Dopo la disastrosa stagione passata (conclusasi con il record perdente di 28-38), i Portland TrailBlazers quest’anno sono rinati nel segno di Damian Lillard, PG scelta dalla franchigia dell’Oregon con la sesta scelta assoluta all’ultimo draft, il quale ha riportato nuovamente entusiamo a Portland, sia pure in un stagione perdente come quella attuale (che al momento vede Portland ampiamente fuori dalla zona playoff con il record di 33 vittorie e 41 sconfitte). Sta di fatto che Lillard, uscito da uno dei draft con più talento dalla famosa classe del 2003 (LeBron, Melo, Bosh e Wade per dire solo alcuni dei nomi scelti), ha surclassato tutti i suoi colleghi rookies (anche il più quotato di essi, Anthony Davis, 1ª scelta assoluta) ed è al momento l’unico candidato possibile per un titolo di Rookie of the Year che in questa stagione non ha quasi avuto storia. E tanto per ribadire ancora una volta le proprie credenziali, Lillard ha pensato bene di infrangere un altro record; infatti nella partita di lunedì, persa dai suoi Blazers per 112-102 contro gli Utah Jazz, il nostro ha superato il record stabilito nel 2009-2010 da Stephen Curry per triple segnate da un rookie, 166, arrivando alla sua 169esima tripla stagionale. Un record che però non ha tolto a Lillard l’amaro della sconfitta:
“Sono contento di essere riuscito a fare questo nella mia prima stagione, ma sinceramente avrei preferito riuscirci vincendo la partita.”
Ma questo record è solo un piccolo passo, un tassello nel mosaico di obiettivi che il no.0 di Portland ha fissato per la sua carriera:
“Credo di potere riuscire ad essere un All-Star, di potere entrare a far parte del primo quintetto NBA e anche di potere essere MVP. Non so quando succederà, ma per quanto lavoro io e per quanto è grande la mia voglia di raggiungere questi risultati, sento che sono traguardi possibili per me.”
È un Lillard sicuro e ambizioso, dunque, quello che traspare dalle dichiarazioni sopra citate (rilasciate alla CSN NorthWest), ma anche un ragazzo disposto a lavorare duro per raggiungere i suoi obiettivi. E, da ragazzo modesto quale è, Damian ci tiene a precisare la portata delle sue parole:
“Siamo chiari, non sto dicendo di meritare questi riconoscimenti adesso. Quello che voglio dire è che fisso per me e la mia carriera degli standard molto alti. Non mi interessa scendere in campo e giocare solo per vincere il titolo di MVP; giocherò come so giocare, sperando che il mio duro lavoro un giorno mi porti a raggiungere quell’obiettivo. Ma so di poter migliorare ancora molto”.
Lillard, dopo una straordinaria stagione da rookie, che al momento lo vede aver vinto per 4 volte (con la 5ª alle porte) il titolo di Rookie of The Month, e tenere una media di 19 punti e 6,5 assist in 38,4 minuti medi di impiego, ha ormai poco da dimostrare per la corrente regular season; i Blazers, pur trascinati da lui e dall’All-Star Lamarcus Aldridge, non hanno modo di ambire alla postseason; e dunque è presumibile che la prima sfida di Damian sarà quella di riportare a Portland quei playoff, dove spesso è stata grande protagonista proprio la franchigia dell’Oregon. E chi dice che nel frattempo non si possa fare una capatina a New Orleans per il prossimo All-Star Game, magari partendo dalla panchina per la Western Conference?
Difficile prevedere il futuro; ma con un Lillard così, non è neanche tanto arduo immaginare per Portland un roseo avvenire.