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Atlanta Hawks-URSS, quando la NBA sbarcò in terra sovietica

Tutti conosciamo la Guerra Fredda, la partita a scacchi che ha visto Russia e Stati Uniti muovere i pedoni sullo scacchiere politico mondiale: a scuola abbiamo studiato il dualismo tra queste due super potenze, abbiamo letto libri a riguardo e visto innumerevoli documentari e film. Uno di questi è ‘Rocky IV‘ dove ‘lo Stallone italiano‘ vola alla volta del Cremlino per affrontare Ivan Drago, macchina da guerra sovietica e assassino di Apollo Creed. Rocky, vincitore dell’incontro, nel monologo post match invitò gli USA, l’Unione Sovietica e il mondo in generale a cessare le guerre e vivere in pace. Tutto ciò accadeva nel 1985.

Tre anni più tardi, precisamente il 25 luglio, gli Atlanta Hawks e la rappresentativa dell’URSS posarono la prima pietra per costruire un nuovo rapporto.

I protagonisti: Gorbaciov, Turner, Wilkins e Volkov

La Guerra Fredda era sulla via del tramonto, grazie all’elezione di Michail Gorbaciov, nuovo leader del partito comunista. La sua politica si basava sulla ristrutturazione economica dell’Unione (Perestrojka) e sulla trasparenza sia nella comunicazione sia nell’apertura a stringere nuove relazioni internazionali (la cosiddetta Glasnot’). Proprio su quest’ultimo punto fece leva per provare ad allacciare nuovi rapporti con gli USA, sfruttando la linea diplomatica con uno degli uomini più potenti nel panorama economico statunitense: Ted Turner.

A tendergli la mano ci furono dunque Ted Turner, allora proprietario degli Atlanta Hawks, e David Stern, commissioner NBA: il primo, patron della CNN, aveva ottimi rapporti con il Cremlino visto che aveva organizzato i ‘Goodwill Games‘ a Mosca nel 1986, manifestazione in risposta ai boicottaggi statunitensi e sovietici delle Olimpiadi di Mosca ’80 e Los Angeles ’84; inoltre Turner voleva imporsi nel panorama televisivo dell’Est Europa. Stern, dal canto suo, voleva espandere ancora il marchio NBA e portare nella lega i giocatori più promettenti dell’Unione Sovietica, vera fucina di talenti.

Le Olimpiadi di Seul erano alle porte, così venne organizzato un mini-tour di tre partite in tre città diverse: Tblisi, Vilnius e Mosca.

Gli Atlanta Hawks erano guidati da Mike Fratello, coach che nella stagione 1987-88 li aveva guidati fino alle semifinali della Eastern Conference, dove furono sconfitti poi dai Celtics di Larry Bird. La punta di diamante era Dominique Wilkins, grande rivale di Bird, oro ai mondiali del ’94, uno dei migliori realizzatori della storia NBA, nonché uno dei 50 migliori giocatori della lega. A supporto di ‘The Human Highlight Film’ c’erano Cliff Levingston, Kevin Willis, Doc Rivers, John Battle e Spud Webb, idolo dei suoi colleghi sovietici dopo che aveva vinto – dall’alto dei suoi 170 centimetri di altezza – la gara di schiacciate nel 1986 contro Wilkins.

Dominique Wilkins con la maglia degli Hawks

L’URSS aveva giocatori provenienti da tutta l’Unione: Georgia, Lituania, nazione che vive il basket come una religione, Russia e Ucrania. Era di Kiev Alexander Volkov, ala grande di belle speranze che l’anno successivo vestirà proprio la maglia degli Hawks. L’altra superstar era Sarunas Marciulionis, guardia lituana, scelto nel Draft ’87 dai Golden State Warriors, ma che entrerà in NBA solo nel 1989: vi giocò per molti anni, vestendo anche le maglie dei Seattle SuperSonics, fino a entrare nella Hall of Fame nel 2014.

Il capitano della squadra era Sergej Tarakanov, leggenda del CSKA Mosca e predatore di medaglie: 9 in totale, di cui 5 ori. Dirigeva l’orchestra Aleksander Gomelsky, uno degli allenatori più vincenti della storia della pallacanestro.

La rappresentativa dell’Unione Sovietica era una gran bella squadra, anche se non aveva a disposizione un altro pezzo da novanta: Arvydas Sabonis, centro lituano, un giocatore dominante. Scelto dagli Hawks al Draft ’85 la NBA annullò il trasferimento visto la sua età – aveva 20 anni: Sabonis subì un grave infortunio al tendine di Achille che lo tenne ai box per diverso tempo. Portland provò comunque a prenderlo, senza alcun successo. Nel 1989 i Blazers tornarono alla carica, ma Sabonis preferì rimanere in Europa: giocò per il Vallalolid e per il Real Madrid, poi nel 1989 volò in Oregon, dove diventò una leggenda dei Blazers tanto da essere inserito nella Hall of Fame.

