Ampiamente pronosticata e fortemente cercata dagli uomini in maglia bordeaux/oro, questa serie si presenta come una delle più “scontate” (se mai si può dare qualcosa per scontato in NBA), anche se è alquanto ricca di temi, come, ad esempio, il ritorno delle due franchigie alla post-season (Boston dopo un anno, Cleveland dopo un intervallo un po’ più lungo) e la “prima volta” di Kevin Love e Kyrie Irving, che finalmente calcheranno un parquet decorato dal logo degli NBA Playoffs, al pari del nostro Gigi Datome.
Come arrivano ai Playoffs?
“I’m coming home”, questa la frase di chiusura della lettera aperta che, a un anno dalla sua composizione, è già diventata una delle più famose della storia della lega. Trattasi, chiaramente, della lettera con la quale il Re, LeBron James, annunciava, nella post-season scorsa, il suo ritorno in Ohio. Immediato il perdono di mr. Dan Gilbert, così come quello dei tifosi, pronti a stringersi di nuovo intorno al nativo di Akron. Poco prima, il colpaccio alla lottery (terza prima scelta assoluta vinta in quattro anni) aveva portato anche Andrew Wiggins, il fenomenale prospetto protagonista dei sogni più sfrenati di quasi tutti GM della NBA, usato poi come pedina per arrivare all’ambitissima ala forte made in California, Kevin Love. Con un’altra superstar già in casa, rispondente al nome di Kyrie Irving, e la panchina che si allungava di nomi importanti, richiamati dall’appeal di Sua Maestà LBJ, la stagione non poteva che partire sotto le migliori prospettive in quel dell’Ohio. Il brusco risveglio arriva, però, già nella prima partita, una sconfitta contro i New York Knicks, che, a dire il vero, non erano ancora quella disastrosa macchina da tanking che si sarebbe poi vista nel corso della stagione. Da lì una prima parte di regular season fatta di alti e bassi, con la chimica di squadra che fatica ad arrivare e i Cavaliers che scivolano verso zone della classifica poco ambite. LeBron arriva a criticare apertamente i suoi compagni di fronte alla stampa. Due eventi soprattutto segnano questo inizio negativo: il 24 dicembre Anderson Varejao è out for the season per la rottura del tendine d’Achille nel match contro i Minnesota T’Wolves, mentre la notte successiva i Cavaliers vengono sconfitti dagli Heat, ex compagni di LeBron, a South Beach nella partita di Natale. È la sveglia. Il 6 gennaio l’establishment dei Cavs porta a termine uno scambio a tre squadre, mandando Dion Waiters a Oklahoma City e portandosi a casa J.R. Smith e Iman Shumpert, il 7 manda due future scelte al Draft in quel di Denver in cambio del centro russo Timofey Mozgov. L’efficacia dei nuovi innesti è evidente e immediata e Cleveland risale velocemente in classifica, inanellando una buona serie di vittorie consecutive per raggiungere la seconda posizione a Est (53-29, con annessa vittoria di Division), dietro solo agli imprendibili Atlanta Hawks. Nel finale di stagione qualche veleno (forse un po’ gonfiato dai media) macchia le prestazioni dei Cavaliers: dalla polemica tra Love e LeBron relativa all’MVP e ai loro rapporti reciproci, a quella sugli schemi chiamati in campo dal Re, fino a quella per la sconfitta “pilotata” contro i Celtics alla penultima di stagione.
