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D-12 torna a far parlare di se:”Ai Magic ho guidato giocatori che nessuno voleva”

Dwight Howard torna a far parlare di se con un’altra dichiarazione, stavolta riguardo ai suoi ex-compagni agli Orlando Magic.

 “ La mia squadra a Orlando era fatta da giocatori che nessuno voleva. E io ho guidato quella squadra con il sorriso sul volto”.

A questa ennesima, “furba”, dichiarazione di Howard ci sarebbero due interpretazioni possibili:

  • O il nostro vuole asserire, tra le righe, che si trattava di un’accozzaglia di giocatori discreti messi insieme a formare una squadra. Ma in questo caso la sua affermazione sarebbe relativa più ai suoi meriti che ai compagni;
  • Oppure Howard, sempre tra le righe, vuole evidenziare che quella squadra non era abbastanza competitiva quando arrivò a giocarsi il titolo NBA, proprio contro l’attuale squadra di D-12, i Los Angeles Lakers.

Se si accogliesse quest’ultima interpretazione, non sbaglierebbe chi dicesse che Dwight ha la memoria un po’ corta. Quella squadra nel 2009 poteva vantare un Hedo Turkoglu, lontano parente di quell’orribile giocatore che ancora calca i campi della NBA (solo 11 gare nella stagione corrente con 2,9 punti di media, 2,4 rimbalzi e 2,1 assist), che nella stagione  in parola, quella 2008-2009 appunto, dimostrò di essere un giocatore determinante per il sistema dell’allora coach Stan Van Gundy. Inoltre anche Rashard Lewis, al suo canto del cigno, ha fatto parte di quei Magic, come letale tiratore da 3 punti. Senza dimenticare Jameer Nelson, che in quell’anno si esprimeva a livelli da All-Star (e realizzò infatti la sua migliore stagione in carriera con 16,7 punti di media e 5,4 assist), guidando sapientemente in regia Orlando.

La verità è che Dwight non ha mai saputo essere un centro offensivamente dominante come i grandi centri che si sono succeduti nella storia della lega (Kareem Abdul-Jabbar su tutti). Pur essendo forte e potente dal punto di vista fisico, con un atletismo fuori dalla norma, ed una straordinaria attitudine difensiva, non è mai stato particolarmente dotato quando il gioco si spostava nella metà campo avversaria. Per sopperire anche a questi suoi limiti, quegli Orlando Magic erano costruiti con giocatori che come principale funzione avevano quella di portare punti o giocate quando la partita entrava nella sua fase più calda. Giocatori di questo tipo vennero fuori anche alla distanza e l’esempio più chiaro ne fu J.J. Redick, pezzo pregiato del mercato NBA nella stagione attuale,da pochissimo approdato ai Milwaukee Bucks.

Aldilà di ogni possibile interpretazione, sarà stato contento di questa dichiarazione (indiscutibilmente fastidiosa e poco riconoscente) Earl Clark, già compagno di Howard ai Magic, e che molto si è impegnato per sostituire il no.12 gialloviola durante la sua recente assenza per infortunio (e a dir la verità per un certo periodo della stagione, le cose cambiavano poco per i Lakers, Howard o non Howard!). E a fare compagnia a Clark sicuramente anche Chris Duhon, approdato anch’egli ai Lakers in seguito alla Howard-Trade, e che probabilmente avrà storto un po’ il naso sentendo le parole di D-12.

Ciò che fin dei conti viene fuori da queste dichiarazioni è comunque la patologica incapacità di Howard di prendersi le proprie responsabilità e il suo, ormai snervante, atteggiamento di vittimismo che, da personaggio un tempo amato dai fan, lo sta rendendo antipatico e inviso ai più. Intrappolato nell’Isola che non c’è, il nostro Peter Pan forse un giorno crescerà e capirà quali sono le caratteristiche di un vero vincente e di un vero leader, prima ancora che come giocatore di pallacanestro, come uomo degno del rispetto dei propri simili.

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