11. Andrew Nembhard (=)
Il giocatore dei Pelicans mantiene la sua posizione grazie a un post All-Star piuttosto convincente. Innanzitutto perché ha ritrovato familiarità con il tiro dalla lunga distanza (35,4%), dopo un gennaio passato a tirare con un rivedibile 22%. Secondo, perché sta finalmente trovando continuità in attacco, andando in doppia cifra in 5 occasioni di fila e scollinando quota 20 per 2 volte di seguito (24 nella vittoria contro Milwaukee e 20 contro Philadelphia due giorni dopo).
Dovesse continuare così, i Pacers potrebbero ritrovarsi un quintetto davvero niente male: teniamo d’occhio il trio Haliburton, Mathurin, Nembhard per il futuro, perché ci sarà da divertirsi.
12. Malaki Branham (↑ 2)
Febbraio da incorniciare per Branham che ci spinge a riconsiderare al rialzo le sue quotazioni. Ha dato il meglio a livello di scoring, primeggiando tra i rookie per produzione offensiva: 11 partite disputate nel mese, 16.8 punti di media, 50% al tiro e un consistente 38.6 percento da oltre l’arco (su 5.2 tentativi a partita). A ciò si aggiungono giocate come l’alley oop recapitato a Keldon Johnson dalla rimessa nel finale del derby texano contro i Mavs, valso il supplementare. Un segno della fiducia – ampiamente ripagata – che Popovich gli sta concedendo.
13. Jaylin Williams (↑ 4)
Dal checkpoint di metà febbraio ha aggiornato il proprio massimo NBA per rimbalzi catturati – 16 nel largo successo contro Houston – e punti (15 più di recente, contro Golden State). Guida la classifica di lega per sfondamenti presi, così come accadeva lo scorso anno al college. La metà campo difensiva resta quella d’elezione e forse anche per questo non sfonda davvero nella nostra classifica. Intravede però la top 10: considerando che la stagione è al rettilineo finale, saremmo ben felici di vederlo scattare allo sprint per le prime 10 posizioni. Nel frattempo, con un occhio alla March Madness e l’altro al Draft venturo, culliamo con tutta la fan base Thunder un sogno.
14. Shaedon Sharpe (↑ 1)
Da qualche puntata ormai, con piccole variazioni, si è assestato attorno a metà classifica, nella nostra Ladder. Il giudizio va di pari passo e – rifuggendo dai toni entusiasti di inizio stagione – ci limitiamo a sottolineare i progressi evidenziati da coach Billups, che continua a tenerlo sulla corda.
“Shae è arrivato [in NBA] e per lui è stato difficile imparare. Non ha mai avuto l’opportunità di cimentarsi al college e poi boom. […] Ci sono molte cose da studiare, da vedere, ma sta prendendo la cosa molto seriamente e comincia a capire ciò che vogliamo come squadra, qual è il suo ruolo, cosa ci aspettiamo da lui ogni sera. […] Avrà sempre momenti folli, per il tipo d’atleta che è, ma sta iniziando ad apprendere le piccole cose.”
Il secondo anno NBA, nel suo caso, sarà particolarmente interessante. Spunti per una Sophomore Ladder il prossimo anno? Chissà.
15. Mark Williams (↓ 2)
Sempre più in ascesa, Mark Williams era in rotta per entrare nella Top-10 della nostra Rookie Ladder, se non fosse stato per un infortunio al pollice che lo ha costretto ad alzare bandiera bianca per quasi tutto marzo, e forse addirittura per il resto della stagione.
Peccato, perché dopo l’All-Star Game viaggiava su una doppia doppia di media da 10,5 punti e 9,4 rimbalzi di media. Per lui forse la regular season è già terminata, ma gli Hornets possono dire di aver pescato bene allo scorso Draft, perché hanno tra le mani un giocatore che potenzialmente potrà diventare un lungo di grande rilievo in un paio di anni.
