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TIM DUNCAN: 9. E’ vecchio. Non si tiene più in piedi. E’ lento nei movimenti, in più è diventato prevedibile. Come lo vinci il titolo con uno così? Caro caraibico, continua a fare orecchie da mercante e sbranali tutti. Ogni oltraggio alla carta d’identità è un appoggio al tabellone. Compensa le noie di un fisico usurato con il maestoso utilizzo di polpastrelli da pianista. Sei meravigliosamente efficace. ENCICLOPEDIA
TONY PARKER: 8,5. Ormai conosce Duncan meglio della madre. Il suo cervello registra gli spostamenti del 21 ed elabora in poche frazioni di secondo la soluzione ideale per servirlo. Risultato? 12 assist. Miscela altruismo ed egoismo affidandosi alle giuste dosi. Ne nasce un capolavoro che trascina gli Spurs sull’1-0 nella serie. RADAR
KAWHI LEONARD: 7,5. Datemi i playoffs e vi solleverò il mondo. Questo ragazzo è l’anima di uno spogliatoio che ha voglia di rinnovarsi, è la molecola di ossigeno che rimpiazza i primi agglomerati di anidride carbonica, è la promessa di un progetto calibrato per durare nel tempo. La stoppata su KD coronata dal canestro in transizione è la sintesi del suo basket: totale. AFFAMATO
DANNY GREEN: 7. Al poligono di tiro sbaraglierebbe la concorrenza. Il grilletto è bollente: dietro l’arco è micidiale, ricorda Steph Curry con la tripla in corsa dopo aver attraversato in palleggio l’intero campo. C’è una statistica in particolare che sottolinea la sua performance: il plus-minus. +30 con lui in quintetto, roba da alieni. Popovich lo ha difeso a spada tratta in alcuni momenti travagliati, e alla resa dei conti la scommessa può e deve considerarsi vinta. PISTOLERO
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MARCO BELINELLI: 6. Lo sceriffo di San Giovanni in Persiceto non sarà caldo come una stufa, ma in compenso è stufo di scaldare la panchina. Al richiamo di Pop scatta come una molla, si catapulta nella mischia e si sporca le mani rendendosi utile alla causa. E’ il primo azzurro nella storia a calcare il palcoscenico di una finale di Conference, e già questo basterebbe per farlo salire sul piedistallo. Ma lui è ambizioso e in vacanza intende andarci soltanto a fine giugno. GUERRIERO
KEVIN DURANT: 6,5. Qualità a fiumi, come sempre. Libera al vento un paio delle sue proverbiali piume e affonda il pedale della Torpedo Thunder quando la rimonta di metà terzo quarto si concretizza. Il neo che macchia il viso angelico del fresco Mvp sono le 6 palle perse, troppe, al cospetto dei tentacoli di mister Kawhi. La scalata al miliardo parte con l’handicap, ma è solo l’alba di un percorso lunghissimo. ELEGANTE
DEREK FISHER: 7. C’era una volta un nonnetto prossimo ai quaranta. Questo anziano signore, con la fissa per il basket, credeva di essere un highlander in grado di competere con gli aitanti fanciulli per l’eternità. La gente non ci credeva ma lui, abituato alle sentenze affrettate, rispondeva puntualmente con una grassa risata accompagnata da un’eccellente esibizione. Vi abbiamo raccontato, in due righe, la meravigliosa epopea di Derek Fisher. Al secolo l’uomo bicentenario. ETERNO
FLOP
RUSSELL WESTBROOK: 5. Cattivello? Forse sì. Noi da lui vogliamo tanto, lui da se stesso vuole troppo. Il problema è tutto qui, in questo affilato boomerang chiamato eccesso di fiducia. Un’arma a doppio taglio che in alcuni casi trita il nemico, in altri ti fetta i polpastrelli. Tira con un mediocre 9 su 21, ma sopratutto concede a Parker un’infinità di tempo per colpire con il canestro o l’assist letale. Se non cambia approccio (leggere la voce “marcatura”) la serie dei Thunder è destinata ad essere breve e indolore. INSIPIDO
NICK COLLISON: 4. Dai, non siate maligni. Qualcuno lo avvisi che Duncan è uscito dall’AT&T Center. Parte in quintetto, gioca 16 minuti pieni d’ansia ed è perseguitato dal fantasma di Ibaka. Rischia ripetute distorsioni alla caviglia nel tentativo di ostacolare il perno del caraibico. Insieme a Sefolosha si candida al ruolo di gatto nero sulla strada che divide Brooks dalle Finals. COSI’ NON VA