Siamo in clima Play Off è vero, lo spazio per inutili discorsi da bar si riduce, ma non possiamo lasciar passare inosservate le parole estratte dal libro “A tutto Shaq”, nel quale Shaquille O’Neal ha dichiarato quanto segue: “La gente ogni tanto mi chiede chi sceglierei tra DWade e LeBron. […] La domanda vera non è chi di loro sia meglio, ma se loro due possono permettersi di competere con Kobe.”
Parole pesanti per chi segue la palla a spicchi e negli ultimi anni è rimasta divisa, soprattutto, tra l’astro nascente KING LEBRON JAMES e il Pentacampione Kobe Bryant.
Come sappiamo tutto ha una fine e sembra sempre più vicino il momento nel quale il sipario su Kobe Bryant si abbasserà definitivamente e tra applausi e fischi, tra lacrime e “gioia” andrà via un pezzo della storia dell’American Basketball Association.
Come verrà ricordato Kobe Bryant?
Il vincente? Il solista?
Non possiamo saperlo ora. Possiamo solo immaginarlo.
I suoi primi anni in NBA non sono stati “sotto i riflettori”, è uscito dall’anonimato pian piano, anche se, a livello di high school aveva distrutto il record di punti nel quadriennio per la zona di Philadelphia detenuto da Wilt Chamberlain, mettendo a referto ben 2883 punti.
Kobe entra in NBA a 18 anni senza andare al College scelto dai Charlotte Hornets poi girato, tramite trade, ai Los Angeles Lakers in cambio di Vlade Divac.
Nello stesso anno, i Lakers presero anche Shaquille O’Neal, dando inizio a quella che potremmo definire la dinastia di Los Angeles.
All’attivo Kobe ha vinto 3 anelli con Shaq (2000, 2001, 2002) e 2 con Gasol e Bynum (2009, 2010), nel mezzo record pazzeschi come gli 81 punti messi a referto contro Toronto (Secondo di sempre dietro solo a Wilt), o le 12 triple in una singola partita (eguagliando il record di Donyell Marshall), oppure, essere il più giovane giocatore a superare la cifra di 31.000 punti (34 anni e 185 giorni).
Kobe non può e non deve essere letto dalle statistiche, che, comunque, sono spesso lette in maniera errata soprattutto quando riferite a lui. Pensiamo, per esempio, al confronto con James (49% dal campo e 33% da 3PT, statistica molto migliorata nell’ultima stagione). Bryant non è certo da meno, il suo 45% dal campo e 33% da 3PT non è molto lontano dalla statistica del di King James. In questo contesto, però, non ci interessa la polemica, il nostro obiettivo è capire con semplicità chi è Kobe Bryant.
Kobe è, soprattutto, etica del lavoro e volontà di vincere, capacità di capire il gioco, con un QI cestistico molto al di sopra della media, ma, in particolare è una personalità ingombrante e determinata che pochi, anzi, pochissimi posseggono nel mondo dello sport. (In questi casi, e scrivendo queste frasi spesso il mio pensiero disegna il viso di Alex Zanardi, così, probabilmente perché un pizzico di inconscio vien fuori con strani intrecci cognitivi)
Per dirla alla Nietzsche, Kobe è VOLONTA’ DI POTENZA, intesa nel senso più profondo della teoria, una volontà che vuole se stessa, pronta a cibarsi delle volontà più insipide.
In definitiva una volontà che non vuole fermarsi, che SI vuole costantemente e incessantemente, una pulsione infinità di rinnovamento. Una sfida continua con se stesso e con gli altri.
Non mi sembra necessario andare a scavare, ancora e ancora, nelle statistiche per un confronto che non verrà mai risolto, ciò che vorrei mettere in risalto è quello che Kobe può aver rappresentato per una generazione di ragazzi che amano la palla a spicchi.
Kobe è l’incarnazione della volontà, al di là di sterili statistiche lui ha VOLUTO vincere, ha saputo vincere, ha superato molte avversità, si è allenato per anni solo per un obiettivo, come se dovesse dimostrare ogni giorno di essere il migliore.
Ha dimostrato a molti che, spesso, non è importante cosa abbiamo, ma cosa possiamo fare per migliorarci.
In campo è stato un esempio e pensare che possa finire per chi ama questo sport non può che essere un momento triste. Come nel momento in cui decise di ritirarsi Jordan, anche, quando calerà il sipario su Kobe Bryant una lacrima bagnerà i visi di molti, spero di tutti, a prescindere dalla nostra fede, perché almeno un po ha influenzato positivamente i nostri pensieri e il nostro porci di fronte agli obiettivi.
Non sarà la prossima stagione, perché ha promesso che ci sarà, ma, prima o poi, il 24 in maglia purple and gold uscirà dal campo per l’ultima volta.
Chiudo con le stesse parole con le quali si è aperto questo articolo: “La gente ogni tanto mi chiede chi sceglierei tra DWade e LeBron. […] La domanda vera non è chi di loro sia meglio, ma se loro due possono permettersi di competere con Kobe.” (Shaquille O’Neal)
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