Non pensavo di dover mai scrivere questa lettera fino a oggi, a pochi giorni dal tuo ritiro. Quando cresci con un mito, e vent’anni di storie son tante, il ritiro è una parolaccia, un momento che tendiamo a rimandare all’infinito. Siamo come drogati che dicono “smetto quando voglio” ma quando quel momento arriva davvero, la sensazione di panico arriva come uno tsunami. Ed è così che mi sento, travolto da questa sensazione di vuoto che si prepara ad assalire il mio animo non appena suonerà l’ultima sirena. Purtroppo non ho sempre avuto le tv a pagamento che mi consentivano di vedere il basket. Quando ero più piccolo, internet era ancora una leggenda metropolitana e chi lo aveva era una sorta di maestro Yoda per noi meno fortunati (che poi, meno fortunati, non esageriamo, facciamo meno privilegiati). Il basket lo si poteva seguire solo tramite le riviste specialistiche, le stesse che speravi che tuo padre ti comprasse invece di prenderti le caramelle perché qualcosa per fare i capricci c’è sempre quando si è più piccoli. La prima partita che ho visto decentemente, registrata da un amico, è stato l’All Star Game del 2003. So che lo ricordi. Mentre tutti erano con gli occhi tristi per MJ, io non vedevo l’ora di vedere quel momento in cui avresti rovinato la festa a tutti loro. Sapevo che sarebbe arrivato e infatti non mi sbagliavo. Fino a quel momento avevo potuto seguirti solo negli highlights che ogni tanto davano, anche se non mi ricordo minimamente gli orari. E poi finalmente vidi quella prima partita. Un sogno che diventava realtà, almeno per me. Ero riuscito a vedere una partita del mio idolo, tra l’altro che All Star Game. Sapevo tutto di quel mondo ma solo tramite le riviste e vedere determinate cose per davvero, era tutto un altro mondo. Avevo la maglia, i pantaloncini, il cappello, ogni cosa dei Lakers e ancora oggi conservo il tuo poster nel cassetto della mia camera di quando ero bambino, messo lì quando mi sono trasferito fuori da casa dei miei e che, appena avrò una casa stabile, fisserò in una bacheca tipo altarino. Ora di partite ne ho viste davvero tante, e, quando ho potuto, me le sono gustate in differita o in diretta, l’importante era vedere quei gesti che per me sono poetici quanto un verso di Dante o una sinfonia di Beethoven. Si sottovaluta tanto lo sport ma non capisco perché non si possa considerare artistico un tiro all’indietro dei tuoi, con quella mano che accarezza la palla e la fa roteare nel cesto. Per non parlare di ciò che ho imparato guardandoti in campo. E stavolta non parlo di basket. Tenacia, applicazione, allenamento, obbiettivi … stiamo parlando di un modo di vedere, un modo di essere, che è d’esempio per tutti, non solo per gli atleti. Nella vita, quando le cose vanno male, penso sempre a cosa faresti tu. Se sento di non farcela, mi ricordo sempre di quel momento in cui stavi in campo con il dito rotto, la spalla dolorante o il tuo tiro libero con il tendine d’Achille rotto, e mi riprendo. Se non ho voglia di applicarmi in qualcosa perché sono stanco o lo trovo noioso, penso sempre a quante volte avrai provato e riprovato quei movimenti senza palla che hanno fatto di te un campione e allora capisco che sarei solo un coglione a mollare per un motivo futile come la noia. Ho scoperto quanto è importante stringere i denti e quanto sia grande la soddisfazione che deriva dal duro lavoro proprio perché tu sei così e ci hai mostrato al mondo questo lato della tua personalità. Uno può innamorarsi di tanti giocatori, e sicuramente tutti abbiamo le nostre cotte. Kobe Bryant non è una cotta, è filosofia di vita. Credo che vada oltre al basket, davvero molto più di quanto le persone dicano. E non mi interessa sapere chi ha fatto più punti, chi è più clutch, chi è più bravo da tre punti … queste sono cose che lascio agli analisti del basket. Io penso solo che quel fade away che ho provato e riprovato migliaia di volte al campetto, senza mai riuscire a sembrare un giocatore di basket nonostante i tanti anni di onorata carriera da dilettante, riuscirà sempre a emozionarmi. Sei il giocatore con cui sono cresciuto e penso che sarà un giorno davvero difficile quello che si sta avvicinando, così come sarà vuota l’NBA, per me, una volta che tu ti sarai ritirato per davvero. Molti dicono che arriveranno altre stelle, altri per cui emozionarsi, eppure è come nella vita delle coppie: il primo amore non si scorda mai. Sarai sempre il miglior giocatore che abbia mai visto, il più tenace, quello per cui avrei scommesso anche un anno di stipendio a tre secondi dalla fine e un solo tiro per la vittoria. Farò il conto alla rovescia e sarà il più lungo della tua carriera. Quando il cronometro dirà “zero”, sarà tutto finito e l’unico modo per poterti ammirare sarà tramite i video del passato. L’unico rimpianto che avrò per sempre nella mia vita è non aver avuto la possibilità di vederti giocare dal vivo. Un sogno che non si è mai realizzato e che ormai non si realizzerà mai. Avrei voluto essere a bordo campo, un giorno, per poterti vedere in tutto il tuo splendore. Ma come ti ho detto all’inizio, per un fan non esiste il momento del ritiro, è solo una brutta parola che ci mette l’ansia. E ora che è arrivato, l’unica cosa che posso dire è grazie per tutto ciò che mi hai insegnato.
Walter Masala