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Tanti erano i dubbi che all’inizio della stagione circondavano il roster dei Boston Celtics, al secondo anno di ricostruzione dopo l’era Doc Rivers. Un solo condottiero riconosciuto, Rajon Rondo, coadiuvato da qualche buon gregario come Jeff Green. Veramente troppo poco per una piazza abituata a ben altri spettacoli. Fino alla fine del 2014 il percorso non è affatto incoraggiante: troppe sconfitte spingono il GM Danny Ainge a una mossa spericolata. Via Rondo, che approda ai Dallas Mavericks il 19 dicembre in cambio di un nutrito pacchetto di giocatori da panchina e scelte future (un addio già preparato in estate, con la scelta al Draft di Marcus Smart), via anche Jeff Green che raggiunge i Memphis Grizzlies il 12 gennaio per Tayshaun Prince e Austin Rivers (immediatamente girato ai Clippers). Poi, proprio sulla trade deadline del 19 febbraio, il capolavoro. Boston si inserisce nel balletto di scambi che sta portando via le guardie in eccesso da Phoenix e si accaparra Isaiah Thomas spedendo in Arizona Marcus Thornton e una scelta futura (2016, via Cavs). Nello stesso giorno Tayshaun Prince viene rimandato a Detroit, già spettatrice dei suoi anni migliori, in cambio di Gigi Datome e Jonas Jerebko. È un cambiamento che non fa che bene alla squadra guidata da Brad Stevens, che comincia a esprimere un grande gioco collettivo e a mettere in cascina una buona serie di vittorie, aiutata anche da un positivo Evan Turner. Ciò che all’inizio della stagione appariva come una chimera difficilmente raggiungibile, si consolida in realtà anche grazie ai passi falsi delle concorrenti, in primo luogo Miami Heat e Indiana Pacers, che nel finale di stagione perdono tanto, troppo. Dopo la vittoria contro i Cavaliers orfani delle loro stelle nel finale di stagione, i Boston Celtics più umili e lavoratori di sempre sigillano un risultato entusiasmante: settimo posto a Est e primo turno dei Playoffs raggiunto, contro ogni pronostico. Ma si sa, i pronostici sono fatti per essere sfatati.
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Uomini Chiave
LeBron James: è chiaro come il Sole che l’ago della bilancia sarà il #23 di Cleveland. I quattro anni a Miami, il “college che non ho mai fatto”, gli sono serviti a scrollarsi di dosso ansie e pressioni, lo hanno forgiato e non hanno fatto che renderlo più forte, psicologicamente, tecnicamente e dal punto di vista della leadership. Con gli haters che non possono più puntare il dito sulla mancanza di anelli, e un roster competitivo come mai nella vita ne ha avuti, il Re è pronto a mettersi la corona da Imperatore, e si è già liberato la fronte allo scopo, adottando un inusitato look “head-bandless” con il quale sembra sempre più feroce e devastante. Questi Playoffs potrebbero essere il suo regno.
Kyrie Irving: non è semplice trasformarsi nel corso di un’estate da “uomo solo al comando” a “secondo violino”, eppure Uncle Drew si è adattato molto bene al suo nuovo ruolo all’interno dell’organizzazione. Di fianco al Prescelto, il #2 dei Cavaliers ha avuto un miglioramento repentino, in termini di cifre e di mole di gioco, anche se i suoi assist rimangono comunque pochi in relazione alla sua posizione in campo e al numero di palloni che gestisce. Ma la sua attitudine offensiva e la facilità con cui trova la retina lo pongono al di sopra di ogni commento possibile. Sarà soltanto il parquet a parlare per lui in questi Playoffs.
Isaiah Thomas: l’elfo scatenato nativo di Tacoma ed ex di Sacramento Kings e Phoenix Suns sarà la vera chiave della serie per i bianco-verdi. Se riuscirà a prendere il controllo dell’attacco e a far girare la squadra secondo i suoi ritmi potrebbe diventare un fattore difficile da arginare, anche se il fatto di essere sottodimensionato rispetto ai suoi marcatori è un elemento che non gioca (e mai giocherà) a suo favore.
Jared Sullinger: giocatore dalle medie alte in stagione (14.9 pts e 8 rbd), prima che un infortunio al metatarso lo mandasse ai box per un paio di mesi. Rientrato soltanto a inizio Aprile, il suo ruolo sarà però fondamentale in una squadra virtualmente priva di lunghi veri e propri. Dalla sua capacità di contenere Kevin Love passeranno molte delle possibilità dei Celtics in questa serie.
Luigi Datome: chiaramente non poteva mancare l’accenno al nostro Gigigante, che, anche se non ricoprirà effettivamente un ruolo di primaria importanza in questa serie, potrà sfruttare la vetrina dei Playoffs per mettersi in mostra e dimostrare di valere questa lega, oltre a essere, insieme a Marco Belinelli, unico portabandiera del tricolore. Dopo la scorsa stagione passata a svernare sul pino, e l’inizio di questa a bazzicare la D-League, chi ci avrebbe mai scommesso?
