La verità è che nessuno gli ha mai creduto, nessuno gli ha mai dato una chance, lo guardavano giocare e pensavano “è bravo questo ragazzo con la palla tra le mani, ma è asiatico”. Tutto vero: Jeremy Lin fin dalla sua infanzia è stato “bravo” a maneggiare quella palla, ma sul fatto che sia asiatico permettetemi di dissentire perchè lui è nato a Palo Alto (Usa) il 23 Agosto 1988 da genitori certo asiatici (Taiwanesi-Cinesi) ma è anche vero che nel 2013 nel pieno della grande era della globalizzazione bisogna distaccarsi da questo concetto paleolitico che lega le capacità e le caratteristiche di una persona alla sua etnia.
“Non sto dicendo che un top 5 (Lin era uno dei 5 giocatori migliori dello stato della California) debba automaticamente avere un sacco di offerte da parte dei College, ma penso che la mia etnia e le mie origini abbiano giocato un ruolo significante verso coloro che dovevano scegliermi” ha dichiarato Jeremy in una intervista del 2008. “Penso che se fossi stato di una razza differente sarei stato trattato in modo differente.”
Nato, vissuto e cresciuto in America, questo non è bastato ai tanti coach che lo hanno avuto di fronte e non è bastato a Lin quando, durante il periodo di reclutamento da parte dei College, non è riuscito ad ottenere una singola borsa di studio che gli avrebbe permesso di poter giocare in Division I, pur essendo uno dei migliori giocatori di basket nello stato della California. Ha scelto quindi di frequentare la prestigiosa Harvard University, conosciuta in tutto al mondo per la qualità della sua istruzione piuttosto che per i grandi benefici in ambito sportivo, ma almeno in Massachussets gli è stato garantito un posto in squadra.
Durante la sua permanenza quadriennale ad Harvard, Jeremy ha totalizzato la bellezza di 1483 punti, 487 rimbalzi, 406 assists e 225 palle rubate; ma analizziamo questi dati prendendo in considerazione i singoli anni. Durante il primo anno, da freshman, la point-guard di origini taiwanesi fa registrare queste statistiche: 4.8 punti, 2.5 rimbalzi, 1.8 assists e 1 palla rubata per partita, conditi dal 41.5% dal campo (28% da tre) e 81.1% ai liberi. La svolta arriva quando Lin gioca da sophomore, i suoi numeri raddoppiano passando da 4.8 a 12.6 punti per partita cosi come i rimbalzi (da 2.5 a 4.8), gli assists (1.8 a 3.6), le palle rubate (1.9) ma i Crimson non migliorano il proprio record (8-22) rispetto all’anno precedente (12-16). Gli ultimi due anni sono quelli più importanti per lui, le sue cifre migliorano sensibilmente ma ciò che gli viene più criticato è il fatto che perde tanti palloni (106) quanti assist serve (109), e per un playmaker che vuole sognare la NBA questo è un grande problema, anche se riesce comunque ad essere selezionato tra gli 11 candidati alla vittoria del prestigioso “Bob Cousy Award 2010” (vinto poi da Greivis Vasquez, attuale PM di New Orleans). Durante il suo ultimo anno di permanenza ad Harvard arriva anche la sua migliore prestazione da “collegiate” (nella partita persa) contro gli Huskies di Kemba Walker, Lin realizza 30 punti con 9 rimbalzi, 3 assist, 3 palle rubate e 2 stoppate. Jeremy ora può sognare la NBA ed intanto si laurea in economia, che comunque rappresenta un bel salvagente nel caso in cui dovesse andare storto qualcosa.
