Secondo Gary Payton il primo superteam della storia della NBA sono stati i Los Angeles Lakers del 2003/04. Payton conosce molto bene quella squadra, difatti fu uno dei giocatori presenti in roster. In quel periodo, i Lakers venivano da ben tre titoli di fila e dopo un anno in bianco – nel quale vinsero i San Antonio Spurs – decisero di formare una grande squadra. Sulla carta la compagine californiana era quasi imbattibile: Shaquille O’Neal, Kobe Bryant, Gary Payton, Karl Malone, Derek Fisher e Rick Fox. Tuttavia, raggiunte le tanto desiderate NBA Finals, i gialloviola si arresero in appena cinque gare ai Detroit Pistons.
Per Gary Payton quello è stato il primo superteam nella NBA. Queste le sue parole rilasciate a Nothing Personal With David Samson:
“La stagione 2003/04 è stata molto interessante. Io e Karl Malone firmammo coi Los Angeles Lakers. Io venni per giocare con Shaquille O’neal. Karl Malone venne per me. Per questo ci siamo ritrovati tutti e due a giocare per i Lakers. Quello fu il primo superteam della NBA.”
Tutti sanno che i rapporti fra Bryant e O’Neal non sono stati sempre idilliaci. Alcuni pensano che proprio per i malumori e le tensioni fra le due stelle i Lakers non hanno vinto quel titolo NBA. Tuttavia Gary Payton ha minimizzato la cosa:
“Avevo sentito diverse storie sulle tensioni tra Shaquille O’Neal e Kobe Bryant, ma non erano come si raccontava. Quando iniziò la stagione le cose cambiarono un po’. Sembrava come se fossero due fratelli: il maggiore e il minore. Tutti e due volevano qualcosa dall’altro. L’altro voleva qualcosa dall’altro e così si comportavano da mocciosi. Tutto qui. Tutto qui. Erano comportamenti da bambini.”
“Sono contento di aver avuto la possibilità di far parte della squadra e incontrare Kobe perché dopo ci siamo avvicinati davvero molto. Kobe era un ragazzo davvero speciale. Ho avuto modo di conoscerlo come persona, da giovane. Non era come la gente immagina. Kobe era un umano che provava dei sentimenti, ai tempi era un ragazzo che stava lavorando su se stesso. Aveva fegato su un campo da basket e che non si lasciava andare. Faceva quello che doveva per vincere. Lui era così.”
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