L’insostenibile leggerezza di essere Kyrie Irving
di Andrea Capiluppi
Nell’omonimo romanzo di Milan Kundera, l’insostenibile leggerezza dell’essere è la frase che racchiude tutto il senso della vita. “Einmal ist Keinmal”, traducibile approssimativamente e male con “una volta è mai”, è un proverbio tedesco che Tomas, il protagonista del racconto, ripete spesso all’interno del libro: sostiene che ciò che avviene solamente una volta è come se non fosse mai avvenuto. Secondo Tomas, e secondo l’autore, l’uomo vive una sola volta, dunque è come se non vivesse affatto: prova ogni singola esperienza una sola volta, e sempre per la prima volta. Nella loro unicità, dunque, è come se non fossero mai esistite.
Possiamo banalmente ascoltare una canzone più volte, o guardare lo stesso film ancora e ancora, ma ogni singola volta non sarà mai come le altre: immagineremmo cose diverse, penseremmo cose diverse, proveremmo sensazioni diverse. E accadendo dunque una sola volta, e mai allo stesso tempo, nella loro unicità ogni scelta è contemporaneamente leggerezza e insostenibilità. Senza un metro di giudizio, senza la possibilità di un paragone precedente e senza poter tornare indietro, la vita diventa un paradosso insostenibile, pesante e nichilista: perché dovremmo cercare il significato di qualcosa se poi la prossima sarà completamente diversa? Perché dovremmo preoccuparci di vivere se è come se non vivessimo affatto?
Questa breve introduzione non ha il pretesto di spiegare la vita, o di intavolare una discussione filosofica, etica e sociologica sul senso della vita stessa. Piuttosto è l’unica spiegazione plausibile che riusciamo a trovare alla dimensione che Kyrie Irving ha assunto nel 2022.
Prima di tutto, è importante ricordare che Kyrie Irving è uno dei giocatori più talentuosi della sua generazione e forse della storia dell’NBA. Sette volte All-Star NBA, campione NBA con i Cavs, campione olimpico con Team USA. Le sue capacità di gestione della palla, i suoi movimenti e il suo indiscutibile talento sono appaiono dal vivo, su un parquet NBA, difficili spiegare.
Eppure, negli anni più recenti e specialmente nell’anno ormai concluso, Kyrie Irving ha dimostrato di essere una persona complicata e contorta, forse egoista, senza nascondere una superficialità a tratti irritante su tematiche piuttosto sensibili all’interno della lega. Per questo crediamo che Kyrie abbia raggiunto una dimensione mentale quasi ultraterrena, o comunque distaccata dalla realtà, dove è entrata in gioco la consapevolezza che “Einmal ist Keinmal”: alla fine dei conti siamo mortali, e vivendo una volta sola, è come se non vivessimo affatto. Tutto è relativo, e ogni scelta ha il suo leggerissimo peso.
La Terra è piatta
Non sappiamo dire con precisione cosa è successo nella testa di Kyrie Irving, o se ci sia stata qualche wake up call, ovvero quelle esperienze di vita (un viaggio, un documentario, una verità detta con la giusta convinzione da un conoscente) che ti fanno aprire gli occhi e realizzare e interiorizzare cose su te stesso che negavi fino a pochi istanti prima. Ma tornando con la mente al 2017, con il senno di poi, avremmo potuto tranquillamente cogliere i primi segnali di un Kyrie Irving cambiato. Sebbene fosse già noto per essere critico nei confronti dei media in molte occasioni, nel corso di quell’anno l’ex Cavs aveva iniziato a promuovere l’idea che la Terra fosse piatta.
È proprio davanti ai nostri occhi. Vi dico che è proprio davanti ai nostri occhi. Ci mentono. Non ci sono informazioni concrete, tranne quelle che ci danno. In particolare, vi stanno indirizzando verso cosa credere e cosa non credere. La verità è proprio lì. Bisogna solo andare a cercarla. Io l’ho cercata per un po’.