Con tutti gli uomini al completo, il tour poteva finalmente iniziare. Prima tappa: Tiblisi.

3 città, 3 partite: la trilogia Hawks-URSS

Arrivati a Mosca, gli Hawks viaggiarono con i loro avversari fino a Sukhumi, villaggio olimpico sulle rive del Mar Nero.

Il viaggio fu un’odissea: volo di linea in compagnia di civili e animali, nessun tipo di servizio se non una ciotola d’acqua condivisa. L’arrivo nella struttura non migliorò la situazione, visto che l’albergo si trovava nella zona rossa del conflitto Abkhaz-georgiano, senza acqua calda e aria condizionata, pochi pasti ed era preso d’assalto dalle zanzare.

Ciliegina sulla torta il cibo, vero e proprio incubo come ha raccontato qualche anno fa Steve Holman, storico commentatore radiofonico degli Hawks:

“Adesso ci ripenso con affetto, ma allora fu un incubo: per due settimane mangiammo cetrioli, pomodori accompagnati da vodka calda.” 

Peripezie a parte, tra le due squadre si era creato un bel rapporto di amicizia: durante il ritiro di Sukhumi, gli atleti passavano intere serate a bere e a cantare, con Doc Rivers cantante e Marciulionis alla chitarra. Un evento che straordinario per i giocatori sovietici, felici finalmente di vedere e giocare contro i loro idoli, come rivelò Volkov a Sports Illustrated:

“Non potevamo credere che fosse finalmente successo. Eravamo così entusiasti: era come aver visto un film e poi, finalmente, vedere l’attore faccia a faccia.” 

Volkov, Marciulionis & Holman
Credits to: Steve Holman; via: nba.com

La prima partita si giocò il 25 luglio: 10.000 persone, tra cui la madre di Zaza Pachulia, erano pronte a godersi lo spettacolo. Gli Hawks erano privi di Wilkins che aveva viaggiato da solo e aveva perso la coincidenza per Sukhumi. Risultato? Bloccato a Mosca per 12 ore senza parlare russo e con pochi soldi a disposizione.

Sabonis a parte, i sovietici erano al completo. Fu una partita tirata, Marciulionis trascinò i suoi con 25 punti ma, alla fine, vinsero gli Hawks per 85-84: decisivi i 17 punti di Wood, i 13 di Levingston in aggiunta ai vari Willis, Battle e Rivers.

Gara 2 si giocò allo Sporto Kumai Center di Vilnius, dove non bastarono i 26 punti di Chomicius, i 18 di capitan Tarakanov e le buone prestazioni del duo Volkov-Marciulionis a regalare la vittoria ai sovietici. Vinse ancora Atlanta, 110-105 all’overtime: furono decisivi i 29 punti del ritrovato Wilkins e i 21 di Levingston a regalare la vittoria alla compagine di Mike Fratello.

L’URSS non si voleva arrendere, ci teneva a vincere almeno una partita. L’ultimo atto si tenne a Mosca al Lenin Sports Palace: con Marciulionis uscito malconcio da gara 2, Gomelsky puntava tutto su Volkov. L’Unione Sovietica tenne le redini del gioco per tutta la partita, rischiò di essere raggiunta solo nel terzo quarto, ma alla fine vinse in scioltezza 132-123: 24 punti di Volkov e 19 di Marciulionis, entrato in campo con una vistosa fasciatura al ginocchio.

Fu una grande esperienza per tutti: gli Hawks vinsero due partite, l’URSS si allenò in vista delle Olimpiadi – dove la selezione conquistò l’oro – e per la NBA ci fu una grande svolta.

Come è cambiata la NBA dopo Hawks-URSS

Questo tour ha avuto un impatto molto forte sugli sviluppi della NBA. Da quel momento, la lega ha favorito e intensificato iniziative di questo tipo, andando a giocare anche in località dove non era mai stata prima, diventando sempre più globale.

L’obiettivo di David Stern era quello di aprire le porte della NBA ai giocatori dell’est Europa e non solo. Prima Volkov nel 1989, poi Sabonis nel ’95 fino ai più recenti Valanciunas, Domantas, Sabonis Jr e Porzingis sono solo alcuni dei giocatori dei Paesi dell’ex Unione Sovietica ad aver calcato il parquet NBA.

Come Stallone nel suo film, gli Atlanta Hawks e la rappresentativa dell’URSS hanno dimostrato che si può passare da un: “Ti spiezo in due” a un “Na zdorovie” (“alla salute” in russo), divertendosi cantando, bevendo e giocando a basket.

 

Pubblicato la prima volta il 25 luglio 2020

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Pubblicato da
Emanuele Carlo Bozzo

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