Sulla scia di una sorprendente stagione da rookie con la maglia dei Los Angeles Lakers, Austin Reaves ha intenzione di lasciare un segno importante nel mondo NBA, anzitutto da un punto di vista prettamente onomastico.
Reaves, infatti, intervistato da Dave McMenamin di ESPN, ha colto l’occasione profusa dall’intervista per commentare i due soprannomi grotteschi affibbiatigli dopo il suo primo anno nella lega da colleghi ed addetti ai lavori, motivando ampiamente il suo sdegno di fronte a leggerezza e parodia:
“Dopo le prime apparizioni significative, compagni e media hanno cominciato a chiamarmi AR-15, riprendendo iniziali e numero di maglia, ed anche Hillbilly Kobe, con riferimento alla mia infanzia trascorsa a Newark (Arkansas). Per quanto potenzialmente innocuo e basilare, il primo ha generato sin da subito nel sottoscritto un profondo senso di vergogna a riguardo della sempre più carente sicurezza civile di questo Paese. L’AR-15 è anche un fucile d’assalto, lo stesso della strage di Uvalde dello scorso maggio, ed io non voglio che la mia immagine sportiva possa essere associata, anche indirettamente, ad uno strumento di morte”.
Continua Reaves:
“I soprannomi non si possono scegliere per definizione, ma si possono respingere se generano vergogna e inquietudine. Il discorso precedente vale anche per “Hillbilly Kobe”; è un onore per me rappresentare la mia città e lo stato dell’Arkansas, ma non mi sento degno di leggere il nome di Kobe Bryant tra le componenti del mio nickname, specie dopo la sua morte. Kobe è stato un esempio per me e non voglio che il suo nome venga ridicolizzato per creare un soprannome scherzoso destinato al sottoscritto. Voglio che la lega ricordi solo il mio vero nome in futuro e non una serie di nomignoli scherzosi pensati ad arte per sottolineare l’impresa titanica compiuta da un ragazzo bianco, dal fisico gracile, che è entrato in NBA senza nemmeno passare dal Draft”.
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