Che ci crediate o no, non sarebbe finita lì. Nel settembre dello stesso anno, Irving ha tentato di far passare la sua affermazione come una semplice presa in giro del pubblico. Tuttavia, appena un mese dopo avrebbe dichiarato che, dopo aver fatto delle ricerche personali, aveva scoperto che “non esisteva una vera immagine della Terra”. Solo nell’ottobre del 2018 Irving ha finalmente chiuso la questione scusandosi per non aver compreso l’effetto che le sue parole avevano sui giovani studenti, costringendo così gli insegnanti ad affrontare la situazione.
Ma se, come detto prima, uno di noi fosse tornato indietro nel tempo con quello che sappiamo oggi, avrebbe sicuramente identificato in Kyrie Irving un netto cambiamento di prospettiva e di atteggiamento. E avrebbe sicuramente saputo che quello che allora sembrava solamente un grande chiasso mediatico intorno a una strampalata dichiarazione di una Star NBA, era in realtà il preludio a qualcosa di ben più grande.
I vaccini contro il Covid-19
Perché come ben noto, nel pieno della pandemia l’ex Celtics ha deciso di non sottoporsi al vaccino anti Covid-19, qualcosa di ben più grave di dichiarare che la Terra è piatta. Senza dilungarci in una lunga disamina di ogni singolo passo del percorso, lo riassumeremo in questo modo: New York ha istituito un obbligo di vaccinazione a livello statale che prevede che gli intrattenitori e gli atleti – chiunque — debbano essere vaccinati se entrano in un palazzetto NBA. Il rifiuto di Kyrie di sottoporsi al vaccino ha ovviamente comportato la mancata partecipazione alla maggior parte delle stagioni 2020-21 e 2021-22 di Brooklyn, e probabilmente la fuga di James Harden verso Philadelphia.
La domanda è ovviamente solo una: perché?
La risposta a questa domanda non è banale, perché è il momento in cui il mondo NBA inizia a comprendere quanto Irving stesse entrando nella sua personale dimensione fatta di “Einmal ist Keinmal”. Ebbene, in un articolo di Rolling Stone dell’epoca si leggeva quanto segue: Irving, che ricopre il ruolo di vicepresidente del comitato esecutivo del sindacato dei giocatori, ha recentemente iniziato a seguire e apprezzare i post su Instagram (facendoli circolare all’interno di diverse chat WhatsApp tra altri giocatori NBA) di un teorico della cospirazione che sostiene che “società segrete” stanno impiantando vaccini in un complotto per collegare le persone nere a un computer principale per “un piano di Satana”.
Alex Jones e l’antisemitismo
Da qui alla realizzazione che una volta è mai, il passo è stato breve: nel 2022 il giocatore dei Nets è letteralmente sembrato essere del tutto non curante delle sue dichiarazioni e azioni. In pieno stile Tomas in “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera, Irving sembra aver posto il credo che non ha senso interrogarsi e rispondere delle proprie scelte sopra ogni cosa, senza considerare l’enorme effetto mediatico che la sua persona ha sui tifosi NBA (e non). In altre parole dalla retorica cospirazionista facilmente liquidabile si è avvicinato a idee e personalità che possiamo definire senza timori come offensive.
Il primo esempio di questo rinnovato atteggiamento è arrivato a settembre, quando l’ormai fu Uncle Drew ha condiviso idee cospirazioniste di Alex Jones, un personaggio radiofonico che si guadagna da vivere con la diffusione di teorie dal dubbio fondamento scientifico, logico ed etico. Il post condiviso da Irving è il seguente:
Ma a sembrare fuori luogo, più che il post, è il fatto che Alex Jones è anche la persona che ha diffuso l’idea secondo la quale la tragica sparatoria di massa alla scuola elementare Sandy Hook, che ha tolto la vita a 27 persone, di cui 20 bambini, sia stata inscenata e non si sia realmente verificata. È in questo contesto, che l’atteggiamento di Irving diventa preoccupante.
