La NBA ha annunciato martedì la chiusura del programma Ignite della G League. Il motivo? Le nuove politiche di trasferimento e NIL della NCAA, che hanno tolto completamente l’appeal che il salto dalla high school al professionismo della seconda lega NBA avevano fino a pochissimo tempo fa. Così l’America dice addio alla squadra che ha accompagnato giocatori del calibro di Jalen Green, Scoot Henderson e Jonathan Kuminga fino al massimo livello.
“Quattro anni fa abbiamo avviato Ignite per colmare un vuoto nel panorama della pallacanestro e sono orgoglioso del contributo che siamo riusciti a dare a questo ecosistema. Con l’evoluzione dell’ambiente del basket giovanile e collegiale, è il momento giusto per fare questo passo”.
Questa la spiegazione del presidente della G League Shareef Abdur-Rahim. Un’annata che già in campo non è andata per le migliori: un record di 2-28 che è già un lampante sintomo dell’assenza completa di talento, attratto dai milioni dei college. La commercializzazione della propria immagine ha reso ricchi molti giocatori giovanissimi, ben prima della possibilità di firmare un contratto. E Ignite, così, non conviene più. Se Jalen Green aveva fatto parlare di sé accettando l’offerta da 500mila dollari per entrare in Ignite, ora le cifre nella NCAA si sono alzate considerevolmente. E mentre prima il programma di G League era pensato per arginare le diaspore in campionati lontani dagli Stati Uniti (si pensi all’Australia per LaMelo Ball), di questo adesso non c’è più bisogno.
Svanisce così uno dei progetti che sembrava aver proiettato la NBA nel futuro. Un peccato, perché l’esperienza di G League garantiva ai migliori prospetti di confrontarsi ogni sera con giocatori di altissimo livello e già formati fisicamente. Ma money talks.
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