Nella seconda parte (qui trovate la prima) della chiacchierata di Marco Belinelli insieme a Gianluca Gazzoli, durante la presentazione di NBA 2K22, l’ex giocatore NBA ha ripercorso la sua carriera negli States, andando ad inquadrare un momento decisamente particolare, ossia il suo incontro (da remoto) con Michael Jordan:
“Sì, l’ho conosciuto, gli ho stretto la mano, ci siamo parlati al telefono. È successo durante l’estate in cui sono stato scambiato da New Orleans a Charlotte, la squadra di Jordan. Mi ricordo ancora il momento: ero con la Nazionale a Bologna per fare il training camp e ad un certo punto ho ricevuto la chiamata del General Manager degli Hornets che mi dice: “Siamo contentissimi, ti volevamo come giocatore”. Poi ad un certo punto mi fa: “C’è una persona che ti vuole salutare”. E questo era Michael Jordan. Mi ha risposto: “Hi, I am MJ, nice to meet you. I am very happy that…” Avevo il cuore in gola, non riuscivo a parlare. Sono emozioni forti.”
Una città in cui ha lasciato il cuore? Marco risponde così:
“La prima è stata sicuramente San Francisco. Gli Warriors sono quelli che mi hanno scelto nel 2007. Ho passato due anni a San Francisco: come città è stupenda. Ho tantissimi ricordi positivi. L’altra città invece è Chicago, per Michael Jordan, per Toni Kukoc – che ho avuto modo di conoscere mentre ero lì.”
Poi, tocca il rapporto con Gregg Popovich, suo allenatore ai tempi di San Antonio:
“Lui era come un papà per me. Un leader da seguire. Ti sgridava spesso ma perché gli importava di te, anche fuori dal campo. Con lui tutt’ora ho un grandissimo rapporto. Ha molta passione per il cibo e per i vini: quando andava nei ristoranti in giro per San Antonio e io gli dicevo che un ristorante – che per lui era buono – non era di livello, se la prendeva anche sul personale.”
Infine, come dimenticare la vittoria della Gara da 3 punti all’All-Star Weekend, partito come under-dog:
“Ricordo che alla gara da 3 punti nessuno tifava per me, allo stadio. Ero contro Beal, Curry e Kevin Love. Tutti giocatori americani tifati da americani che erano lì. Io invece ero lo straniero, il giocatore italiano che in teoria avrebbe dovuto perdere. Quindi, sentivo che c’era questo tipo di sentimento nei miei confronti. Secondo me ci sono rimasti un po’ male.”
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