“E tu invece, qual è il tuo piano A? E il piano B se il primo non andasse bene?”
Il ragazzino interpellato non dà segni di aver sentito la domanda. Rimane immobile, seduto, le braccia appoggiate al banco, lo sguardo fisso che pare perso nel vuoto.
“Adreian? Mi hai sentito? Hai capito cos’ho detto?”
“Sì dannazione, ho capito, sarò anche stupido come dicono gli altri ma fin qua ci arrivo”, pensa il ragazzo. Lo sguardo non vuol saperne di smuoversi dal punto indefinito che sta osservando all’orizzonte. Il problema non è capire cosa l’insegnante abbia chiesto, il problema è dare una risposta a quella domanda. Perché al contrario di tutti i suoi compagni di classe, che sembrano già maledettamente sicuri di cosa faranno nella propria vita e pure del paracadute d’emergenza se la prima opzione andasse male, lui non ha capacità o doti, non ha interessi particolari. Non sa cosa farà crescendo, che direzione prenderà la sua vita. Non ha idea di quale sia il suo piano A, figuriamoci il B poi.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quella mattina di 10 anni fa, e il ragazzino interpellato all’epoca, oggi cresciuto, si stupisce di ripensare a quell’episodio proprio in quel momento. Si trova a un funerale; per volontà della famiglia niente tristezza, lacrime e musi lunghi, c’è musica e balli offerti dal maestro di danza della defunta. Lui però non è tanto in vena: ha appena perso un’amica e una persona importante nella sua vita. L’ennesima, ma non ci si fa mai il callo, neanche quando la suddetta vita non è stata tenera con te e te ne ha presentate di prove. Fin da quando hai memoria per ricordare.
“La somma di libertà più libertà è come dire che due più due fa quattro. Se ciò è concesso, allora segue tutto il resto”. La fa facile Orwell, ponendo una verità incontestabile su cui basarsi per rendersi conto che esiste una realtà oggettiva al di la delle manipolazioni propinate dal Partito Socialista Inglese. Ma non è poi così incontestabile se per risolvere l’addizione impieghi parecchi minuti. E magari ti risulta pure cinque, pur non avendo intenzione di distorcere la realtà o plasmare le menti.
Gli altri ragazzini iniziano a leggere scorrevolmente, risolvono anche le prime moltiplicazioni e imparano poesie a memoria. Adreian invece fa fatica a trovare la soluzione a due più due, e una pagina intera di un libro pare un ostacolo insormontabile. Ci vuole poco per diagnosticargli un disturbo cognitivo che gli impedisce di apprendere le cose a velocità normale. Ci vuole ancora meno per gli altri bambini per bersagliarlo di sfottò e prese in giro.
L’imponente skyline di Dayton a inizio ‘900 e il principale prodotto della città: il velivolo dei Wright, illustri abitanti del luogo, che avrà un certo seguito successivamenteAnni ’90 a Dayton, in uno stato, l’Ohio, in cui la maggiore città è un grosso errore sul Lago, e figuriamoci le altre, allora. Un problema socialmente e professionalmente debilitante, e talvolta anche imbarazzante per chi ne soffre, il colore della pelle che, purtroppo, non permette a qualsiasi porta di schiudersi, e si può intuire perché piano A e B siano piuttosto foschi per quel ragazzo che si appresta ad andare al liceo, e che risponde al nome di Adreian Payne. Per fortuna almeno c’è la famiglia, incarnata quasi completamente nella figura della madre, Gloria Lewis, che con il figlio minore ha un rapporto strettissimo. Il conteggio dei pargoli abbonda, è quello delle figure paterne a risultare più risicato, visto che Thomas Payne viene arrestato per spaccio quando Adreian, che vede la luce nel 1991, ha solo 5 anni e ne passerà tre in carcere; la sua figura è solo in parte sostituita dal generale Mary Lewis, iron lady di stampo thatcheriano, sulla carta nonna dei ragazzi, ma che in pratica svolge quel ruolo d’autorità e controllo lasciato da chi di dovere vacante.
