Prima non riesce a parlare, tra la sua commozione e i vari Let’s Go Heat urlati dalla platea. Poi come un fiume in piena, apre il cassetto dei ricordi per quasi mezz’ora. Dwyane Wade è ufficialmente un nuovo membro della NBA Hall of Fame.
“Conoscere tutti voi (Gasol, Parker, Nowitzki) come uomini e non come sportivi è stato fantastico. Per me e Dirk è stata come una seduta da uno psicologo. Dopo tutte le battaglie uno contro l’altro, chi avrebbe pensato che saremmo finiti nella stessa squadra?”
Il discorso di Wade parte da lontano, quando lui ha cinque anni e prende per la prima volta un pallone da basket in mano. Fu amore a prima vista.
“Sentivo che qualcosa dentro di me si ravvivava ogni volta che giocavo. Devo ringraziare mio padre perché mi ha trasmesso l’amore per il gioco. Portava me e i miei fratelli a giocare a Chicago contro adulti, perché voleva noi guadagnassimo il loro rispetto. […] Volevo essere come lui. Così quando tra le sue partite c’erano delle pause, io correvo in campo e provavo a imitarlo.”
Ma il basket non era solo competitività. Era anche legami con le altre persone, che fossero familiari o amici; combattimento puro, perché lì non c’erano arbitri che fischiavano e non c’era tempo per lamentarsi. Era la birra fredda condivisa con chi pochi minuti prima aveva lottato contro di te. E così presto, in una città che come Chicago respirava pallacanestro, questa diventa una ossessione per il piccolo Dwyane.
Passa dall’imitare le mosse del padre a imitare quelle di Micheal Jordan. Provarle e riprovarle finché non gli venivano perfette.
“Mi ero accorto che il basket era la mia tela bianca. Lo usavo per ridipingere e ri-immaginare la mia vita, nonostante tutto ciò che stava davvero succedendo al di fuori. Era il mio santuario, la mia via di fuga. Il gioco mi ha permesso di capire chi sarei potuto diventare. […] Sono su questo palco perché ciò in cui credo è sempre stato più forte del dubbio altrui.”
Il discorso vira sul suo eroe personale, che nel weekend della Hall of Fame lo ha accompagnato: Allen Iverson. Perché, secondo Wade, gli eroi non devono essere intoccabili. Devono essere in carne e ossa, in modo che ci si possa immedesimare davvero. Ee per lui quel ruolo è stato ricoperto proprio da The Answer.
Quando ti guardavo, vedevo un mio riflesso. Non importava chi ti marcasse, nessuno ti fermava. Lo so, perché ci ho provato pure io. Hai sfidato le norme convenzionali, ispirando molti ad abbracciare la loro unicità. Sei un esempio vivo del fatto che redenzione e crescita siano possibili. […] Ho indossato la manica termica sul braccio e il numero 3 sulla schiena tutta la mia carriera per imitare te. Dal più profondo del cuoree, tu sei the culture, ti vogliamo bene e ti ringraziamo.”
Arriva poi il turno dei ringraziamenti personali, a tutte quelle persone che lo hanno fatto evolvere e crescere lungo la sua carriera. Dagli allenatori, ai compagni di squadra (Bosh, LeBron, Haslem, Mourning, Shaq e tanti altri), agli amici e ai familiari.
Per finire con la moglie Gabriell Union, la madre e il padre. Toccante l’ultima parte, dedicata proprio alla figura di Dwyane Wade Senior.
Sono in debito con te, non riuscirò mai a ripagarti. Quando piangevo, tu mi incitavi ad andare più forte. Ho lavorato sodo perché non volevo deluderti. Quella volta in cui mi allenavi e sei stato cacciato dalla partita, ma sei sgattaiolato dentro di nuovo e hai iniziato ad allenarmi dalle tribune per poi essere di nuovo cacciato. Avevamo lo stesso sogno, abbiamo lo stesso nome. Quindi, papà, vieni con me qui sul palco mentre facciamo il nostro ultimo passo verso il paradiso della pallacanestro. Siamo nella Hall of Fame!”
E un abbraccio chiude il tutto nel migliore dei modi.
Leggi Anche
Hall of Fame 2023, il discorso di Dirk Nowitzki: “La chiave di tutto è stata la lealtà”
76ers, Philadelphia toglie Harden dal mercato NBA
Hall of Fame 2023, il discorso di Popovich: “Inimmaginabile. A 30 anni allenavo in Division III”