Russell. Westbrook. 40 punti, 10 assist, 5 rimbalzi e 5 rubate sono numeri “alla Jordan” nel vero senso della parola. 25 anni fa l’ultima volta che si era vista una roba simile ai Playoff, proprio ad opera del numero 23 dei Bulls. I Thunder, trascinati non solo dal numero 0 ma anche da un Durant da 31 punti, sono riusciti definitivamente a ribaltare l’inerzia della serie, alimentando nella testa dei ragazzi di coach Popp i fantasmi delle Finali di Conference di 2 anni fa.
Da 0-2 a 4-2. Meno di una settimana fa nessuno ci avrebbe scommesso nulla e adesso in pochi riescono ad immaginare un finale diverso. Il bello (o il brutto, a seconda dei punti di vista) della post season NBA è proprio questo. Quella che dopo gara 1 avevo io stesso descritto come “una grossa carenza difensiva” è diventata, quasi per magia, un’arma in più per i Thunder. Vedere per credere.
Westbrook salta prima sulla linea di passaggio deviando la traiettoria della sfera, si lancia alle spalle di un distratto Parker, gli scippa il pallone e corre in campo aperto ad inchiodare la schiacciata. Un’esplosione d’energia, difficile definirla in altro modo. Basti guardare la velocità tripla a cui Russell scavalca un’arrancante Belinelli, incapace anche di riuscire a commettere fallo.
Ma allora com’è possibile che siano andati sotto 2-0? Come hanno fatto a perdere di 35 punti una partita contro questo gruppo di claudicanti vecchietti?
Delle molteplici risposte, certamente la più rilevante è il rientro in pianta stabile sul parquet di Ibaka (come già visto anche in gara 3), il quale unisce alle indiscusse doti di grande difensore, una cifra atletica paragonabile a quella del proprio playmaker, che gli permette di compiere giocate come quella del video seguente.
Palla persa da una parte (una “live ball” per l’esattezza, una palla viva), contropiede e tiro ad altissima percentuale dall’altra. A metà del terzo quarto (in sostanza poco prima che iniziasse il garbage time) il parziale dei “fast break point” recitava 21-0 in favore dei Thunder, un’emorragia difficilmente arginabile. Figlia anch’essa del ritorno del centro congolese in campo (si, lo so, ogni cosa sembra essere dovuta a lui). Cerco di spiegarmi brevemente.
Per farlo basta osservare le percentuali dei nero argento nella serie dall’interno della “Restricted Area”, ossia l’ultimo metro o poco più di campo.
Gara 1: 25-29 (87%)
Gara 2: 20-29 (69%)
Gara 3: 15-30 (50%)
Gara 4: 13-32 (41%)
Un’escalation verso il basso che ben spiega i problemi degli Spurs. Il Westbrook difensivamente in difficoltà dei primi 2 episodi diventa tutt’altra cosa se sa di poter rischiare l’anticipo avendo le “spalle coperte” da gente come Ibaka, un sorprendente Adams ed anche da Perkins (10 rimbalzi e tanta presenza sotto il ferro).
A San Antonio resta davvero poco in dote da riportare in Texas, non essendo riuscita mai ad imporre il proprio ritmo alla gara, carente anche nel tiro dalla lunga distanza su cui bene hanno lavorato i close out difensivi di OKC (“per merito della presenza di Ibaka nel pitturato” già l’ho scritto? Ah, ok, allora evito).
Neanche un Parker da 6-9 nel primo tempo è riuscito a dare la scossa ed i soli 11 minuti concessi a Manu Ginobili sono sintomo di come coach Popovich abbia con largo anticipo deciso di tirare i remi in barca, svuotando la panchina e concedendo tanti minuti alle seconde linee. Uno di loro ha firmato la giocata della notte.
Un Corey Joseph versione Westbrook che schiaccia senza paura sulla testa del lungo avversario.
Un sogno ad occhi aperti per chi, come gli Spurs, in questi ultimi 2 incontri si è sempre trovato dalla parte sbagliata del poster.