La notizia è arrivata oggi (clicca qui per l’articolo), all’improvviso ma non troppo. Steve Nash costretto a fermarsi per l’ennesima volta, forse l’ultima di questa sfortunata e turbolenta esperienza in casa Lakers, infausta conclusione di una carriera per certi aspetti unica.
Wikipedia in tutta la sua magnanimità gli regala la bellezza di 191 centimetri, ma non sono di certo stati loro i fautori di un successo difficilmente ripetibile a quelle altezze. La melodia che per anni hanno suonato le mani del playmaker canadese stride con le note stonate a cui l’incessante sequenza di infortuni degli ultimi 24 mesi l’hanno costretto.
Raccontare Steve Nash attraverso i numeri è certamente più semplice (trovare aggettivi in alcune situazioni diventa davvero complicato), il Re dell’elitario club del 50/40/90, per ben 4 volte capace di chiudere la stagione tirando col 50% dal campo, il 40% da tre e il 90% ai liberi.
Qualità al tiro che hanno certamente contribuito a renderlo una vera e propria macchina da pallacanestro, generatore di assist e canestri davvero senza eguali. Essere dietro soltanto a Stockton e Kidd nella classifica All Time degli assist dà la giusta misura delle sue qualità. 10.335 gemme, che hanno fatto la fortuna di molti ed in particolare di quelli riportati nell’immagine seguente.
Certamente Stoudemire su tutti, per anni rollante/poppante (da leggere non solo nell’accezione del “pop” in uscita dal blocco, ma anche come vero e proprio neonato pronto ad abbeverarsi alla fonte canadese) del poetico pick&roll che ha incantato per anni tutti gli spettatori di quei Suns. Il mostruoso contratto che il lungo è riuscito a strappare ai Knicks è (in buona parte) merito suo. Così come quello di Gortat (non ce ne voglia il simpatico giocatore polacco) e tutti gli altri tiratori facenti parte della grafica riportata.
Tutta questa mostruosità di cifre però continua a non dare la giusta dimensione di un fenomeno che ha travolto con tutta la sua forza un intero decennio NBA. Si, un intero decennio. Vedere per credere.
Ecco l’elenco delle squadre col miglior “Offensive Rating” dal 2002 al 2010. Dallas fino al 2004 e poi sempre la franchigia dell’Arizona. Un unico denominatore comune. Il solito piccolo grande uomo, in grado di dominare in mezzo ai giganti.
Potrei continuare per ore, stilare lunghe liste di record che sfiorano (e a volte superano) il confine dell’incredibile e dell’assurdo. Ma tutto ciò allontanerebbe troppo il discorso da un unico dato fondamentale.
Purtroppo molto probabilmente non rivedremo mai più in azione su un parquet NBA uno dei più grandi campioni del nuovo millennio. Uno in grado di fare giocate del genere.