L’accordo tra Lakers e Crypto.com che ha ispirato questa rassegna non è né il primo né unico nel suo genere. Chi ha anticipato i tempi? La risposta in questa terza tappa del nostro viaggio tra arene e sponsor NBA. Panoramica sulla Southeast Division.
Atlanta Hawks
Conosciuta come Philips Arena sin dalla sua prima inaugurazione nel 1999, la casa degli Hawks ha cambiato denominazione a seguito di un restyling dall’ammontare di 192.5 milioni di dollari completato nell’autunno 2018. Giusto in tempo per i festeggiare i cinquant’anni dal trasferimento della squadra ad Atlanta. Quello che all’epoca era il secondo intervento di ammodernamento più oneroso nella storia NBA coincise con un corposo rebranding dell’impianto. L’accordo con State Farm, compagnia assicurativa a oggi tra i principali partner commerciali della lega, anticipò la scadenza del contratto ventennale con Philips – valore complessivo stimato attorno ai 185 milioni di dollari, valido fino al termine della stagione 2018-19 e non rinnovato. L’accordo corrente ha durata ventennale (scadenza 2038) e frutta 8.75 milioni di dollari annui. La State Farm Arena, lo ricordiamo ha ospitato l’edizione 2021 dell’All-Star Game NBA.
Charlotte Hornets
In North Carolina non è solo il palazzetto ad aver cambiato ‘identità’. Ai tempi, lo suggerisce il nome dell’arena all’apertura, la franchigia era infatti conosciuta come Charlotte Bobcats. Questo in virtù dell’expansion team che aveva riportato la pallacanestro NBA a Charlotte dal 2004, due anni dopo la relocation degli Hornets originari, verso New Orleans. Sebbene lo switch Pelicans-Hornets sia storia recente, la specifica appare opportuna per chiarire i termini del discorso fin dal principio. L’impianto ha ospitato la prima partita NBA nel novembre 2005 e per oltre due anni e mezzo non è stato affiancato ad alcun marchio. Risale all’aprile 2008 l’accordo con Time Warner Cable. Contestualmente il broadcaster aveva ceduto i propri diritti di ritrasmissione di 50 partite a stagione dei Bobcats al network Fox Sports Net South. Il risultato fu un maggior bacino d’utenza, ma il compromesso costrinse probabilmente i dirigenti Bobcats a rivedere le stime di ricavo dalla partnership con il title sponsor. Tornando ai naming rights, lo scenario ha assunto nuovi contorni nell’estate 2017, a fronte della fusione tra Warner Cable e Charter Communications. L’arena è stata da allora ribattezzata Spectrum Center, rilevando il brand name del pacchetto digital tv ed internet offerto dalla suddetta media company. Garantita in questo modo la continuità di entrate dalla voce “naming rights”, un valore stimato attorno ai cinque milioni di dollari l’anno. L’arena è stata suo malgrado al centro di un dibattito politico che ha portato al rinvio dell’All-Star Game NBA. Inizialmente prevista come città ospitante per il 2017, Charlotte ha accolto la kermesse con due anni di ritardo, nel 2019.
Miami Heat
American Airlines ha investito con forza nella pallacanestro NBA venendo ripagata in visibilità. Basti pensare alle due edizioni delle Finals che hanno avuto per protagoniste Dallas Mavericks e Miami Heat (2006, 2011). Che fosse “Arena” o “Center”, South Beach o Texas, il marchio AA occupava le insegne di ambedue le strutture teatro dell’atto conclusivo della stagione. Per quanto riguarda gli Heat, a naturale scadenza dell’accordo ventennale per i naming rights nel 2019 (circa 42 milioni di dollari complessivi), la compagnia aveva escluso l’ipotesi di rinnovo, senza però defilarsi completamente. Resta ancor oggi infatti l’impegno come flotta di riferimento per la logistica Heat. Miami, d’altronde, è uno snodo chiave per i traffici di AA, soprattutto verso il Sudamerica, principale mercato internazionale per il suo business. La struttura ha attraversato un periodo di transizione: la Dade County, contea proprietaria dell’impianto, ha riconosciuto due milioni all’anno agli Heat per colmare il vuoto di ricavi. Le trattative per i nuovi naming rights sono state lunghe e hanno interessato i soggetti più vari, non ultimo un noto portale di contenuti per adulti. Lo stallo è stato superato solo nella primavera 2021, con un accordo che ha in qualche modo anticipato i tempi. FTX, piattaforma per lo scambio di criptovalute, si è assicurata i diritti per tenere a battesimo la ‘Fu’ American Airlines Arena fino al 2030, investendo nell’operazione circa 135 milioni di dollari complessivi er i prossimi 19 anni.
Orlando Magic
Restiamo in Florida, dove per un accordo fresco di ratifica ce n’è uno ancora da decifrare. Già dallo scorso anno gli Orlando Magic si sono affidati all’agenzia Legends per procedere alla vendita dei naming rights, nelle mani di Amway fino a giugno 2022. Il marchio aveva stretto un’alleanza marketing con la città e i Magic in particolare fin dal 2006, accompagnando la franchigia nel passaggio dall’Amway Arena all’attuale impianto, Amway Center. Se si considera il rinnovo biennale, appendice all’intesa per dieci anni siglata nel 2010, la partnership è è valsa in questi anni a Orlando una cifra vicina ai 50 milioni di dollari. Amway dovrebbe ad ogni modo restare legata ai Magic anche oltre la scadenza temporale sopracitata. Tale dettaglio non deve sorprendere più di tanto. Il quadro dirigenziale della franchigia conta nelle sue posizioni apicali Rich De Vos, co-fondatore di Amway, e il genero Bob Vander Weide.
Washington Wizards
Quale potrebbe essere il nome dell’impianto NBA di Washington D.C. – capitale federale – se non Capital One Arena? Scherzi a parte, mettiamo ordine seguendo i vari passaggi. Il palazzetto, che ospita anche Mystics (WNBA) e Capitals (NHL), è stato aperto nel 1997 come MCI Center. Ha conservato tale denominazione fino al 2006, con l’avvento del provider Verizon, che aveva assorbito la stessa MCI. Nel 2017, la Monumental Sports and Entertainment, in capo a Ted Leonsis, ha annunciato il passaggio a Capital One Arena, la corporation finanziaria che ancora oggi detiene i naming rights. Non vi suonerà nuovo il nome in ambito cestistico: parliamo di uno dei partner principali della NCAA, promotore peraltro di March Madness e Bracket Challenge. Per quanto riguarda l’arena di Washington, una delle poche strutture proprietà di privati nello sport professionistico USA, l’accordo ha durata decennale (valore economico di circa dieci milioni a stagione). Al primo anno, subito soddisfazioni dal ghiaccio per il title sponsor. Arriva infatti la prima Stanley Cup per la franchigia. Una corsa fino alla trionfale Gara 5. accompagnata da un cambio di logo temporaneo.