Roy Hibbert, nella partita persa la scorsa notte dagli Indiana Pacers contro gli Atlanta Hawks, ha giocato soltanto 20 minuti, catturando un solo rimbalzo e mettendo a referto la bellezza di zero punti. Al termine dell’incontro, come riportato da Mike Wells su Twitter (social network frequentato molto più delle sale stampa da tutto l’apparato NBA), per la prima volta in cinque anni di carriera NBA, il giocatore non si è presentato ai microfoni per i commenti del postpartita. Il coach di Indiana Frank Vogel ha commentato la partita di Hibbert dicendo semplicemente: ” Lui non ne aveva stasera”.
Il problema sta nel fatto che il centro dei Pacers ha mostrato di non averne in molte occasioni in questi primi mesi di Regular Season, giocando ben al di sotto del livello al quale si pensava potesse esprimersi. Con Danny Granger fuori causa ancora per qualche mese e con il solo Paul George che in qualche modo cerca di cantare e portare la croce, Indiana ha un bisogno disperato dei punti del suo centro titolare. Hibbert in questo inizio stagione sta tirando con il 40.4% dal campo, con una media di soli 9.5 punti a partita.
Troppo poco per un giocatore che (va ricordato) è un 26enne alto 2.18 m, fisico statuario con mani educate. Questa estate, dopo il sorprendente piazzamento da parte dei Pacers agli ultimi Playoff, molte franchigie NBA hanno provato a convincerlo a trasferirsi, costringendo Indiana a fargli firmare un maxi contratto che porterà quest’anno nelle tasche del giocatore arrivato da Georgetown University (quella di Patrick Ewing, Alonzo Mourning e Dikembe Mutombo per intenderci) la bellezza di 13,67 milioni di dollari.
Lo scarso rendimento dal campo del giocatore è riconducibile al suo 47% dall’interno dell’area, sbagliando percentualmente di più di quanto non segni dalla lunetta. Considerando che il valore medio NBA dall’interno del pitturato è pari al 63% si capisce come siano “negativi” questi dati, che peggiorano appena togliamo dal conteggio totale le schiacciate (20 su 23 in stagione), arrivando ad una percentuale del 37%. Queste sarebbero considerate terribili se associate a qualsiasi centro, a maggior ragione nel caso in cui questo sia fisicamente dominante e possa prendere spesse volte i tiri letteralmente sopra la testa del proprio diretto avversario (come i 218 centimetri permettono ad Hibbert di fare).
A questo punto la domanda sorge spontanea: qual è il problema? E’ un’anomalia statistica legata a queste prime 30 partite oppure c’è qualcos’altro?
Una delle ipotesi (credo anche la più accreditata) è che Hibbert sta combattendo dall’inizio della stagione contro il dolore provocatogli da un infortunio al polso che il giocatore si porta dietro dal finale della scorsa stagione. Tim Donahue all’interno del blog “8 punti, 9 secondi” analizza a fondo l’andamento delle percentuali al tiro, come riportato all’interno del grafico sottostante.
La percentuale dal campo drasticamente crollata lascia intendere che inevitabilmente qualcosa è cambiato nel giro di poco ed una “variazione” così palese è riconducibile soltanto ad un evento traumatico. Anche se il problema sembra risalire alla serie di Maggio contro gli Heat, dall’inizio di Novembre il problema sembra essersi aggravato e non poco.
I problemi al polso ovviamente hanno portato il giocatore dei Pacers a modificare la tipologia delle conclusioni prese, aumentando in maniera considerevole sia jump shot che tip shot, riducendo lay up e hook shot (che richiedono un utilizzo maggiore del polso, a differenza del jumper che può essere giocato spingendo il più possibile con il braccio, riducendo lo sforzo sulla giuntura tra mano e avambraccio). Queste variazioni sono riportate nel grafico seguente.
Come già precedentemente anticipato, gli hook shot (i ganci per intenderci) che sono la prerogativa dell’arsenale offensivo del centro di Indiana, sono scesi dal 34% al 28%, al quale è corrisposto un aumento degli jump shot che ad oggi sono la tipologia di soluzione privilegiata nel suo range offensivo. A questa variazione numerica è seguita anche quella nella percentuale di realizzazione in cui, schiacciate a parte, si è avuta una contrazione generale del rendimento.
La riduzione più importante, anche in questo caso, è quella agli hook shot che, non solo si sono ridotti in numero, ma hanno subito anche un crollo percentuale, passando dal 62% della scorsa stagione al 47% di quest’anno, rendendo molto meno efficacie quella che era la principale freccia all’interno della faretra che Hibbert poteva vantare.
Approfondendo proprio il discorso riguardo a questa tipologia di tiro, risulta evidente dall’analisi delle carte di tiro messe a confronto che, a differenza di quanto si potesse pensare ad un’analisi superficiale, in realtà le zone all’interno delle quale il giocatore prende il suo hook shot non sono cambiate. Vediamo in dettaglio.
A sinistra è riportata quella dello scorso anno, mentre a destra quella dell’attuale regular season. A parte la disparità del numero di conclusioni (legata anche al fatto che sono parametrate una su 80 partite e l’altra su 30) è evidente che le zone all’interno delle quali sono state prese le conclusioni sono le stesse. Uno dei punti deboli delle caratteristiche di gioco di Hibbert è che nel momento in cui viene “allontanato” dal canestro, portato cioè 1 o 2 metri più lontano del dovuto dal centro dell’area, il suo tiro perde drasticamente di efficacia. In questo inizio di stagione questo non sembra essere avvenuto, sintomo del fatto che è venuta meno la qualità del tiro a prescindere dal tipo di difesa fatta contro di esso.
Per concludere l’analisi riporto infine la mappa di tiro di cui in parte si è già precedentemente parlato.
Risulta evidente come le conclusioni prese in quello che gli americani chiamano “rim”, cioè il cerchio nei pressi del canestro, presentino soltanto in una delle 4 zone una percentuale superiore al 45% (cioè di poco superiore a quella media della Lega). Il dato che oggettivamente balza agli occhi è il 42% da sotto canestro (85/202), conclusione che un giocatore dominante come Hibbert dovrebbe prendere ad occhi chiusi. Questo dato, forse l’unico per quello che è il mio punto di vista sul giocatore, è sintomo del fatto che il problema fisico abbia inevitabilmente risvolti anche sulla sua condizione mentale, andando ad intaccare quella che deve essere la tranquillità necessaria affinché si riesca, nel basket come in tutti gli ambiti della vita, ad esprimersi al meglio.
Il titolo dell’articolo di approfondimento fatto dal sopracitato giornalista di ESPN è “Crooked Hook”. Speriamo, da amanti del gioco quali siamo, che riesca a raddrizzarlo presto.