16. David Roddy (↑ 6)
Zitto zitto David Roddy si avvicina alla Top-15 e per un soffio non ci entra. Tra ottobre e dicembre ne criticavamo l’apporto offensivo, con percentuali di realizzazione da rivedere (39% dal campo e 27,3% dalla distanza). Ma dopo la pausa di febbraio il giocatore dei Grizzlies sembra completamente cambiato, forse beneficiando dell’affaire Ja Morant: 50% dal campo, 36% da dietro l’arco, career-high da 24 punti l’11 marzo e 19 punti la partita successiva. Rinato.
17. Ochai Agbaji (↑ 4)
Nella scorsa puntata lo abbiamo eletto a scheggia impazzita della Rookie Ladder, dopo aver trascorso la prima parte di regular season tra NBA e G League. E questo mese ha continuato a sorprenderci: dopo l’All-Star break ha tenuto una media di 13,1 punti a serata in mezz’ora scarsa di gioco, tirando con un buon 36,7% dalla lunga distanza. A marzo è letteralmente esploso con 6 partite su 8 in doppia cifra, incluso il career-high da 27 punti contro Sacramento il 20 marzo. Chi lo ferma più?
18. Simone Fontecchio (↑ 6)
A cavallo del nuovo mese gli 0 punti in 20’ scarsi con 0-7 al tiro nella seconda di due partite consecutive contro gli Spurs rischiavano di costargli qualcosina, ma ha reagito con grande carattere inanellando discrete performance e regalandosi il primo quintetto base della carriera NBA (vs Mavs). In evidenza per i 16 punti contro OKC, 17 nel derby tricolore con Banchero, 23 contro Miami in uscita dalla panchina di cui 20 nel primo tempo. Non male, Utah, intanto è ancora in corsa per un posto al Play-in che varrebbe la postseason.
19. Christian Braun (↓ 3)
Una sola volta in doppia cifra per punti segnati nelle ultime 10 partite giocate, (a quota 0 in varie occasioni) eppure l’ex Jayhawks funziona come un coltellino svizzero nella rotazione dei Nuggets.
“È difficile lasciarlo fuori dal campo perché mette in fila una giocata vincente dopo l’altra.”, dice coach Malone. Come dargli torto? Alla luce di questo la posizione in classifica conta davvero poco o nulla.
Un anno fa, di questi tempi, Braun era nel pieno della corsa trionfale alla March Madness 2022 con i Kansas Jayhawks. Scenario radicalmente diverso, 12 mesi dopo, stesso piccolo-grande contributo ai risultati di squadra. Una dote rara.
20. Jaden Hardy (↓ 2)
L’impatto in uscita dalla panchina era già noto, ma ora Hardy ha avuto modo di confrontarsi anche con il ruolo – scomodo e stimolante per una matricola – di titolare. In assenza di Luka Doncic e Kyrie Irving, infatti, per tre partite consecutive si è trovato con in mano le chiavi della squadra, giocando sempre 35 e più minuti. 22, 28 e di nuovo 22 i punti a referto, rispettivamente contro Memphis (x2) e San Antonio. Il carico di responsabilità maggiore ha naturalmente inciso sulle percentuali al tiro, che frenano la sua ascesa in graduatoria.
Senza malizia, un onesto coach Popovich ha riposto alla sua maniera a precisa domanda sulle prestazioni di Hardy.
Più puntale invece, per ovvie ragioni Jason Kidd, che però evita fughe in avanti e non si sbilancia sul minutaggio che gli riserverà nell’auspicabile prosieguo della stagione (Playoff compresi).
“È cresciuto, ho visto tante buone cose. Non parliamo ancora di minuti Playoff, finiamo prima la regular season.”
L’approccio di Hardy nel frattempo, non cambia: “Sto provando ad approfittare dell’occasione”. Pronto è pronto, non c’è dubbio.