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NBA, Coach Rivers sulle proteste: “E’ stata una giornata dura, i ragazzi pensavano che la stagione fosse finita”

Sono state ore molto lunghe, tese, ma che sono state decisamente importanti per il futuro della NBA. Con la decisione dei Milwaukee Bucks di boicottare Gara 5, si sono presentati una serie di eventi a cui la lega non era di certo abituata e a cui ha dovuto far fronte in qualche modo. Se inizialmente l’idea era addirittura quella di interrompere la postseason, soprattutto per le due squadre di Los Angeles, dopo diversi incontri, la riunione del Board of governors e quella con i giocatori, si è arrivati alla decisione finale di continuare la stagione.

Interromperla nuovamente sarebbe stato senza dubbio un duro colpo per la lega. In tal caso, infatti, avrebbe dovuto coprire ancora una volta le perdite e le spese per tutti gli addetti ai lavori nella bolla di Orlando. Certamente, però, la decisione di boicottare il resto della stagione per spingere a portare il cambiamento e sradicare le ingiustizie razziali non è poi così discutibile.

In molti hanno parlato delle ultime ore parecchio movimentate nel mondo NBA. Tra questi anche il Coach dei Los Angeles Clippers, Doc Rivers, che come tutti ha sentito il peso della giornata di ieri:

“Ieri è stata una giornata molto dura per tutti, le emozioni erano diverse per ciascun giocatore. Ho amato la decisione dei Bucks di non giocare, ma ovviamente sarebbe stato meglio se avessero avvisato prima i loro colleghi. Ma l’azione è stata giusta, perché se c’era una squadra che doveva agire, doveva essere Milwaukee”.

Chiaramente i Milwaukee Bucks sono stati i primi a sentirsi presi in causa per la vicenda di Jakob Blake, vista la vicinanza del loro stadio al luogo della sparatoria.

Successivamente Rivers ha continuato:

“I ragazzi sono pronti ad andare avanti e non vedono l’ora di giocare. Pensavano che la stagione fosse finita, ma come ho detto è stata una giornata difficile per tutti quanti”

Anche Landry Shamet ha spiegato le ore precedenti e successive alla riunione, specificando che le decisioni prese tramite il voto non sono state individuali ma dell’intera squadra:

“A essere sinceri, il nostro voto non intendeva dire ‘Non vogliamo più giocare a pallacanestro’. Era semplicemente un sondaggio su cosa pensassimo fosse meglio fare, e quella è stata la nostra risposta di squadra. Ovviamente le cose sono successe in maniera rapidissima. Molte persone si sono dovute fare avanti per cercare di capire quale fosse la cosa migliore per noi. Ma l’aspetto che non credo sia stato compreso a pieno è quanto le emozioni fossero forti in quel momento, quanto la situazione fosse tesa. Quella è stata la prima volta in cui tutti noi come giocatori collettivamente ci siamo potuti sedere e pensare in gruppo, parlandone e avendo un buon dialogo su tutto quello che è successo”.

Ora resta da vedere come si evolverà la situazione. Le proteste nel Wisconsin stanno aumentando di giorno in giorno e allo stesso tempo anche il numero di episodi agghiaccianti di natura razziale.

Gli atleti, lo hanno già dimostrato, possono fare una grande differenza per cambiare certi schemi che si ripetono da anni e che necessitano di essere cambiati.

Da non sottovalutare, però, il livello di stress a cui sono sottoposti i giocatori NBA, specialmente in quest’ultimo periodo. Sono infatti nel pieno della competizione, da tempo lontani da casa, senza un pubblico che possa dare loro un riscontro positivo di tutto il lavoro che stanno facendo.

A tal proposito Coach Doc Rivers ha spiegato la situazione:

“Ci si dimentica che stare qui dentro è difficile, bisogna essere tutti un po’ più attenti nel trattare i temi della salute mentale. Stando qui si ha la sensazione che quello che si fa non abbia degli effetti reali nel resto del mondo, perché ne siamo separati. I ragazzi sanno che quello che stanno facendo è giusto, che qui hanno una piattaforma per esprimere i loro pensieri. Il problema è che non sentono di fare parte di un movimento perché non vedono i risultati di tutto quello che hanno detto e fatto”.

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Pubblicato da
Pietro Carfì

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