Dallas Mavericks
Tenendo da conto i possibili exploit firmati Memphis, la favorita per conquistare il primo posto nella Southwest Division è solo una. La stessa che lotterà per un posto tra le prime quattro nella sempre tostissima Western Conference.
I Dallas Mavericks hanno deciso di lasciarsi alle spalle la cocente eliminazione al primo turno dello scorso anno (3-4 in favore dei Clippers) con la scelta più dolorosa della loro recente storia. Ai saluti infatti il capo allenatore Rick Carlisle, da 13 anni sulla panchina dei texani e per sempre ricordato per aver regalato alla franchigia il primo ed unico titolo NBA nel 2011. Con lui se ne va un head coach da 899 vittorie in carriera tra regular season e Playoff, oltre che uno dei maggiori esperti del gioco: è infatti suo il merito solo un paio di stagioni fa di aver costruito l’attacco NBA migliore di sempre (115.9 punti ogni 100 possessi per i Mavs versione 2019/20). Al suo posto una vecchia conoscenza in quel di Dallas.
A guidare i ragazzi di Marc Cuban sarà infatti Jason Kidd, lui che a Dallas fu uno dei pezzi più importanti di quell’anello conquistato ai danni dei Miami Heat. Una scelta da parte del front office forse più di pancia che di testa, che porta con se numerosi dubbi: da capo allenatore, Kidd non ha pienamente convinto né alla sua prima esperienza a Brooklyn né in quel di Milwaukee (37.5% la sua percentuale di vittorie in carriera), oltre ad essersi fatto notare per le sue metodologie di lavoro non sempre convenzionali – impossibile non citare la volta in cui Kidd punì l’intero roster perchè Thon Maker causò un errore nella chat di squadra. Vedremo che tipo di coach si siederà sulla panchina dei texani, molto del successo della squadra inevitabilmente cadrà sulle sue decisioni manageriali.
Quella volpe di Kidd in scena con l’ormai iconica “Dammi una spallata che ho finito i time-out”
Il resto del peso specifico del team lo sosterranno le larghe spalle della stella Luka Doncic. Lo sloveno non è ormai più solo un talentuosissimo All-Star ma si avvicina alla sua quarta stagione NBA con tutte le credenziali di un possibile MVP della lega. 27.7 punti, 8.4 rimbalzi e 7.7 assist a partita nella sua ultima annata da Mavericks, numeri che vanno a braccetto con la sua leadership in campo, le giocate clutch e la marea di adattamenti a cui gli avversari sono costretti ogni volta che se lo ritrovano in campo. La sua usage percentage (36.0) tanto ci dice del suo impatto sull’attacco di Dallas, almeno quanto sulla sovente sterilità dei suoi compagni.
Dando per scontato che Doncic continuerà la sua naturale ascesa al gotha della palla a spicchi, la differenza potrà e dovrà farla il supporting cast: Kristaps Porzingis, Tim Hardaway Jr e i vari Brunson, Marjanovic e Kleber sono stati tutti confermati, ma da loro ci si aspetta un contributo ben maggiore per non terminare ancora una volta la stagione al primo turno Playoff. Sul lettone soprattutto i fari più luminosi: Dallas ha bisogno di un’altra stella per tornare ai vertici della lega, e KP deve dimostrare a tutti che l’ambiziosa trade che lo ha portato in Texas tre stagioni fa non è stata una scommessa persa.
Fondamentale sarà per Dallas che Porzingis torni ad essere quell’intimidatore in difesa che ha saputo essere ad inizio carriera. In questi due esempi il centro vaga svogliato a centro area, dimenticandosi di tenere sempre sott’occhio il diretto marcatore. Backdoor-cut e facile canestro.
Ci sono due giocatori dietro ai 221 cm di Porzingis. Se KP continuerà a svanire nei momenti in cui Dallas avrà più bisogno di lui come è successo negli ultimi Playoff NBA, allora la stagione potrebbe terminare esattamente come gli ultimi episodi. Starà al nuovo head coach ed a Doncic cercare di integrarlo al meglio al gioco Mavs e sperare di ritrovare quell’All-Star che aveva fatto innamorare di sé i tifosi Knicks. In quel caso, con Nuggets e Clippers mortificati dagli infortuni, Dallas potrebbe scippare il tanto ambito fattore campo nella postseason.