Draft NBA 2010: Lin non viene selezionato, forse ora può tornare utile quella laurea… Ma il taiwanese non ci sta, viene invitato al summer camp dei Dallas Mavericks e successivamente riesce a strappare un contratto dai Golden State Warriors dove viaggia a 2.6 punti per partita fino al momento in cui viene tagliato (Dicembre 2011). Non ha nemmeno il tempo per essere triste perchè arriva subito una offerta da Houston, i Rockets lo vogliono come sostituto di Lowry, e lui non può esitare, si impegna e supera l’ostacolo del “training-camp”, sembra essere fatta per lui ma il 25 dicembre arriva una seconda delusione nel giro di pochi giorni, per arrivare a Samuel Dalambert la dirigenza della franchigia texana deve sacrificare uno dei giocatori con contratto non garantito: tocca a Jeremy. Lin si ritrova ancora nel tanto odiato limbo dei giocatori senza contratto, passano due settimane ed arriva una chiamata da New York, i Knicks sono interessati a vedere che tipo di giocatore possa essere. Arriva il solito contratto non garantito, passano i giorni e la dirigenza pondera il suo possibile (ennesimo) rilascio, ma non accade per un semplice motivo che è da ricercare negli infortuni di quel periodo da parte della franchigia della grande mela. 4 Febbraio 2012: Linsanity. Postilla: durante il primo periodo di permanenza a New York , Jeremy dorme nell’appartamento di suo fratello che in quel periodo frequentava la New York University, monopolizzando il famoso divano che rappresenta, da quel momento, l’inizio della magica storia di Lin. Nella giornata di venerdi 3 febbraio si dice che il fratello “meno famoso” abbia chiamato la neo PG dei Knicks per chiedergli di dormire da un’altra parte in quanto, per quella serata, in casa Lin erano previsti fuochi d’artificio dalle sembianze femminili. Dove passiamo la notte? Proviamo a chiamare Landry (Fields) và…. Ok, posto letto trovato, si dorme. Ora è davvero il 4 febbraio e quella sera c’è una partita diversa rispetto alle altre, si gioca contro i vicini di casa (che ora sono ancora più vicini) rappresentati dai New Jersey Nets di Deron Williams, tutt’altro che imbattibili. Coach D’Antoni non ha dubbi, tra polemiche varie e voci di esonero decide di rischiare mandando in campo il giovane e sconosciutissimo Jeremy Lin, che ripaga: 25 punti e 7 assists. Due giorni dopo arrivano gli Utah Jazz, stesso trattamento: 28 punti e 8 assists. Non c’è due senza tre, l’8 febbraio si vola a Washington: 23 punti e 10 assists (prima doppia doppia in carriera): it’s Linsanity Baby!
Ho il volo alle 9 di mattina, si parte da Malpensa (Milano), si prospettano circa 9 ore e mezza di viaggio ma la mia mente è già oltreoceano, New York sto arrivando! Chi sta scrivendo questo articolo ha avuto la fortuna di aver vissuto in prima persona l’atmosfera newyorkese-linsaniana che si respirava nella grande mela, appena atterrato dovevo essere subito pronto a sfoderare la mia grande capacità di “accalappia-taxi” (abilità che non deve mai mancare se ti trovi a NY) perchè il mio personalissimo programma giornaliero prevedeva la presenza al MSG quella sera stessa! Scendo dall’areo, prendo il taxi, scappo in albergo, doccia, mi cambio, guardo l’ora: sono pronto per avviarmi al madison con largo anticipo perchè voglio godermi ogni singolo aspetto del pre-partita NBA.
Mi avvio e mi accorgo fin da subito che il 40% delle persone che camminano nella mia stessa direzione indossano le magliette dei Knicks, mi sento uno di loro, ma non completamente. Manca qualcosa, ovunque mi giri trovo impresso il numero 17 di Lin, da buon italiano fermo la persona accanto a me per chiederle: “Where i can buy your t-shirt!??” Indicando la sua fiammante T-Shirt arancione. Mi risponde sorridendo “It’s over there”, seguo il suo indice e mi accorgo stupidamente che appena davanti a me (20 metri) c’è uno store completamente assalito da turisti asiatici, collego tutto mentalmente e decido di andarci solo dopo la partita per evitare una coda al negozio che si preannunciava esagerata. Mi godo la partita, Lin gioca bene ma si nota subito che è un neofita della NBA, sbaglia tante piccole cose che le statistiche però non rivelano (17 punti e 9 assists in 3 quarti di gioco, il quarto-quarto è già garbage time). Esco per recapitarmi al negozio, non se ne parla, la gente che c’era prima sembra essersi riprodotta in quelle 2 ore che ho passato all’interno dell’arena, sono raddoppiati!!
Biscotti LinsanityMi fermo a parlare con qualche tifoso “caricato” da diversi bicchieri di birra che si sono scolati durante la partita, mi raccontano di quanto New York sembra essersi accorta dell’esistenza degli americani di origine asiatiche in ambito sportivo, mi dice che fino ad ora lui stesso aveva sempre visto i cinesi-giapponesi più come “hard worker” scolasticamente parlando; ma soprattutto Lin ha portato di nuovo “speranza” per gli americani in un momento duro come quello che stanno passando economicamente e mi regalano un braccialetto arancione con inciso il nome del protagonista di questo articolo, ma ho capito che quello che mi han regalato non è stato solo un oggetto, ma per loro è molto di più: “Hope”.