Dopo diversi anni dall’ormai nota rissa tra Indiana Pacers e Detroit Pistons al Palace Auburn Hills del 19 novembre 2004, in cui Ron Artest si è reso cattivo protagonista di una nottata da dimenticare, Netflix ha voluto indagare sui motivi che hanno portato allo sfortunato evento, intervistando tutti coloro che erano sul parquet e rilasciando — nella giornata di oggi — Untold, la docuserie che racconta storie sportive inedite e rocambolesche.
Chiaramente non poteva mancare il giudizio di Metta World Peace, il quale ha inquadrato la situazione in questa maniera, partendo dal suo delicato status psicologico:
“In quegli anni provavo sempre tanta ansia. Ti batte forte il cuore. Era una cosa che non riuscivo a controllare. Accadeva ogni giorno. Pensavo ‘devo assolutamente capire cosa sta succedendo perché non sei contento del basket e dei tuoi compagni. Perché non sei felice? Scoprilo’. Ero già in terapia, ma non si guarisce da un giorno all’altro. Soffrivo di ansia e depressione. Mi deprimevo per certe cose e provavo ansia per il futuro. C’è chi riesce a controllare le proprie emozioni. Io no. In senso positivo o negativo, ho zero controllo.”
Quindi, parte il racconto di quella serata, a Detroit:
“Prima di arrivare al Palace eravamo già a 7 vinte e 2 perse. Era la gara che volevo più di altre. Ma non sapevo cosa sarebbe successo. Wallace (con Indiana avanti 97-82 e 50 secondi rimasti sul cronometro, ndr) va per fare un lay-up. Non volevo che lo facesse, così l’ho spinto. Io ero già in terapia, quindi [quando mi son sdraiato al tavolo dei segnapunti] mi esercitavo in tempo reale. La tecnica dei cinque secondi. Se succede qualcosa devi fare: “Uno, due, tre…” Prima di fare qualcosa, contando hai più tempo per pensare. Avevo la squadra intorno a me. Fu divertente perché mi sentivo importante. Conoscevo la mia squadra e sapevo che Jermaine [O’Neal] non avrebbe permesso che Ben mi mettesse le mani addosso. Lo so per certo. Avevo Stephen Jackson. Pensavo: ‘ok non devo fare niente, sono a posto'”.
Poi, il lancio di una bibita da parte di un tifoso proprio su Artest, fece scattare la reazione di quest’ultimo, il quale salì sugli spalti cominciando una rissa infinita tra giocatori dei Pacers e fan di Detroit:
“Scendendo dagli spalti pensavo: ‘Tutto a posto’. Non sapevo che sarebbe successo altro. Pensavo sarebbe finita lì.”
Successivamente, l’ex giocatore di Indiana si ritrovò sul parquet di gioco, con un tifoso locale pronto ad affrontarlo faccia a faccia:
“Ricordo che ero in shock, come se avessi visto un alieno: ‘Questo viene in campo per picchiarsi?!’ Perché ero già stufo, volevo evitare di fare a botte. Ma questi mi… Ero nella mia zona di sicurezza.”
Alla fine, i giocatori dei Pacers — con fatica — riuscirono a rientrare negli spogliatoi:
“Io ero lì che pensavo: ‘Jermaine mi farà il culo’. Tutto il tempo. Non volevo vederlo. Sapevo che si sarebbe incazzato. Perché a lui preme solo vincere.”
David Stern, commissioner della NBA, decise quindi la squalifica per il resto della stagione per Ron Artest, 30 partite per Stephen Jackson e 25 partite per Jermaine O’Neal:
“Avrei voluto essere stato intervistato subito dopo, affinché la gente potesse giudicare fin da subito. Noi non potevamo parlare. Non mi dispiace prendermi la colpa, ma vorrei che la gente sapesse la verità. La verità sta nei filmati, frame per frame.”
Dopo il fattaccio, Artest decise di abbandonare la squadra e di chiedere la cessione per accasarsi poi ai Los Angeles Lakers di Kobe Bryant:
“La mia canotta di Indiana venne mostrata nel momento peggiore. È stata proiettata in TV nel mio momento peggiore. E indossarla mi faceva venire voglia di nascondermi. Non volevo più giocare con quella maglia. Troppa pressione. Chiesi di essere ceduto perché non prendo le cose di petto. A volte ci si comporta da codardi e bisogna ammetterlo. E, sì, avrei dovuto… In un momento del genere si chiamano i compagni… anche se ci si sente a disagio. Quindi, sì, vorrei averlo fatto. Ci è voluto molto tempo per capire il problema. A 23 anni, se fossi stato più equilibrato, probabilmente sarei diventato un grande giocatore.”
“La rissa io l’ho superata. È tutto ok. Ma sembra che Jermaine venga ancora associato a quell’episodio. Jermaine O’Neal. Era sul punto di diventare uno dei più grandi giocatori di sempre. “
Da qui parte una sorta di redenzione interiore che lo porterà a cambiare il suo nome, diventando a tutti gli effetti Metta World Peace:
“Dopo la rissa alla psicologa dissi che cercavo equilibrio e nient’altro. Cercavo un distacco emotivo dalle partite. Questo è il buddismo. E Metta è un nome buddista. Vuoi restare attaccato a più cose positive possibili. Guardando la mia carriera, il pessimo compagno di squadra che ero, Metta è l’opposto. Un buon amico, amorevole e gentile. Voglio comunicare, essere una persona migliore. E questo è quello che significa Metta.”
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