Gli Allenatori
Non è mai un compito facile quello di guidare un’auto da Formula 1. Per conferma chiedere a coach David Blatt, che, nella sua stagione d’esordio nella lega di basket più bella del mondo, si ritrova tra le mani un gruppo di campioni di raro talento e potenziale, costruito appositamente per l’attacco al bersaglio grosso. Anche essere a capo di una corazzata del genere presenta i suoi rischi e le sue problematiche, ma il coach “rookie” (in senso molto lato, visto il curriculum) ha saputo ben figurare nonostante le difficoltà e le polemiche. Accantonata, per evidenti crisi di rigetto della squadra, la Princeton Offence proposta a inizio stagione, Blatt è stato capace di reinventarsi e di reinventare i Cavaliers, senza disdegnare di appoggiarsi ai suoi giocatori più carismatici (leggasi LBJ), anche se questo gli ha causato l’accusa di essere soltanto un fantoccio sul pino in Ohio. Ora a lui il compito di tastare il polso alla squadra e di stare saggiamente al timone nel momento in cui il gioco si fa duro.
Molto meno tempo del previsto è stato necessario al demiurgo del basket collegiale, Brad Stevens, per prendere per mano i Celtics e condurli di nuovo alle posizioni cui ambiscono per natura. Certo il record con il quale questo obiettivo è stato ottenuto (40-42) non è dei più entusiasmanti, e sicuramente in altre epoche non sarebbe mai stato abbastanza, ma è sicuramente un primo passo verso lidi più luminosi. Adesso il Demiurgo ex Butler deve dimostrare mano ferma e sangue freddo, pronto ad affrontare al 100% una sfida difficile. Ma difficile non significa mai impossibile.
Precedenti
Nei quattro match disputati durante la regular season le due franchigie si sono divise equamente la posta, anche se il peso delle vittorie è stato profondamente diverso. Successo di misura (122-121) di Cleveland al TD Garden nella prima sfida di stagione, il 14 novembre, con un LeBron James da 41 pts sugli scudi. Una lunga pausa, fino al 3 marzo, poi i bianco-verdi rendono la visita, finendo per essere letteralmente asfaltati in Ohio (110-79 il risultato in favore dei padroni di casa alla Quicken Loans Arena), mentre Cleveland manda in doppia cifra sette giocatori su dodici. Le ultime due sfide giungono a distanza ravvicinata il 10 e il 12 aprile, e sono due vittorie per i Celtics: la prima a domicilio per 99-90, quando i Cavs sono privi di Irving e con James a minutaggio ridotto, la seconda sul parquet a scacchi del TD Garden, con un altisonante 117-78 che si spiega nel riposo forzato di tutte le migliori bocche da fuoco della franchigia dell’Ohio. La storia più in generale pende necessariamente dalle parti dei bianco-verdi, con il ricordo ancora fresco delle eliminazioni in Semifinale di Conference sia nel 2008 (un 4-3 tra i Celtics, testa di serie #1 e Cleveland #4) che nel 2010 (un 4-2 in favore degli uomini di Doc Rivers, ma a parti invertite). Il tutto nonostante un Prescelto in grado di fare cose come quelle che si possono descrivere solo con una citazione: “LeBron James with no regard for human life!”
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Pronostico
Sulla carta la sfida sembrerebbe scontata, ma se le cose venissero decise soltanto dalla carta dove sarebbero tutta la magia e lo spettacolo? Cleveland è una corazzata, ma il suo gioco di squadra non è ancora ben oliato, e alcuni ingranaggi scricchiolano. D’altro canto la panchina lunghissima e di qualità dei Cavaliers lascia pochissime fessure di speranza. Boston deve essere brava a sapersi inserire in queste fessure e sfruttare ogni minima occasione, affidandosi soprattutto al bel gioco mostrato negli ultimi mesi. Il compito non è dei più semplici, ma Isaiah & co. possono pensare di strappare qualcosa ai favoriti della vigilia.
Risultato Serie:
Cleveland Cavaliers 4
Boston Celtics 1
Calendario
Dom. 19/4 | Gara 1 | Boston @ CLEVELAND | ore 21.00 |
Mar. 21/4 | Gara 2 | Boston @ CLEVELAND | ore 01.00 |
Gio. 23/4 | Gara 3 | Cleveland @ BOSTON | ore 01.00 |
Dom. 26/4 | Gara 4 | Cleveland @ BOSTON | ore 19.00 |
Mar. 28/4 | Ev. Gara 5 | Boston @ CLEVELAND | orario da definire |
Gio. 30/4 | Ev. Gara 6 | Cleveland @ BOSTON | orario da definire |
Sab. 02/5 | Ev. Gara 7 | Boston @ CLEVELAND | orario da definire |