Non navigano nell’oro, i Payne-Lewis, ma vivono dignitosamente e, soprattutto, sono uniti. Ma la vita, come detto, non sarà clemente con Adreian, e per prima cosa una sera decide di dividerli inesorabilmente: Gloria sta preparando del pollo fritto, il piatto preferito del figlio, quando il fumo emesso le provoca un attacco d’asma, di cui è affetta. E’ una crisi particolarmente violenta e non riesce a respirare: va alla finestra per trovare un filo d’aria da mandare ai polmoni, inutilmente. Adreian cerca subito l’inalatore per la casa, ma non riesce a trovarlo, e i secondi passano inesorabili, fino a che Gloria si accascia al suolo. Adreian riesce solo a vedere il suo ultimo rantolo alla ricerca di quell’aria che non entrava più. Aveva 41 anni; il figlio ne ha da poco compiuti 13.
Il vostro tipico giocatore scoordinato che non vorreste mai in squadra al campetto
Quel primo funerale era se possibile più triste di quello in cui si trova ora, e dimenticarlo è ovviamente impossibile. Anche molto tempo dopo Adreian ricorda nitidamente l’enorme senso di colpa che si aggiungeva al lutto, in un periodo della sua vita in cui l’unica cosa che di certo non gli mancava erano i problemi e la fragilità. Il padre, redento dalla fede, si rifà vivo per portare i figli in chiesa, il generale Mary li cresce tenendoli fuori dai guai ma lui è comunque a un punto di svolta: sarebbe semplice lasciarsi andare, scegliere la via più comoda, non ci vuole nulla a Dayton. Ma se c’è una cosa che ha ereditato da Gloria è la forza d’animo: Adreian reagisce, non salta una funzione col padre, si tiene fuori dai suddetti guai. E, come spesso accade in casi del genere, è il basket a risultare decisivo: i suoi fratelli più grandi non l’hanno mai portato con loro al playground a giocare perché “è troppo scoordinato e nessuno lo vuole in squadra”, ma sta crescendo a vista d’occhio e nella squadra, quella del Jefferson High School a cui è appena approdato, vuole entrarci. E’ acerbo, ma viene preso, alla faccia della bassa coordinazione e dei fantomatici fenomeni del campetto.
Non se ne pentiranno: già 1.90 al primo anno di high school, con il secondo prende altri 10 centimetri, che abbinati a un atletismo strabordante lo rendono poco arginabile a quel livello, coordinazione o no. I grandi college iniziano a notarlo, e forse un piano A l’abbiamo trovato. Ma non sarà così semplice, niente lo è mai stato nella vita di Adreian Payne.
Al momento rimane ancora lui l’inserviente più alto conosciuto
A rendersi conto che in queste condizioni non potrà ottenere una borsa di studio è un insegnante di matematica, Richard Gates. Non conosce Payne, ma sa che sul parquet se la cava, abbastanza da ambire alla Division I. Difficile però arrivarci, finché alla Jefferson frequenta le classi “speciali” a causa del suo problema cognitivo e passa le giornate in aula a guardare qualche film, o alla meglio a svolgere programmi da elementari che non gli permetteranno mai di superare il test di livello scolastico minimo richiesto nei college. Divenuto preside, Gates prende da parte il ragazzo ed è di una franchezza brutale: “Puoi lavorare per essere in grado di raccogliere i frutti del tuo talento; oppure diventerai l’inserviente più alto che avremo qui”. Deve stare nelle classi ordinarie, deve riuscire a stare al passo con gli altri studenti se vuole superare quel test e ottenere una borsa di studio.
Ma per seguire i corsi normali c’è da recuperare anni di programmi, di basi teoriche, di nozioni non acquisite. E ci sarebbe sempre la questioncina del disturbo cognitivo. Anche stavolta sarebbe facile rinunciare di fronte all’impresa francamente titanica nelle sue condizioni, ma, ormai si sarà capito, Adreian Payne non è proprio il tipo: “Sapevo di avere la possibilità di andare al college di fronte a me. Ero così carico. Niente mi avrebbe fermato” Inizia un programma serrato che farebbe impallidire Rocky Balboa e i suoi allenamenti su per la scalinata dell’Art Museum di Philadelphia: passeggiate di salute in confronto alla giornata di Adreian, che prevede le canoniche ore di scuola dalle 7.30 alle 14.30, pranzo letteralmente al volo e dalle 14.45 fino alle 18 corsi di recupero intensivi coi tutor. Poi ovviamente ci sono anche due ore di allenamento, perché ok il test d’ingresso, ma ci si va per giocare in Division I. Ogni santo giorno, e non c’è scusa che tenga: quando Arizona è in tour “reclutativo” nella zona, Payne rinuncia perché dovrebbe saltare la lezione del venerdì. Coach Thad Matta di Ohio State pensa di aver fatto un giro a vuoto quando viene a una sua partita e non lo vede nel riscaldamento: Adreian arriva a pelo per la palla a due, doveva finire il corso. E pure un santone come John Calipari, giunto sobriamente alla Jefferson in elicottero per parlargli della possibilità di giocare coi Wildcats di Kentucky, deve attendere un’ora buona in un’afosa palestrina prima che il ragazzo si faccia vedere: finire in anticipo la sua lezione non era nemmeno concepibile.
