Qualche giorno or sono è andata in scena, alla Quicken Loans Arena di Cleveland, una cerimonia che ha decisamente scaldato i cuori dei tifosi dell’Ohio. Era già di dominio pubblico da diversi mesi, ma lo stesso ha avuto il suo bell’effetto nei confronti di una tifoseria e, in generale, di una città che non ha avuto molto di che gioire in tempi recenti. Stiamo parlando del ritiro della maglia di uno dei giocatori più rappresentativi della storia dei Cavaliers, che ha conosciuto i momenti più cupi e, allo stesso tempo, più felici della franchigia, di cui rappresenta uno dei simboli più conosciuti e riconoscibili. Direttamente dalla Lituania, il protagonista odierno della nostra rubrica lo avrete certamente riconosciuto: è Zydrunas Ilgauskas, il centro di tante battaglie della scorsa decade.
Nato il 5 Giugno 1975 nella Repubblica Baltica, il giovane Ilga si avvicinò presto alla pallacanestro nella propria città natale, Kaunas, nome certo non nuovo soprattutto agli amanti dell’Eurolega. Qui, con la maglia dell’Atletas Basketball Club, si mise in mostra già in giovanissima età, facendo intravedere una tecnica sopraffina e non certo usuale ad uno alto ben 221 centimetri. Le ottime prestazioni nel campionato lituano non passarono del tutto inosservate anche Oltreoceano, soprattutto in un periodo in cui l’NBA stava mostrando un interesse verso gli atleti europei del tutto sconosciuto sino a pochi anni prima. Così, dopo 3 anni in patria ed una partecipazione al torneo continentale con la maglia lituana, Zydrunas venne scelto alla posizione numero 20 del Draft 1996 dai predetti Cleveland Cavaliers. Il tutto nonostante avesse saltato l’ultima stagione con l’Atletas per un infortunio al piede. Il front office dei Cavs, tuttavia, non volle dar fede a tale brutto presagio.
La squadra era in mano a Mike Fratello, che l’aveva improntata ad immagine e somiglianza del basket difensivo, poco spettacolare e “rognoso” tipico della seconda metà degli anni Novanta. Le stelle si chiamavano Terrell Brandon e, soprattutto, uno Shawn Kemp vicino al personalissimo punto di non ritorno. Con il prematuro ritiro di Brad Daugherty nel 1994, la franchigia era alla disperata ricerca di un centro titolare di buon avvenire e spessore, sicura di averlo trovato in quel ragazzone che veniva da lontano. I guai, per Z e per i Cavs stavano tuttavia solo per iniziare.
Ilga era, suo malgrado, la perfetta esemplificazione del “gigante dai piedi d’argilla”. Gli infortuni in quella delicatissima parte del corpo incominciarono a tormentarlo. Saltò interamente quella che sarebbe dovuta essere la stagione d’esordio, a causa di un osso rotto nel piede destro. Dovette rimandare di 12 mesi il proprio debutto nella Lega ma i tifosi dell’Ohio ebbero modo di applaudirlo sin dalle prime palle a due della regular season 97-98. Già al primo incontro, contro i Rockets di Olajuwon, fece registrare un doppio 16. Zydrunas mise in mostra un repertorio davvero raffinato, con ottimi movimenti spalle a canestro ed un tocco davvero inaspettato per stazza e ruolo in campo. Chiuse la propria prima annata a quasi 14 punti e 9 rimbalzi di media, col consueto numero di stoppate che non potevano che venire naturali vista l’altezza proibitiva da cui si ergevano le lunghe braccia. La ciliegina sulla torta lituana venne dalla vittoria del titolo di MVP del Rookie Challenge durante l’All Star Weekend, per di più in un palcoscenico d’eccezione come New York. Fresco d’inclusione nel primo quintetto delle matricole e, soprattutto, di estensione milionaria del contratto, l’avvenire sembrava roseo per una formazione che aveva voglia di tornare a far la voce grossa nella Eastern Conference. I Playoffs, seppur abbandonati già al Primo Turno dopo la sconfitta per 3-1 contro i Pacers, dovevano rappresentare un trampolino di lancio nella crescita progressiva della squadra attorno ad Ilga. Non avrebbero più raggiunto la postseason per 8 stagioni consecutive.
