Per Steph Curry è cambiato tutto nel giro di pochissimi anni. Dai titoli (4 in 7 anni), dal legame con i “Fratelli dello Splash”, dal mondo che cadeva ai suoi piedi. Fino a oggi: si trova con il fratello Klay Thompson in canotta Mavericks, lo storico gm Bob Meyers ha detto addio. Steph stesso è stato dimenticato dal mondo del basket che si muove ormai troppo veloce, e si trova lontano da qualunque aspirazione concreta al titolo. O meglio, così dicono. Non lui.
“Sono molto fiducioso nel fatto che essere qui e diventare una squadra vincente e importante sia possibile. Fino a prova contraria, questo è il mio modo di procedere”.
Queste sono le parole con cui Curry ha concluso la conferenza stampa con cui i Golden State Warriors hanno aperto la loro stagione, il cosiddetto Media Day. Inevitabili le domande sul rinnovo del contratto, firmato questa estate e che lo terrà nella Baia di San Francisco fino al 2027 alla cifra da capogiro di quasi 180 milioni per i prossimi 3 anni. Non è stata una questione di soldi, ha spiegato Curry, ma di fedeltà:
“Non è un segreto… il mio obiettivo è sempre stato ed è tuttora quello di essere un Warriors a vita e di rimanere competitivo durante tutto il processo. So che è una cosa inaudita, visto l’elenco esiguo di persone che si sono trovate in questa posizione”.
Un rinnovo di cuore, come di cuore è stata anche la tempistica dell’annuncio: ben prima dell’inizio della stagione per togliersi fin da subito – e togliere al front office – il pensiero.
“Onestamente, è stata importante la possibilità di renderlo ufficiale e non lasciare che questo sia una distrazione o un argomento di discussione per tutto l’anno. Non importa cosa succederà durante questa stagione, la prossima e il terzo anno successivo. Tutte le mie energie sono spese per prepararmi a giocare a un livello molto alto, a fare la mia parte e a far parte di questa squadra per vincere. Il resto si rivelerà con il passare del tempo. Questo è il modo in cui voglio affrontare la situazione”.
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