La classe Hall of Fame del 2022: Manu e i suoi fratelli
di Carlo Giustozzi
A Springfield, Massachusetts, la città dove il professor James Naismith creò il gioco del basketball e organizzò la prima partita nel 1892, l’11 settembre si è riunito il meglio della NBA per l’annuale celebrazione dell’introduzione di ex giocatori, allenatori e arbitri nella Hall of Fame.
Il protagonista della serata era Emanuel David Ginóbili Maccari, per gli amici Manu, accompagnato sul palco dall’amico e compagno di una vita Tim Duncan. Le attenzioni mediatiche erano tutte, giustamente, puntate su di lui. Nel discorso di introduzione Manu ha ricordato gli inizi in patria, il fondamentale passaggio in Italia – prima a Reggio Calabria e poi a Bologna sponda Virtus – e, ovviamente, la lunghissima carriera in NBA. 1057 partite giocate con la maglia dei San Antonio Spurs, da titolare o da sesto uomo, in cui il mancino di Bahia Blanca ha messo l’anima in ogni minuto sul parquet. E il palmares parla da sé: quattro titoli NBA, due All-Star, un premio di Miglior Sesto uomo dell’anno e due All-NBA Third Team. Senza dimenticare l’oro olimpico di Atene 2004, il più alto momento cestistico nella storia dell’Albiceleste.
Tra gli ex giocatori recentemente ritirati e premiati impossibile non citare Tim Hardaway, cinque volte All-Star e primo quintetto NBA nel 1997, e due ex stelle della WNBA: Lindsay Whalen e Swin Cash. Nella sua leggendaria carriera, Whalen ha vinto quattro titoli con le Minnesota Lynx entrando per tre volte anche nell’All-WNBA First Team. Con Team USA ha portato a casa anche due ori olimpici a Londra 2012 e Rio 2016. Swin Cash, attualmente nel front office dei Pelicans, ha un palmares forse ancora più invidiabile. Ha vinto due titoli collegiali a UConn e tre titoli WNBA a Detroit prima e Seattle poi. Convocata quattro volte all’All-Star Game, Cash è ricordata come una delle migliori tiratrici del basket femminile. Dopo il ritiro si è dedicata come attivista alla lotta contro il razzismo e contro la violenza, appoggiando apertamente i movimenti per i diritti civili.
La cerimonia dell’introduzione nella Hall of Fame è anche l’occasione per ricordare alcuni personaggi del passato della pallacanestro, volti meno noti ma non meno importanti per la storia della palla a spicchi. Sono stati sette gli introdotti postumi: Hugh Evans, Lou Hudson, Larry Costello, Radivoj Korac e gli ex Harlem Globetrotters Wyatt “Sonny” Boswell, Inman Jackson e Albert “Runt” Pullins.
Nella sua lunghissima carriera da arbitro, Hugh Evans ha diretto 1969 partite di regular season e 35 di Finals. Non c’è modo migliore di descriverlo che nelle parole di Lenny Wilkens, nove volte All-Star e campione NBA da allenatore: “La sua integrità, la sua conoscenza del gioco e la sua professionalità lo rendevano uno degli arbitri migliori. Era sempre pronto a fare il suo lavoro, la sua preparazione era magnifica. Ogni volta che c’era lui ad arbitrare sapevo che non potevamo chiedere di meglio. Sapevamo che la partita sarebbe stata giusta e lui avrebbe chiamato tutto quello che vedeva. E’ stato un piacere poterlo conoscere”.
Hudson, ricordato col soprannome “Sweet Lou” per la sua purissima meccanica di tiro, ha giocato 11 anni agli Hawks, che hanno ritirato il suo numero 23. A proposito di tiratori, Larry Costello è stato forse l’ultimo giocatore a tirare “a due mani”, come si faceva fino agli anni ’50. Da allenatore, però, fu tra i più moderni della lega e tra i primi a introdurre lo studio dei videotape per migliorare e conoscere i propri avversari. In entrambi i ruoli ha fatto la storia del gioco, vincendo un titolo da giocatore e uno da allenatore, guidando i Milwaukee Bucks di Kareem Abdul-Jabbar nel 1971.
L’introduzione di Radivoj Korac come giocatore internazionale è il giusto riconoscimento per il cestista jugoslavo, uno dei più forti giocatori europei, scomparso nel 1969 a Sarajevo, a soli 31 anni, per un incidente stradale. In una partita di Coppa dei Campioni degli anni ’60 arrivò a sfiorare il record di Wilt Chamberlain, segnando 99 punti ma rimanendo in panchina negli ultimi minuti. Inman Jackson fu uno dei primi giocatori a portare negli Harlem Globetrotters l’estro comico che li ha resi un’icona dell’intrattenimento globale, mentre “Runt” Pullins era la vera stella della squadra e Sonny Boswell è ricordato per gli straordinari canestri dalla lunga distanza con cui deliziava il pubblico.
A George Karl non è mancato nulla durante la sua interminabile carriera da allenatore in NBA, nulla tranne un titolo. Nelle 27 stagioni in panchina, Karl ha vinto 1,175 partite di regular season e ha guidato la sua squadra per 22 volte ai Playoff. Le uniche Finals giocate, quelle del 1996 sulla panchina dei Seattle SuperSonics, si conclusero con la sconfitta in sei partite contro forse la squadra più forte della storia della NBA, i Chicago Bulls di Jordan e Pippen che finirono la stagione regolare con il record di 72 vittorie e sole dieci sconfitte. “Non sono mai riuscito ad arrivare alla vetta della montagna, vincendo un titolo” ha detto Karl nel discorso d’introduzione, “ma penso che la Hall of Fame mi aiuterà ad accettare i miei fallimenti”.
Gli altri allenatori premiati sono stati Bob Huggins, leggendario allenatore collegiale e tra i sei con almeno 900 vittorie in panchina, e Del Harris, per tanti anni head coach in NBA e vincitore del Premio di allenatore dell’anno nel 1995, che nel discorso ha ricordato che sarebbe dovuto diventare un pastore finché, al liceo, non si innamorò del gioco della pallacanestro. Concludono infine la lista delle allenatrici premiate Theresa Shank Grentz e Marianne Stanley, compagne di squadra ad Immaculata negli anni ’70 e premiate entrambe per la loro carriera in panchina. La prima ha vinto oltre 600 partite NCAA, mentre la seconda si è divisa tra il college e la WNBA, vincendo il premio di Coach of the Year della maggiore lega femminile nel 2002.
Un’edizione non ricca di ex stelle NBA, ci ha dato l’occasione di dedicare più spazio e più parole a personaggi che nella vita non hanno meritato forse l’attenzione oppure rischiano di essere dimenticati. La Hall of Fame come luogo della memoria ribadisce ogni anno la propria centralità preseravando il comune patrimonio di personaggi e storie che ha reso grande la pallacanestro.