5. Questo il numero degli incontri disputati da Z nella stagione del lockout, nell’anno di grazia 1999. Sempre meglio delle 0 occasioni in cui scese in campo nella regular season successiva, la seconda stagione saltata per intero ad appena 24 anni. I piedi sembravano non dargli tregua, con un’altra operazione, nel Gennaio del 2000, per riparare una frattura ad un osso del tarso. Ritornò nell’Autunno dello stesso anno, riprendendosi lo spot di centro titolare che gli apparteneva di diritto. Ilga fu il trascinatore di una squadra che partì 15-8 ma poi, quasi inesorabile, ecco il crac: dopo 24 gare il piede sinistro si infortunò gravemente. Per l’ennesima volta vedeva la propria stagione concludersi ben prima del previsto. Cleveland, per la cronaca, vinse solo altre 15 gare sino ad Aprile. Ma la domanda che tutti nell’Ohio si ponevano era sempre la stessa: ce l’avrebbe fatta Z a ritornare dall’ennesimo infortunio doloroso?
La risposta arrivò nel Dicembre del 2001. Il lituano aveva tanta voglia di giocare, non poteva certo permettersi il lusso di smettere dopo tante sofferenze. Rientrò con più cautela del solito, agendo prevalentemente da cambio di Chris Mihm in una squadra senza molte ambizioni. La stagione seguente fu una vera e propria rinascita per il ragazzone di Kaunas. Certo, non poteva più essere esplosivo e mobile come ai bei tempi, ma la classe era tutta l
ì da vedere. Chiuse con 17 punti di media, career-high mai più raggiunto, venendo convocato per l’All Star Game di Atlanta. Fu un vero e proprio cammeo, ma già il fatto di esserci era da considerarsi un trionfo. Gli infortuni, da lì in avanti non l’avrebbero più tormentato. Il meglio stava tuttavia per venire dato che su di una franchigia divenuta la barzelletta della Lega stava per infrangersi un meteorite proveniente dalla vicina Akron. Col Draft del 2003 aveva ufficialmente inizio l’era Lebron James.
L’arrivo del numero 23 comportò un profondo e radicale mutamento in seno ad un’organizzazione che aveva preso una pericolosa china. Già a partire da divise da gioco e stemmi sociali, era avvertibile un taglio netto rispetto al recente passato. La squadra ebbe una visibilità mediatica eccellente grazie alle prestazioni del nuovo giovane fenomeno, dopo esser stata snobbata per diversi anni. Tuttavia, nonostante sensibili miglioramenti, i Cavs mancarono l’approdo alla postseason per altre due stagioni, nonostante un James divenuto da subito una stella ed un Ilgauskas tra i centri più produttivi. Il lituano venne convocato per l’All Star Game 2005, a riprova del proprio impatto sui parquet NBA. In estate fu seria la prospettiva di una firma con i Knicks ma fu lo stesso LBJ a mobilitarsi in prima persona ed a scongiurare la minaccia. Aveva stabilito un affiatamento unico con Z, ed avrebbe voluto esserne il compagno ancora per anni e anni a venire.
La nomina come coach di Mike Brown, così come alcune buone mosse di mercato, riuscirono a riportare Cleveland ai Playoffs dopo un digiuno troppo lungo e atteso. Ilga non aveva più la mobilità di un tempo, si era specializzato nei long two da qualsiasi angolazione, essenziali per aprire l’area alle scorribande di LBJ, ed a qualche sporadico movimento di post basso, conclusi in genere con un gancione, specialità della casa, o il passo e tiro. Importante, oltre il contributo alla voce stoppate, l’affinità sviluppata con Lebron, suggellata da tanti passaggi geniali che provenivano dalle sapienti mani del lituano. Il tutto mentre lo scosse una grave tragedia familiare, la morte dei gemelli che la moglie portava in grembo. Tutta la città si strinse attorno al proprio centro, cementando una volta di più un rapporto che era divenuto saldissimo. Sul campo, per converso, arrivò la pagina forse più bella, le NBA Finals 2007 raggiunte da vera e propria Cenerentola. L’immagine di Ilgauskas col trofeo di Campioni della Eastern Conference divenne un’icona da conservare e rivedere in momenti successivi. Proprio lui che era stato nella versione peggiore dei Cavs, tra un infortunio e l’altro, era ora quasi sul tetto del mondo cestistico. Una grande ricompensa per i tanti dolori e le sofferenze di una carriera sicuramente sfortunata.
