L’NBA ha un grosso problema: Draymond Green. Nell’ultimo decennio abbondante, Draymond è stato una delle colonne portanti della dinastia Warriors. Sì, c’erano Curry e Klay Thompson, Iguodala e KD, Shaun Livingston e coach Steve Kerr. Ma lui, Draymond Green, è stato uno dei simboli degli Warriors vincenti. Odiato dagli avversari e dai tifosi delle altre squadre, specie i LeBroniani, per il suo atteggiamento in campo e fuori, per il suo essere ricordato più per giocate “sporche” che per highlights di triple o schiacciate spettacolari, a differenza di tanti altri giocatori sicuramente in grado di dare un apporto minore in campo.
D’altronde, Dray non è mai stato interessato a rimanere simpatico. Fin dal suo ingresso in NBA, nel Draft 2012, quando venne scelto al secondo giro dagli Warriors dopo che le altre 29 squadre gli avevano preferito qualcun altro, considerandolo un ottimo agonista ma con troppi limiti. E pensare che Green non doveva neanche finirci, nella Baia. Come ha raccontato il mese scorso, sarebbe dovuto andare ai Pacers, che avevano la 26esima scelta assoluta. Però Larry Bird, che era il presidente di Indiana, si dimise pochi giorni prima del Draft, i Pacers scelsero Miles Plumlee e Green arrivò a Golden State.
Agli Warriors ha contribuito a scrivere un pezzo fondamentale della storia NBA: quattro anelli, il miglior record della regular season (quel 73-9 della stagione quasi perfetta), e a livello individuale il premio di miglior difensore (2017) oltre a parecchi inserimenti nei quintetti All-NBA e All-Defensive Team.
La domanda sorge però spontanea: tra dieci, quindici anni, cosa ci ricorderemo di Draymond Green? Lo ricorderemo per i titoli vinti, per l’agonismo messo in campo o per il suo quoziente cestistico ben sopra la media? O per le scene di cui è stato protagonista negli ultimi mesi?
Da due anni a questa parte, di Draymond hanno fatto discutere solo alcuni momenti ben oltre il regolamento. Il primo episodio risale all’ottobre 2022. Gli Warriors stanno preparando la stagione, e un video fatto da un telefono ritrae i giocatori fermi in campo, forse per lavorare su uno schema. A un certo punto Green rivolge qualche parola verso Jordan Poole, che si trova sulla linea di fondo, e lo affronta “di petto”. Il compagno di squadra non si tira indietro, e cerca di scansarlo con una spinta prima di ricevere un pugno. La squadra li separa, e Green si scuserà più volte per quel suo gesto inspiegabile, dovuto a un pessimo periodo privato.
Pochi mesi dopo, in Gara 2 del primo turno di Playoff contro i Kings, Green si lascia andare a un altro gesto incomprensibile. A sette minuti dalla fine dell’ultimo quarto viene espulso dopo aver rifilato un brutto calcio al petto a Sabonis. Gli occhi del commissioner Adam Silver, che ha sempre lavorato per rendere la NBA una lega vicina al pubblico, sono ormai puntati sul 23 degli Warriors.
E all’evento successivo, ancora più grave, non può che arrivare una sospensione importante. In una sfida contro Minnesota, durante un momento di tensione tra le due squadre Green si aggrappa al collo di Rudy Gobert e inizia a portarlo via. Quelle immagini non sono tollerabili per la NBA, che lo sospende per dieci partite.
Quella sanzione non è però bastata per far riflettere Draymond, che dopo quanto successo con Nurkic è stato sospeso a tempo indefinito. La scelta della lega è chiara. Se avessero dato una sospensione di 15, 20 o anche 30 partite, Green avrebbe aspettato il tempo necessario e poi sarebbe tornato in campo come se non fosse accaduto nulla. L’NBA vuole però invitare il giocatore a riflettere sulle sue recenti azioni, anche con l’aiuto di Steve Kerr, della franchigia e di un’equipe di psicologi ed esperti del settore pronta ad affiancare il giocatore.
Proprio Kerr, pochi giorni fa, ha parlato di questa situazione. Ha detto che crede cecamente in Green, e continua ad apprezzarlo e stimarlo come persona. Ma ha anche aggiunto che quel ragazzo che ha afferrato e strozzato Rudy [Gobert], che ha dato un pugno a Jusuf [Nurkic] e Jordan [Poole] “deve cambiare”.
Le parole dell’head coach sono sacrosante, ma come ha sottolineato Jim Trotter su The Athletic, non si possono sottovalutare le responsabilità sue e dell’intera organizzazione Warriors. Per un decennio non solo hanno taciuto, ma spesso hanno anche sostenuto i suoi comportamenti in campo. Green ha sempre avuto questo atteggiamento da bullo. Su internet sono diversi gli “highlights” che mostrano Green compiere falli violenti, colpendo spesso le parti intime degli avversari. Solo che la sua presenza in campo era fondamentale, in attacco come in difesa, e gli Warriors hanno sempre tollerato e difeso i suoi momenti di nervosismo.
Dall’inizio della sua carriera Draymond si è costruito un personaggio di giocatore “violento”, da non far arrabbiare. Ma con il declino degli Warriors questo suo lato ha finito per accentuarsi ancora di più. Senza entrare nella sfera personale del giocatore, che non posso conoscere e su cui non voglio fare speculazioni, credo che Green stia vivendo un momento di disagio.
In tal senso, sono importanti le parole dette da Gobert e Nurkic, le due “vittime” delle ultime settimane. Secondo loro Draymond va aiutato, perché è chiaro che sta passando un periodo di difficile, e i comportamenti in campo sono solo una manifestazione di qualcosa di complessoche vive nella sua mente.
Draymond avrà bisogno di sostegno per superare questo periodo. La sospensione della lega a tempo indeterminato è stata una scelta audace della NBA, che ha una prova molto difficile davanti. Riuscirà ad aiutare uno dei volti della lega degli ultimi anni? O dovrà aspettare il prossimo episodio per, magari, sospenderlo per una stagione o non farlo più tornare in campo? Non ho risposte, ma spero che tutto andrà per il verso giusto.