Payne e il coach di Michigan State Tom Izzo“Rick, vecchio mio, qui però così non va. Questa non spiega le equazioni quadratiche nel modo giusto!”. Gates non si preoccupa della sua insegnante: l’errore sarà di Adreian, fino a un paio d’anni fa sbagliava le tabelline, altroché equazioni quadratiche. Ma sa che è migliorato e fa una capatina in classe: paga pegno Rick, sbaglia lei. Sta per finire il liceo e Payne non ha recuperato sui coetanei, li ha superati direttamente. Ancora in autunno dell’ultimo anno non otteneva grandi risultati nei test, ma qualche mese dopo raggiunge il punteggio di ammissione: andrà a Michigan State University, alla corte di coach Tom Izzo. Ovviamente, Division I.
“Bene Adreian, adesso voglio che porti un blocco cieco per il tagliante e poi ti apri per tirare o ribaltare il lato” “Perché coach?” “Ma come perché?? Perché te lo dico io!” “E perché coach?”. Il figlio minore di Gloria, quello che faceva fatica a leggere un’intera pagina di un libro, è arrivato a studiare al college. Ma qui paradossalmente è proprio sul parquet ad avere qualche difficoltà: il basket è molto più tattico, meno istintivo, non si domina col solo abbinamento fisico-atletismo come al liceo, e Adreian all’inizio fatica a capirlo, chiedendo spiegazioni su qualsiasi cosa. Anche il rapporto con Izzo non è sempre rose e fiori, e di campo inizialmente se ne vede poco; ma dopo le equazioni quadratiche, i giochi offensivi non sono poi impossibili e Adreian trova sempre più spazio, chiudendo il secondo anno a 7 punti e 4 rimbalzi dopo i poco più di 2 in entrambe le categorie dell’annata da rookie. Di questo passo, un’altra stagione a carpire qualche segreto del gioco da Izzo e sarà pronto per il palcoscenico che conta davvero.
La Draft Class del 2013 si preannuncia piuttosto magra, e Payne andrebbe al primo giro senza problemi, forse attentando addirittura alla zona lottery. Ma ad agosto, prima dell’anno da junior, dopo aver portato a spasso l’ormai anziana generale Mary, si accorge che la nonna lo guarda in modo strano, come se sapesse che non lo rivedrà: Mary Lewis muore il pomeriggio seguente, e, come per la figlia, il carnefice è sempre lo stesso, l’asma. Nel corso del terzo anno la crescita è effettivamente costante (10.5 e 7.6 rimbalzi in soli 25 minuti in campo), ma non c’è possibilità di scelta che tenga: ha promesso alla nonna che si sarebbe laureato, e decide quindi di rimanere al college anche per l’ultimo anno, in cui non solo viaggia a oltre 16 punti e 7 rimbalzi sfiorando anche la Final Four NCAA (eliminati solo in Finale del Regional dalla Connecticut di un altro senior scatenato di nome Shabazz Napier), ma consegue anche l’agognato titolo accademico in Studi Interdisciplinari. Ovviamente è il primo Payne a laurearsi, non necessariamente quello su cui si sarebbero puntate le fiches alla vigilia.
