Curiosità

Playoff NBA ai tempi della pandemia: com’è stata affrontata la situazione

Manca ormai poco al termine di una particolarissima stagione NBA. Dopo un’offseason 2020 durata nemmeno 90 giorni, tutte le squadre sono tornate in campo il prima possibile per cercare di portare a termine un’annata da 72 partite in calendario. Il tutto con l’estrema osservanza di regole e protocolli attivati dall’organizzazione con un solo obiettivo: non obbligare mai più le squadre in una bolla come quella di Orlando di un anno fa. Il sistema nel suo complesso sembra aver retto, con qualche momento di panico nel gennaio 2020 quando i forfait dei giocatori avevano raggiunto il loro culmine. Nonostante l’ondata di rinvii, tutte le 1.080 partite in programma sono state giocate. Per la felicità di David Weiss, funzionario NBA:

“Sapevamo che sarebbe stata una sfida portare al termine tutte le e siamo davvero felici di averlo fatto. Allo stesso tempo, il virus continua a cambiare, quindi quello che dobbiamo fare continua ad adeguarci alla situazione.”

La lega si è quindi avvicinata ai Playoff NBA con rinnovata speranza – anche vedendo la situazione vaccini negli States – poiché il piano è stato avviato con largo anticipo rispetto ad altri paesi. Ma come sta affrontando la postseason la lega in un contesto di questo tipo? Decisamente bene. Ed è grazie a diversi fattori.

 

Quanti giocatori sono stati vaccinati

Partiamo da una buona notizia: in una intervista rilasciata lo scorso aprile, Adam Silver – commissioner della lega – ha confermato che più del 70% dei giocatori ha ricevuto almeno la prima dose del vaccino. Questa cifra è salita a quasi l’80% di giocatori e staff nelle ultime settimane. Nel frattempo la NBA ha allargato il numero di persone consentite a seguito delle compagini durante i viaggi Playoff, salendo fino ad un massimo di 48 elementi, con un medico della squadra itinerante obbligatorio.

 

La riapertura delle Arene: il caso di Boston, Phoenix, New York e Miami

Con l’andamento della campagna vaccinale, la lega ha chiesto la disponibilità da parte di alcune delle franchigie coinvolte nella postseason di aumentare la capacità delle proprie Arene per accogliere i tifosi in sicurezza.

Detto fatto, poiché i Boston Celtics – durante il loro primo turno Playoff – hanno riaperto il TD Garden a “full capacity”. Anche Phoenix ha seguito la stessa impostazione dettata dai colleghi del Massachusetts, mentre Miami ha optato per aprire le porte a ben 17.000 tifosi.

Al Madison Square Garden di New York, infine, la franchigia ha deciso di riaprire a 13.000 fan in contemporanea (su una capienza massima di 19.812), previa prova del vaccino o un test negativo nelle 24 ore precedenti al match. Esperimento più che riuscito.

 

I protocolli NBA per i Playoff 2021

In conseguenza della campagna vaccinale tra i giocatori NBA, la lega ha provveduto ad aggiornato i suoi protocolli di salute e sicurezza, allentando alcune disposizioni per quegli elementi completamente vaccinati.

Come primo cambiamento, la NBA ha disposto infatti che gli atleti vaccinati non abbiano più bisogno di indossare mascherine o mantenere il distanziamento sociale quando all’aperto. Inoltre, gli allenatori completamente vaccinati non devono più indossare le mascherine durante i match.

Per le squadre che hanno presentato un tasso di vaccinazione superiore all’85% tra giocatori e coaching staff, le regole sono state ulteriormente allentate. In questo caso:

  • la quarantena non è più obbligatoria dopo l’esposizione al coronavirus;
  • i giocatori vaccinati non devono sottoporsi a test nei giorni liberi;
  • Si può cenare all’aperto nei ristoranti, anche in trasferta;
  • Amici, familiari e altri ospiti possono incontrare i giocatori completamente vaccinati, sia in casa o in trasferta;
  • Non sono necessarie mascherine durante gli allenamenti per le squadre che hanno raggiunto la soglia dell’85% per le vaccinazioni;
  • I pasti sui voli sono stati ripristinati.

 

Il “curioso” caso di Chris Paul

Durante l’attuale postseason c’è stato poi il particolare caso di Chris Paul. La stella di Phoenix – dopo aver contribuito allo sweep nei confronti dei Denver Nuggets – è stato dichiarato out per l’inizio della serie di Finale di Conference contro i Los Angeles Clippers poiché risultato positivo al tampone. CP3 – il quale si tratta di uno di quei giocatori NBA completamenti vaccinati – è rimasto fermo ai box in conformità ai protocolli della lega, ma – anziché rispettare uno stop di circa due settimane – ha osservato uno stop di circa 10 giorni.

 

Il difetto: record di infortuni in una stagione

Ormai vicini al finale di una stagione decisamente complicata, la lega – vista anche la sua complessità – ha gestito come ha potuto la straordinarietà del momento. L’unico difetto riscontrato nel cercare di ‘incastrare’ un calendario condensato di 72 partite viene però dall’infermeria: quest’anno sono stati riscontrati più problemi fisici del dovuto.

Secondo quanto riporta ESPN “il numero medio di giocatori che han dato forfait ogni partita a causa di infortunio, malattia non collegata al COVID o load management – in questa stagione – è stato di 5.1 (include entrambe le squadre ndr)”

Gli All-Star di questa stagione hanno saltato 370 partite su 1.944 disponibili (19%), la percentuale più alta in una singola stagione nella storia della NBA. Hanno perso un media di 13.7 partite a testa di regular season.

 

Il panorama della Scommesse NBA: come vengono influenzate

In tutto questo è chiaro che il forfait di una o più stelle dovuti ad infortuni o inserimento all’interno dei protocolli di salute e sicurezza, abbiano in qualche modo messo in difficoltà i bookmaker presenti  su sitiscommesse.com. Se ad inizio Playoff i Brooklyn Nets erano dati come i principali favoriti per la vittoria del titolo NBA, dopo gli infortuni di Kyrie Irving (caviglia) e James Harden (bicipite femorale) la situazione è presto cambiata. Stesso discorso per i Los Angeles Lakers i quali avevano il compito di difendere il loro anello conquistato solo lo scorso ottobre. Problema: Anthony Davis si è fatto nuovamente male durante le prime partite del primo turno contro Phoenix e LeBron non è mai riuscito a recuperare completamente dal problema alla caviglia.

Esempi di questo tipo potrebbero essere replicati all’infinito indicando la situazione di Donovan Mitchell (caviglia), Chris Paul (come detto, all’interno dei protocolli di salute e sicurezza) e Kawhi Leonard (distorsione al ginocchio destro). Per non contare i forfait di lungo periodo di Jaylen Brown, Jamal Murray, Spencer Dinwiddie e compagnia cantante.

Ecco perché, per ora, i principali candidati alla vittoria del titolo NBA, ad oggi sono i Milwaukee Bucks di Antetokounmpo. Sempre che non succeda nulla di strano.

 

 

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Redazione NbaReligion

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