Per essere onesti, Irving ha preso le distanze da Jones quest’anno sulla scia della causa civile intentata contro il provocatore dai genitori dei bambini uccisi a Sandy Hook, ma non ha ritrattato le idee diffuse con quel video:
“Non sono d’accordo con la posizione di Alex Jones, con la sua narrazione, con il caso giudiziario che ha avuto con Sandy Hook. Il mio post era un post di Alex Jones che ha fatto all’inizio o alla fine degli anni ’90 sulle società segrete in America, sugli occulti, ed è vero”.
Ma il culmine della sua personale dimensione filosofica Irving lo ha raggiunto solamente a novembre, con lo scandalo sull’antisemitismo. La storia è andata così: Irving ha postato un link a un documentario controverso che è ampiamente considerato antisemita. Dopo un’intensa reazione, la stella dei Nets e la squadra stessa hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, oltre a donare 500.000 dollari alla Antidefamation League. Pur riconoscendo di aver causato un danno, Irving non si è scusato e il commissario della NBA Adam Silver (di religione ebraica) ha espresso il suo disappunto. Quando gli è stato chiesto se le sue opinioni fossero antisemite, Irving ha risposto in modo evasivo e i Nets, a quel punto, hanno preso la decisione di sospendere il loro giocatore senza stipendio per almeno 5 partite, per poi essere reintegrato qualche giorno dopo, solamente dopo aver rispettato 6 condizioni dettate dalla franchigia (e nel frattempo aver perso la sponsorizzazione da parte di Nike).
“Non sono qui per discutere di una persona o di una cultura o di una religione o di ciò in cui crede”, ha detto Irving. “No, questo è ciò che c’è qui. È su una piattaforma pubblica. Ho fatto qualcosa di illegale? Ho ferito qualcuno? Ho fatto del male a qualcuno? Sto forse dicendo che odio un gruppo specifico di persone?”.
Cosa ne sarà di Kyrie Irving?
Eppure, proprio nel punto più alto del suo credo che “Einmal ist Keinmal”, Kyrie Irving ha mostrato di avere ancora un minimo di tatto, o perlomeno di contatto, con il mondo terrestre. Quattro ore dopo l’annuncio iniziale della sua sospensione da parte dei Nets, Irving ha finalmente rilasciato delle scuse via Instagram, scrivendo:
“A tutte le famiglie e le comunità ebraiche che sono state ferite e colpite dal mio post, sono profondamente dispiaciuto di avervi causato dolore e mi scuso… Non avevo alcuna intenzione di mancare di rispetto alla storia culturale ebraica riguardante l’Olocausto o di perpetuare l’odio. Sto imparando da questo sfortunato evento e spero che si possa trovare comprensione tra tutti noi”.
Dopo le scuse di Irving, il direttore generale dei Nets Sean Marks ha dichiarato che Irving dovrà incontrare i leader ebraici e la squadra prima di poter tornare a giocare.
Insomma, essere Kyrie Irving in questo momento è estremamente difficile. Soprattutto nel 2022, il sette volte All-Star ha mostrato di possedere una noncuranza verso chi lo circonda semplicemente disarmante. Rinchiuso nella sua dimensione dove tutto è permesso, perché non ha senso pensare al significato delle cose se vengono vissute una volta sola, non solo ha messo in cattiva luce il mondo NBA, ma anche ferito il credo e i valori di milioni di persone, in un colpo solo.
E se le sue scuse fanno credere a un minimo di possibilità di ritrovare il vecchio Kyrie, questo resta tutto da vedere. In ogni caso, se c’è una cosa certa è che il futuro di Kyrie Irving nell’NBA – nonostante il suo immenso talento – è molto incerto: la lega ha dimostrato in questi anni di saper emarginare ed espellere con implacabile puntualità gli elementi ritenuti tossici. E solamente allora Kyrie potrebbe (forse) comprendere che l’atteggiamento di chi crede che una volta è mai non è il modo più idoneo di affrontare la vita, sia per sé stessi che per chi gli sta vicino.