Eppure, ripensandoci anche ora che il college l’ha finito, Adreian si rende ormai conto che non è la laurea la cosa più importante che ha ottenuto a Michigan State, e nemmeno i pur fondamentali insegnamenti di coach Tom Izzo. E’ il 2011 quando alla squadra viene chiesto di andare in un ospedale a trovare i degenti di malattie gravi, specie i più piccoli, per regalare loro un sorriso. Tutti ci vanno, sono gentili e premurosi, ma poi tornano alle proprie vite. Adreian invece rimane molto colpito da queste persone sofferenti, si ferma a parlare con tutti, e in particolare con una ragazzina, che “sembrava poter sentire il mio spirito”; le lascia il suo numero, deciso a tornare. Nasce così l’amicizia con Lacey Holsworth, che diverrà fortissima: è lei a tagliare la retìna dopo la vittoria del titolo della Big Ten, con lei va al centro del campo nella Senior Night. Diventa la mascotte della squadra, e Payne il suo Superman, sempre in grado di tirarla su di morale anche quando il neuroblastoma di cui soffre, apparentemente debellato, si ripresenta in modo più aggressivo, e le cure sono devastanti su un corpicino di nemmeno 8 anni. La loro storia, a lungo rimasta nell’ombra, una volta divenuta pubblica commuove l’America. Soprattutto perché finisce tragicamente: nemmeno Superman può sconfiggere un tumore tanto radicato, e perde quindi l’ennesima persona importante della sua vita, pochi giorni dopo la fine del suo ultimo Torneo NCAA e prima che la piccola possa vederlo tra i professionisti.
Deve riscuotersi dai suoi pensieri, altre persone, in quel funerale che prova in qualche modo a mitigare l’inevitabile profonda tristezza che scende quando ad andarsene è un bambino, vogliono ringraziarlo per quanto ha fatto per Lacey nel corso della sua esistenza troppo breve. Adreian risponde come ha sempre risposto: “Sono io che devo ringraziare lei. Mi ha dato una forza che non credevo di avere quando ero in difficoltà”. Perché, ora che Lacey non c’è più, si rende conto di quanto quell’amicizia tanto genuina, vera ed estranea alla pietà per una piccola fan malata che comunque ha vissuto il poco tempo concessole sentendosi una principessa grazie agli Spartans e ad Adreian, ha arricchito tremendamente anche lui, mostrandogli una dote che non credeva di avere: forse per la vita non certo facile che ha passato, le difficoltà scolastiche ma anche sociali che il suo disturbo ha comportato e il conseguente senso di emarginazione che l’ha accompagnato per buona parte della sua esistenza, Adreian ha sviluppato una profonda sensibilità che lo porta ad avvertire e ad aiutare chi ha bisogno di una mano, anche solo di una parola di conforto: spesso torna alla Jefferson a raccontare la sua incredibile storia di umanità e tenacia, e puntualmente si ferma a parlare di più con chi è escluso, emarginato, bisognoso d’attenzione. “E’ come se usasse tutto quel dolore del suo passato per dire: «Come posso trasformarlo in qualcosa di positivo? Chi posso aiutare? Chi può rialzarsi dal mio esempio?»”, ricorda ancora Richard Gates, una persona uscita cambiata dall’incontro con Payne. Come coach Tom Izzo, che nella sua lunga e prestigiosa carriera un paio di giocatori li ha visti, ma se gli chiedete di Payne vi dirà, non senza una certa commozione, di “sperare di aver insegnato qualcosa a quel ragazzo. Perché lui, a me, ha insegnato tantissimo”. Non è una persona come le altre, Adreian Payne, non lo è mai stato, fin da quando l’insegnante gli chiedeva che progetti avesse per il futuro e lui non rispondeva, divorato dai propri problemi. Quegli stessi problemi che ha saputo trasformare in risorsa, e, grazie al provvidenziale incontro con una bambina malata di tumore, rendere quasi una vocazione: avvertire il dolore altrui e porvi rimedio. Era scritto nella stessa assonanza del suo cognome, quasi invocato anche quando scendeva in campo e dopo una delle sue prodigiose schiacciate i commentatori entusiasti gridavano: “CAN YOU FEEL DA PAYNE?!”. He can, eccome, tanto da farne un piano A, il suo piano A, da portare a quell’insegnante, ovunque essa sia. Il basket, tutto sommato, può anche scalare al ruolo di piano B, fondamentale eppure subalterno per un ragazzo come Adreian Payne.
P.S.: si è scelto di chiudere la rubrica Road to Draft di quest’anno con la vicenda umana prima che sportiva di Adreian Payne. Il quale comunque, piano A o B che sia, rimane un buonissimo giocatore di pallacanestro, probabile scelta dell’imminente Draft e auspicabile nella seconda metà del primo giro. Chi investirà su di lui si porterà a casa un personaggio certamente positivo ma anche un buona ala potenzialmente di buon impatto nella Lega, come si può vedere nel video che segue.