Cleveland non riuscì a bissare i fasti delle Finali perse contro San Antonio. Negli anni successivi, le delusioni e le uscite premature si accavallarono l’una sull’altra. Z, nonostante la canonica doppia cifra di media e gli 8-9 rimbalzi ad incontro, mostrava anche una certa usura, comprensibile data l’età e la cartella clinica. Così, nell’estate del 2009, il front office decise di ingaggiare nientemeno che Shaquille O’Neal, relegando Ilga al ruolo di panchinaro, quasi un unicum nella propria lunga militanza nell’Ohio. La fiducia venne messa ancor più a dura prova quando, nel Febbraio del 2010, venne ceduto ai Washington Wizards nell’ambito dell’operazione che portò Jamison alla corte di James. Senza aver giocato una singola partita con la squadra della Capitale, venne rilasciato pochi giorni dopo. Passato l’usuale periodo di pausa previsto dal regolamento NBA, a fine Marzo Z si ricongiunse con Cleveland, firmando fino al termine della stagione. L’ennesima eliminazione per mano dei Boston Celtics aveva però fatto intuire che qualcosa di grosso stesse bollendo in pentola.
Con l’ormai famigerata “The Decision” venne suggellato il passaggio di Lebron James ai Miami Heat, una scelta che non fu molto gradita, per usare un eufemismo, dai tifosi della città dell’Ohio. Dopo pochi giorni Ilgauskas decise di proseguire la propria opera di scudiero del Re, raggiungendolo in South Florida per dare il proprio contributo alla causa dei Big Three. L’esperienza non fu certo delle più memorabili, nonostante le tante presenze in quintetto base. Nella trasferta alla Quicken Loans Arena, il pubblico lo salutò con una calorosa ovazione, trattamento diametralmente opposto rispetto a quello riservato a James. Raggiunta la seconda Finale della carriera, vide la propria squadra sciogliersi come neve al sole di fronte ad un’altra Texana, i Dallas Mavericks. Al termine della sfortunata annata, con un lockout alle porte, era tempo per Z di appendere le scarpe al chiodo.
Il ritorno in seno ai Cleveland Cavaliers fu di lì a breve. Nel Gennaio del 2012 venne ingaggiato come assistente del GM Chris Grant, diventando contestualmente il simbolo ed il volto dell’intera organizzazione.
Siamo tornati così alle origini di questo articolo, alla cerimonia che ha giustamente consacrato l’ingresso del vecchio Ilga nell’Olimpo destinato a coloro che hanno indossato le non sempre vincenti casacche di Cleveland. Si è trattato del settimo giocatore dei Cavs a ricevere tale onore e solo il terzo europeo, dopo Petrovic e Divac. Il tutto per colui che detiene i record assoluti di partite giocate, rimbalzi totali e stoppate nella storia della franchigia, di cui è anche il secondo realizzatore all-time. Nessun altro potrà indossare quella maglia numero 11 tanto amata dai tifosi della Quicken Loans Arena, per l’occasione muniti di cartelloni con quella “Z” inequivocabilmente associata al proprio beniamino, frutto anche della scarsa dimestichezza dell’americano medio con i nomi stranieri. Ed il ricordo di quel ragazzone dall’andatura ciondolante, il tiro mortifero, i piedi di cristallo e le mani d’oro resterà per sempre immortalato nei cuori di Cleveland. Perché Ilga c’è stato, sempre.
Alessandro Scuto