Bastano poche parole per aprire questa rubrica che proverà a raccontarvi, ogni sabato, quello che succede in giro per l’NBA, dentro e fuori il campo. Questa è una settimana particolarmente importante per noi appassionati: oggi inizia la regular season, e quindi comincia quel caos fatto di partite, highlights, record di giocatori e infortuni che ci accompagnerà fino ad aprile.
Ci sarebbero tanti temi di cui parlare, per questa stagione che si preannuncia storica e combattuta: Milwaukee e Boston a est e Phoenix a ovest si sono rafforzate e puntano al titolo, ma dovranno vedersela con i Nuggets campioni in carica. LeBron ha iniziato la sua 21esima stagione in NBA, mentre Wemby è alla sua annata da rookie, ma molti già lo considerano un talento generazionale.
Però, per aprire la rubrica, vorrei dedicare qualche riga a un giocatore che in questa stagione non rivedremo in campo dopo 19 anni e 1408 partite giocate. Sto parlando di Andre Iguodala, che il 20 ottobre ha annunciato il suo ritiro ufficiale.
Era qualche stagione che Iguodala, complice l’età che inevitabilmente avanzava, non riusciva a più a tenere i ritmi della lega. Golden State però lo ha sempre voluto tenere nel roster, un po’ per la sua leadership indiscussa nello spogliatoio e un po’ per riconoscenza.
Possiamo dividere la carriera di Iguodala in due parti, dove la soluzione di continuità è data dal suo arrivo nella Baia. Nei suoi primi anni di NBA ha vestito per otto stagioni la maglia dei Sixers, prima affiancando Allen Iverson e poi diventando il volto della franchigia. Di questo lungo spezzone di carriera rimangono soprattutto alcune grandi schiacciate, immagini del suo atletismo pazzesco, e molti game winner allo scadere.
Ha passato pure mezza stagione a Denver prima di firmare, nel luglio del 2013, un contratto quadriennale con gli Warriors. Quella di Golden State è una squadra giovane, ricca di talento e con un play non troppo alto, Steph Curry, che ha un tiro eccezionale ma anche qualche problema con le palle perse. E’ con l’arrivo di Iguodala che gli Warriors mettono l’ultima colonna portante (prima di KD) per formare il superteam che dominerà l’NBA per quasi un decennio.
Nella sua biografia (Il sesto uomo, ADD Editore), Iggy racconta di come un ragazzo di Springfield, una cittadina dell’Illinois, è riuscito a diventare una stella della NBA, vincere un MVP delle Finals e giocare in quella che è forse la squadra migliore di sempre. La sua storia è fatta di allenamenti alle cinque del mattino, rinunce e fatiche da parte sua e di sua madre Linda. Lei che, racconta il figlio nella biografia, un inverno non comprò il cappotto per permettere ai figli di avere tutto quello che necessitavano. Iguodala ha capito fin da bambino che cosa siano i sacrifici, e che non serve per forza partire titolari per essere campioni.
I 3 MOMENTI DELLA SETTIMANA NBA
Il pazzo game winner di Doncic
Con una sequenza impressionante Luka mette quattro triple consecutive, tra cui un decisivo gancio da tre con l’appoggio del tabellone. Le parole migliori sono quelle dell’ex compagno Dorian Finney-Smith: “S—, he couldn’t even see the rim and he made that mug”
L’esordio di Wemby
Il rookie più atteso dai tempi di LeBron è finalmente sceso in campo. Dopo un esordio non facilissimo, nella notte italiana tra venerdì e sabato ha raccolto da protagonista la sua prima vittoria in NBA.
La prima di Damian Lillard con i Milwaukee Bucks
A inizio settembre i Bucks hanno fatto il vero colpo di mercato di questa offseason, andando a scambiare con Portland per portare Lillard nel Midwest. Le aspettative erano alte, e il suo esordio non ha deluso: 39 punti e vittoria con tripla in Dame Time.