Anche dopo aver vinto il Rookie of the Year nella sua prima stagione NBA e essere stato selezionato all’All-Star Game all’interno della seconda annata, in molti non avevano previsto la vittoria dell’MVP nel terzo anno. Fortunatamente, Derrick Rose non si era incluso in quella stessa compagnia. Lo dimostra una risposta durante il media day poco prima dell’inizio della stagione 2010-11, in cui il nativo di Englewood aveva dichiarato:
“Perché non posso essere l’MVP del campionato?”
Qualcosa che BJ Armstrong, suo agente ai tempi che furono, ricorda perfettamente. Queste le sue parole a KC Johnson di NBC Sports Chicago in un recente episodio del podcast Bulls Talk:
“Ricordo che quando ha detto questo, ho pensato ‘Oh, wow, non credo che i media sappiano quello che hanno appena fatto’. Gli avevano appena regalato una nuova motivazione per fare bene.”
Rose, effettivamente, fece un ulteriore step nel suo gioco, diventando il più giovane MVP nella storia della NBA grazie ad una media di 25 punti e 7.7 assist e conducendo i Bulls a 62 vittorie – pari al miglior record del campionato. Armstrong, il cui rapporto con il play si estende anche a livello famigliare, ha avuto un ruolo importante nel permettere al giocatore di diventare il volto della pallacanestro a stelle e strisce a soli 22 anni compiuti. E lo ha fatto ricorrendo anche alla sua esperienza di ex giocatore NBA, avendo peraltro trascorso tre anni insieme a Michael Jordan nei Bulls d’inizio anni 1990.
“La terza stagione di Rose per me era importante. Dico sempre ai miei giocatori che nei primi anni devono imparare come funziona la lega, come sono le varie arene, devoo imparare schemi e conoscere i compagni. Dopo due anni in NBA, nel terzo sapevo che Rose avrebbe dovuto cambiare mindset: doveva cominciare a guidare la squadra e battere tutte quelle in circolazione.”
“Ogni sera cercavamo di capire – o lui capiva – cosa doveva fare per vincere una determinata partita. Ho imparato questa cosa da Michael Jordan, il quale mi sfidava sempre dicendomi che dovevo sempre trovare un motivo per essere il migliore. Per 82 partite. Quindi, da quella chiacchierata con lui ho sempre cercato una motivazione: leggevo riviste, giornali, cercavo ovunque. Qualcuno diceva qualcosa di troppo e io me lo annotavo. Ho imparato questo da Jordan perché lui faceva la stessa cosa: cercava elementi che lo potessero tenere motivato e affamato. Così, per 82 partite, Rose tentò di vincerle tutte. Una volta lo vidi fare le stessa cosa… ho capito che era pronto. Sapevo che era pronto perché stava cercando di sfidare se stesso. Come si suol dire, il resto poi è storia.”
“Derrick non si è mai posto in paragone con altri, non ha mai chiesto informazioni a proposito di altri giocatori. Semmai parlava di situazioni emotive e caratteriali. Ricordo una volta in cui mi chiese – e penso fosse un’ottima domanda – come gestivo la paura, in campo e fuori. E pensato: ‘wow, c’è stata solo un’altra persona con cui avevo questo tipo di discussioni, ossia Michael Jordan’. La mia risposta a Derrick? Senza esitazione replicai: ‘Entra in campo e basta. Poi cerca di capire come gestire la situazione per sentirti a tuo agio’.
Infine, Armstrong ha posto l’attenzione su qual è la qualità che una stella deve avere per definirsi tale e poter gestire le pressioni:
“Una cosa che ha sempre saputo di lui è che viveva su un’isola. Se vuoi essere il miglior giocatore della lega, se vuoi essere considerato il fuoriclasse, devi imparare a vivere su un’isola, devi imparare com’è vivere in silenzio. Oppure a calmare la folla. A trovare il giusto spazio nel caos. E Rose sapeva che Michael in quelle situazioni rendeva al massimo. È lì che vivono i grandi giocatori.”
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