L’anno degli scandali NBA
di Andrea Capiluppi
Nella NBA le polemiche sono all’ordine del giorno. Che si tratti di vicende fuori dal parquet che finiscono in tribunale o di semplice dissing in campo, giocatori e allenatori finiscono spesso nei guai: pensiamo ad esempio al caso di Gilbert Arenas e Javaris Crittenton, oppure a quello di Ron Artest nella famosa notte del Malice at the Palace.
Ma se negli scorsi anni abbiamo assistito a scandali di varia natura, è innegabile notare come simili fenomeni sembrino essere in costante crescita. Questo non è necessariamente da vedere come un male, o meglio, non è la lega di basket più famosa al mondo che sta cadendo in un pericoloso vortice di malintesi, opportunismi e discriminazioni. Piuttosto, è da vedere in un’ottica completamente opposta: è lo sforzo della NBA stessa ad approcciare questi casi con sempre maggiore convinzione, migliore trasparenza, comminando punizioni esemplari per gli incriminati.
Perché il giudizio sull’operato di Adam Silver, ormai prossimo ai suoi primi 10 anni da commissioner NBA, passa anche per questo: in un momento storico nel corso del quale temi sociali e ambientali stanno acquisendo importanza fondamentale per le generazioni a venire, mostrare nessuna remora per punire i colpevoli, affinché tali atti non si ripetano e non vengano emulati da nessuno, è sicuramente il primo passo per una pallacanestro (e un mondo) più sano e migliore. Ma, a conti fatti, la strada da percorrere è ancora tantissima, e quanto accaduto nel 2022 lo ha dimostrato ancora una volta.
Miles Bridges e le accuse di violenza domestica
Dopo la stagione della consacrazione a oltre 20 punti di media con gli Charlotte Hornets, Miles Bridges sembrava ormai pronto ad ascendere allo status di All-Star in vista della regular season 2022-2023. Se non fosse che a pochi giorni dall’apertura della free agency, il prodotto di Michigan State è stato arrestato per aver aggredito la sua fidanzata davanti ai due figli. Da quel giorno, il 29 giugno 2022, Miles Bridges è stato poi rilasciato su una cauzione di 130.000 dollari, mentre l’ex partner postava su Instagram il referto ospedaliero:
vittima adulta di abusi da parte del partner maschile che includevano aggressione per strangolamento, commozione cerebrale, frattura chiusa dell’osso nasale, contusione della costola, lividi multipli e uno stiramento del muscolo del collo.
Il seguente luglio, Bridges è stato citato in giudizio con l’accusa di lesione a persone e due reati per maltrattamento di minori. A seguito di ciò è seguito un processo conclusosi il 3 novembre scorso con la non opposizione alle accuse di violenza domestica: la sentenza ha sancito tre anni in libertà condizionata e il completamento di 52 settimane di terapia e di lezioni, oltre a 100 ore di servizio civile. Attualmente, il giocatore è ancora unrestricted free agent con Charlotte, e proprio con gli Hornets, secondo l’insider Adrian Wojnarowski, pare che ora sia sul punto di trovare un accordo per tornare in squadra.
La sensazione è che la sanzione che verrà processata dalla NBA non sarà leggera. C’è un precedente del tutto analogo risalente al 2014, che ha coinvolto ancora una volta un giocatore di Charlotte, ovvero Jeffery Taylor. In quel caso, l’ex Vanderbilt venne sospeso per 24 partite, e dopo la stagione 2014-2015, nel corso del quale riuscì a scontare la pena e a tornare sul parquet, uscì definitivamente dagli ambienti NBA, andando a giocare in Europa.
Per Miles Bridges, però, la sanzione potrà essere più pesante. Primo perché l’atto è avvenuto in presenza di minori, e secondo per lanciare un messaggio forte e chiaro al resto della lega: questi atti non possono essere tollerati, e i colpevoli saranno allontanati. Per tale motivo non ci sorprenderebbe vedere Miles Bridges fuori per il resto della stagione e, a dire il vero, le chance di rivederlo su un campo NBA sono davvero ridotte.
Il caos sollevato da Joshua Primo
Al suo secondo anno in NBA e subito dopo che San Antonio aveva sottoscritto la rookie option per il terzo anno, la scelta numero 12 assoluta Josh Primo è stata improvvisamente e rilasciata dall’organizzazione.
La notizia è arrivata in modo piuttosto inaspettato, ma ci ha pensato lo stesso giocatore a chiarire la situazione sui social con un post:
So che siete tutti sorpresi dall’annuncio di oggi. Ho cercato aiuto per affrontare i traumi precedenti che ho subito nella mia vita e ora mi prenderò questo tempo per concentrarmi in modo più completo sul mio trattamento di salute mentale. Spero di poter discutere di questi problemi in futuro in modo da poter aiutare gli altri che hanno sofferto in modo simile. Apprezzo la privacy in questo momento.
Parole che hanno lasciato intendere che Primo avesse bisogno di prendersi una pausa per, giustamente, dare nuovamente priorità alla propria salute mentale. Tanto che nei giorni seguenti si è scatenato un vero e proprio putiferio sui social network, con tifosi che hanno accusato direttamente la dirigenza degli Spurs di non aver avuto sensibilità sul tema, abbandonando un giovane di 19 anni in uno dei momenti più delicati della sua vita.
Ma si sa, le bugie hanno le gambe corte: in seguito al crescente odio per la franchigia texana sui social, gli Spurs hanno risposto in presa diretta, rilevando che le ragioni del taglio di Primo risiedono nelle ripetute avances sessuali di quest’ultimo nei confronti di una psicologa del team, la dottoressa Cauthen, per un totale di nove volte tra dicembre 2021 e lo scorso ottobre, in occasione di varie sedute psicologiche.
