nuggets. Se Quin Snyder dovesse riuscire a mettere la museruola a Jokic, a quel punto l’accesso alle semifinali di Conference sarebbe tutt’altro che un’utopia.
Anche un difensore d’elite come Gobert, alle prese con il pick-n-roll giocato sull’asse Murray-Jokic, rischia di cadere in qualche errore di posizionamento. In questo caso, pur di non farsi trascinare fuori dalla sua comfort zone dal “pop” di Jokic, il francese resta a metà strada, senza coprire il ferro e senza far nulla per sventare una potenziale ghiotta occasione da tre punti per il dirimpettaio serbo.
Passando da un attacco all’altro, l’aria di Disneyland non ha fatto benissimo a Mitchell e soci, che hanno visto calare il loro Offensive Rating da 112 a 109,4. Le ragioni di questo piccolo calo sono da ricercare in qualche sconfitta “premeditata”, ma anche a una perdita di brillantezza e lucidità che, fortunatamente per i Jazz, potrebbe essere colmata dalle tante distrazioni di cui troppo spesso è vittima la squadra di coach Malone, solo sedicesima per Defensive Rating in virtù di una fase difensiva che ad oggi costituisce uno dei pochi nei di Denver. Sarà necessario il miglior Mitchell della stagione per mettere pressione a una difesa i cui schemi tendono di tanto in tanto a saltare, e chi meglio di una scheggia impazzita come Spida può riuscirci? La stellina dei Jazz è chiamata a riscattare il misero 32,1% dal campo, condito da un 25,6% dalla lunga distanza, fatto registrare lo scorso anno contro i Rockets, ma con un anno di esperienza in più alle spalle siamo pronti a scommettere che non deluderà le aspettative. Ad ogni modo, arrivano buone notizie per gli appassionati entrambe le formazioni danno il meglio di sé in situazioni clutch, con Jazz e Nuggets rispettivamente al secondo e sesto posto per percentuale di vittorie ottenute nei testa a testa degli ultimi cinque minuti.
A proposito di letture difensive sbagliate, Jokic affretta inspiegabilmente i tempi di un improbabile raddoppio portato su Mitchell, in una situazione di gioco non esattamente pericolosa. I suoi tre passi in avanti, però, liberano di fatto Gobert dalla marcatura, con il francese che può dirigersi indisturbato verso il canestro, con tanto di fallo commesso dallo stesso Jokic.
Con tutta probabilità, a spostare gli equilibri in favore dell’una o dell’altra squadra sarà il contributo che le due panchine sapranno offrire alla causa. In questo senso, i Nuggets sono una delle squadre più attrezzate dell’intera lega, ma attualmente sono alle prese con un rebus legato alle condizioni fisiche di Gary Harris e Will Barton, tasselli fondamentali nelle trame ordite da coach Malone – 35 partite in due ai Playoff, un bottino non certo trascurabile in fatto di esperienza per questo primo turno – ma attualmente alle prese con dei guai fisici. Nessuno può ancora dire con certezza se i due riusciranno ad essere della serie: quel che è certo, però, è che Jamal Murray sarà regolarmente ai blocchi di partenza dopo essere tornato in campo proprio in occasione del doppio overtime con i Jazz e che Jerami Grant, autore fin qui di ottime prestazioni nella bolla di Orlando, non farà mancare la sua energia e il suo apporto offensivo.
Players to watch
Rimanendo in casa Nuggets, senza voler scomodare i principali volti della franchigia del Colorado, decidiamo di puntare le nostre fiches su Micheal Porter Jr. I già citati infortuni occorsi a Harris e Barton hanno letteralmente spalancato le porte al rookie di Denver, che a Orlando viaggia a 22 punti di media. Se ogni contender necessita di almeno tre scorer affidabili, come recentemente sostenuto anche da coach Malone, i Nuggets potrebbero aver trovato la pedina giusta da affiancare a Jokic e Murray, nella speranza che l’emozione non faccia brutti scherzi al debutto in postseason e che Porter Jr. possa realmente offrire alla fase offensiva di Denver quel boost in grado di far saltare il banco.
Dall’altra parte, detto di Gobert che avrà il suo bel da fare con un cliente particolarmente scomodo, non possiamo non tirare in ballo Donovan Mitchell. Le speranze dei Jazz di superare il turno passano inevitabilmente dal loro numero 45, che avrà il compito di guidare l’attacco di Utah nel tentativo di perforare la difesa tutt’altro che granitica dei Nuggets. In questo senso, i 35 punti realizzati nell’ultimo incontro con Denver lasciano senza dubbio ben sperare.
I tiratori sul perimetro sono gentilmente pregati di farsi trovare pronti, grazie.
Pronostico
Alla luce di quanto detto, ci troviamo senza dubbio di fronte a una delle serie più interessanti di questo primo turno. L’assenza di una pedina fondamentale come Bojan Bogdanovic, unita al possibile ritorno sul parquet di Harris e Barton, spostano inevitabilmente l’ago della bilancia dalla parte dei Nuggets. Da sottolineare, inoltre, l’abbandono della bolla da parte di Mike Conley per la nascita del figlio: salterà sicuramente almeno i primi due episodi della serie. Ad oggi, Denver può dunque mettere sul piatto qualcosina in più rispetto ai ragazzi di coach Snyder, che ad ogni modo possono dire la loro e smentire ogni pronostico. Volendoci sbilanciare, crediamo che sei partite, senza dubbio molto combattute, possano bastare ai Nuggets per staccare il pass per le semifinali, tentare la scalata alle Finals e uscire finalmente dal limbo che condanna le squadre “buone-ma-non-da-titolo”, ma l’eventualità che il destino delle due franchigie debba essere deciso in Gara-7 resta una possibilità tutt’altro che remota.