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L’ultima vittoria degli Warriors a San Antonio? 19 anni fa…

Corsi e ricorsi storici: l’ultima volta che la franchigia della Baia è tornata con una vittoria dalla casa degli Speroni i protagonisti di oggi non c’erano.

Stanotte, come tutti ormai sappiamo, i Golden State Warriors hanno l’occasione di entrare una volta di più nella storia della NBA. Con una vittoria in casa dei San Antonio Spurs, infatti, la franchigia della Baia eguaglierebbe il record dei Bulls 1995/96 con 72 vittorie, e si troverebbe nella posizione ideale per riuscire infine a infrangere quello stesso record, se mercoledì dovesse arrivare una vittoria contro i Memphis Grizzlies.

Ma interrogando la storia si incappa in un particolare non trascurabile per gli uomini di Steve Kerr: gli Warriors, infatti, non vincono un match di regular season all’AT&T Center di San Antonio dal lontanissimo 14 febbraio 1997, quando un Latrell Sprewell da 32 punti condusse i suoi alla vittoria per 108-94 sugli Speroni. Da quel momento solo delusioni per Golden State in terra texana, almeno durante la stagione regolare. Perché a dire il vero gli Warriors sono riusciti a violare il parquet casalingo degli Spurs anche in una data più recente, ossia l’8 maggio 2013, durante una serie di playoff che poi avrebbero perso per 4-2.

Una striscia negativa che è tanto più notevole dal momento che costituisce la seconda più lunga serie di insuccessi di una squadra sul campo di un’altra, subito dopo le 43 sconfitte subite dai Sacramento Kings sul parquet dello Staples Center per mano dei Los Angeles Lakers tra il 1975 e il 1992.

Ma che cosa facevano i protagonisti della sfida di stanotte in quel lontano febbraio 1997?

Stephen Curry aveva appena 8 anni e abitava a Charlotte con il padre Dell, allora un giocatore degli Hornets, mentre un Klay Thompson di 7 anni divideva i campetti della Little League di Lake Oswego, Oregon, con l’amico Kevin Love. 7 anni li aveva anche Draymond Green, mentre Harrison Barnes ne aveva soltano 5. Andrew Bogut era un 13enne che guardava le partite dei Chicago Bulls e ammirava Toni Kukoc, Andre Iguodala anche lui 13enne, guardava le stesse partite, incantato, come ovvio, da Michael Jordan.

Dall’altra parte Tim Duncan militava tra le fila di Wake Forest, ed era il miglior giocatore collegiale su piazza, tanto da guadagnarsi la chiamata #1 al Draft, Tony Parker era invece un 15enne che si accostava alla sua prima esperienza cestistica nelle leghe amatoriali francesi. Manu Ginobili aveva 20 anni ed era nel pieno della sua esperienza all’Estudiantes de Bahia Blanca. Kawhi Leonard aveva 6 anni, LaMarcus Alderidge 12.

In Scozia, a Roslin, veniva dato l’annuncio della nascita della pecora Dolly, il primo essere vivente frutto di clonazione, un piccolo incendio colpiva la stazione spaziale sovietica Mir e un gruppo di rapinatori armati di AK-47 dava battaglia alle forze di polizia di Los Angeles in quella che divenne nota come “sparatoria di North Hollywood” e che aprì il mai sopito dibattito sulle armi da fuoco negli Stati Uniti. Al primo posto della classifica dei singoli musicali più venduti c’era “Un-Break My Heart” di Toni Braxton.

In sostanza, una vita fa.

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