Da quel momento si è scatenato il caos, con la dottoressa che ha sollevato la questione a più riprese, venendo ignorata, fino a quando non si è decisa a intentare causa alla franchigia e al giocatore stesso. E da quel momento, è emersa una quantità di dettagli enorme. Questo è il comunicato della psicologa che ha intentato causa:
Invece di agire in base ai rapporti della dottoressa Cauthen, gli Spurs hanno ignorato le sue lamentele, sperando che l’organizzazione potesse ignorare e poi coprire le azioni di Primo. L’organizzazione degli Spurs era disposta a sacrificare la dottoressa Cauthen per mantenere quello che speravano un giorno sarebbe diventato un giocatore di punta. Una volta che la condotta di Primo è entrata nella sfera pubblica, gli Spurs sono stati costretti ad agire e tagliarlo. Le recenti azioni degli Spurs nei confronti di Primo sono troppo poche, e troppo tardi. Le dichiarazioni pubbliche degli Spurs sul taglio di Primo sono una farsa completa. La condotta degli Spurs trasmette un forte messaggio che, come altre importanti organizzazioni sportive, sono disposti a tollerare comportamenti aberranti da parte degli atleti e sacrificare dipendenti fedeli, purché l’atleta abbia successo in campo.
Per leggere la risposta dell’entourage di Joshua Primo vi rimandiamo al nostro articolo completo raggiungibile qui. Alla fine, tutte le parti coinvolte si sono accordate per risolvere la causa, ed è altamente improbabile che Primo metta di nuovo piede su un campo da basket.
Ime Udoka e le falle dei Boston Celtics
Il 2022 è stato anche l’anno di Ime Udoka, che la scorsa stagione ha compiuto qualcosa di impensabile: riuscire a portare la franchigia di Boston alle Finals NBA per la prima volta dal 2010, diventando solamente il quinto allenatore negli ultimi venticinque anni a riuscirci al primo anno. Ma è anche la persona sospesa per l’intera stagione 2022-2023 dai Celtics per il suo coinvolgimento in una relazione intima con un membro femminile dello staff della franchigia. La relazione è considerata una violazione delle linee guida dell’organizzazione, da qui la sanzione proposta per Udoka.
Il fatto, già di per sé sconcertante e giustamente sanzionato, è in realtà più delicato di quello che può sembrare: analizzando più a fondo la vicenda si scopre che ad avere falle nel sistema è la stessa organizzazione dei Boston Celtics.
Perché dal trattare da una tematica sensibile come un tradimento a materiale di gossip di poco conto il passo è davvero breve. Ed è un po’ quello che è successo alla franchigia del Massachusetts: non ha saputo (o non ha voluto) controllare il flusso di informazioni verso giornalisti e tabloid, sacrificando in gran parte la privacy dei diretti interessati. A partire da Ime Udoka, il cui futuro in NBA sarà sempre più in discussione (verrà sempre ricordato come quello che ha tradito sua moglie), al personale dello staff direttamente interessato.
Ma ancora peggio, la franchigia sembra non essere stata in grado non solo di garantire un adeguato livello di privacy a Nia Long, compagna da oltre dieci anni di Ime Udoka, e al figlio di undici anni, ma anche di non aver garantito adeguate misure di supporto psicologico e di prevenzione per casi come questi.
“Se vi occupate di proteggere le donne, mi dispiace, ma nessuno dell’organizzazione dei Celtics ha mai chiamato per sapere se sto bene e se i miei figli stanno bene”, ha detto Nia Long a The Hollywood Reporter in un’intervista. “È molto deludente. La cosa più straziante di tutto questo è stato vedere la faccia di mio figlio quando l’organizzazione dei Boston Celtics ha deciso di rendere pubblica una situazione molto privata. Ha ancora dei momenti in cui non è facile per lui”.
Quale futuro per la NBA?
Queste vicende hanno messo in luce due cose. La prima, e sicuramente la più apprezzabile, è che l’NBA sta finalmente mostrando di avere pochissimi margini di tolleranza verso le tematiche della violenza sulle donne e la violenza sessuale. Il caso di Miles Bridges, e prima ancora quello di Jeffery Taylor, lasciano spazio a poche interpretazioni: tali atti non sono ammessi; se vieni ritenuto responsabile, sei fuori dalla NBA.
La seconda cosa resa evidente, però, non assume gli stessi contorni positivi e progressisti messi in atto con la vicenda Bridges. Perché per una lega che vuole raggiungere la piena parità tra i sessi, riconoscere maggiormente il ruolo della WNBA, la tematica dell’equal pay e della visibilità, non è sufficiente. La parità tra sessi passa per molte altre cose, e i casi Primo e Udoka sono solamente i più eclatanti, ma ce ne sarebbero davvero molti altri.
Il buon proposito per il 2023 di Adam Silver deve essere questo: chiedere alle singole organizzazioni e franchigie una migliore gestione di questi episodi. Perché se è vero che la dottoressa Cauthen è rimasta inascoltata per mesi, e che gli Spurs fossero disposti a licenziarla pur di garantire un futuro a Joshua Primo; se è vero che Nia Long non ha ricevuto la protezione, per lei e per suo figlio, che ci si aspetterebbe da una simile situazione, dove la trasparenza è fin troppo eccessiva e sfocia nella violazione di privacy, allora abbiamo un problema ben più profondo di quello che si pensa.