«Chi l’avrebbe mai detto»: potrebbe essere il motto dell’intera stagione NBA, un’annata storica che ha visto molti record venire infranti, alcune squadre e giocatori ergersi al livello dell’Olimpo di questa Lega, altri invece, purtroppo, essere costretti a lasciare il passo dopo vent’anni di onoratissima carriera. Dopo questo 2015/2016 la NBA non sarà più la stessa, e alla vigilia era difficile da pronosticare: Kobe Bryant a inizio anno era acciaccato ma non aveva mai parlato di ritiro, i Golden State Warriors erano forti ma nessuno poteva immaginare che fossero in grado di perdere meno di dieci gare su 82, e secondo molti non avrebbero nemmeno retto una seconda stagione a certi ritmi, mentre tantissimi davano gli Houston Rockets ormai tra le più papabili contender a Ovest dopo aver raggiunto la finale di conference lo scorso anno. Chi l’avrebbe mai detto, appunto: gli Warriors non solo si sono confermati dominatori della stagione regolare ma sono diventati, quantomeno numericamente, la miglior squadra della storia su singola stagione, mentre il castello eretto dai Rockets ha rivelato avere enormi problemi di costruzione e le crepe, prima tra tutte quella dell’ormai cronica inconsistenza difensiva, hanno iniziato a minarne la stabilità dall’interno. A lungo fuori dalla zona playoff, complice un calendario favorevole Houston è riuscita a prendere per i capelli la post season, ma non poteva incontrare avversario sulla carta peggiore; dal canto loro, gli Warriors non possono certo dormire sonni così tranquilli con gli esperti Rockets già al primo turno, tutt’altra cosa per talento puro ed esperienza rispetto ai Jazz, beffati all’ultima giornata, o ai Pelicans del primo turno dello scorso anno. Dopo una stagione trionfale ma molto faticosa, Golden State dovrà dunque rimboccarsi le maniche fin da subito.
COME ARRIVANO AI PLAYOFF
Come accennato nell’introduzione, e come spesso accade quando ad affrontarsi sono i due estremi del tabellone, Warriors e Rockets non potevano arrivare alla post season in modo più diverso: i primi sono reduci dalla miglior stagione della storia della franchigia e dell’intera storia NBA, sono una macchina ormai ai limiti alla perfezione su entrambe le metà campo, hanno una panchina abbastanza lunga da permettersi di limitare Stephen Curry, ad esempio, ad appena 34 minuti di media, sono basati su certezze tanto salde da non venir meno nemmeno nei momenti di flessione che comunque hanno avuto nel corso della stagione; i secondi, al contrario, sono una squadra di grande talento offensivo ma tra le più carenti nella propria metà campo (peggior Defensive Rating tra le squadre ai playoff insieme ai Blazers a quota 105.6 punti concessi ogni 100 possessi), infarcita di giocatori talentuosi ma dal carattere non facile, con alcune tensioni interne e voci di mercato (su tutte la presunta scarsa simpatia tra i due leader James Harden e Dwight Howard) e salvati quasi esclusivamente dalla totale Caporetto dalla verve offensiva del proprio fortissimo go-to-guy. Complice la rincorsa alla post-season, Houston è però parsa in crescendo nell’ultima parte di stagione, e ha certamente molti elementi abituati al peso delle gare di playoff che potrebbe alzare il proprio livello.
LA SFIDA
Ha appassionato l’intera stagione scorsa, è stata al centro anche della finale di conference e si ripresenta ora in questo primo turno: la sfida di questa serie non può che riguardare Stephen Curry e James Harden, i due duellanti per lo scorso MVP e tra i primi 5 giocatori dell’intera Lega. La passata stagione la rivalità tra i due esterni è definitivamente esplosa durante la volata al premio di miglior giocatore della stagione che li coinvolgeva, e secondo molti (compresa l’Associazione giocatori) era il Barba ad essere il più meritevole dei due. Quest’anno, nonostante l’ennesima ottima annata statistica dell’ex OKC, l’irreale rendimento del figlio di Dell non pone nemmeno la questione, ma è probabile che Harden abbia ancora il dente avvelenato per un secondo posto che ha sempre vissuto come un’ingiustizia. Nonostante dunque avrà più occhi addosso di Tupac Shakur, attenzione alla voglia di rivalsa del Barba, l’unico realmente in grado di trascinare i Rockets oltre i propri limiti contro la corazzata Warriors. Dal canto suo, invece, Steph Curry viene dalla miglior stagione in carriera e pare assolutamente on fire, ma si troverà di fronte uno dei pochi specialisti difensivi dei Rockets e un avversario rognoso come Patrick Beverley, assente per infortunio negli scorsi playoff, che certamente proverà a innervosirlo (se non a infortunarlo, citofonare campanello Westbrook per informazioni…): sarà importante per Golden State che Curry non perda la concentrazione e continui a guidare la fuoriserie Warriors di cui è il cuore pulsante.
PRECEDENTI STAGIONALI
Come la maggior parte delle avversarie degli Warriors in questa incredibile stagione, anche i Rockets non sono mai riusciti a spuntarla con la franchigia della Baia nei tre incroci stagionali, di cui ben due al Toyota Center, subendo una media di oltre 116 punti e uno scarto di 12.3 lunghezze; l’unica volta che i Rockets sono andati vicini all’impresa, nella gara casalinga di capodanno persa alla fine 110-114, a Golden State mancava peraltro Curry. Numeri insomma non esattamente incoraggianti, parzialmente compensati dal buon attacco che Houston è tendenzialmente riuscita a mettere in campo (un po’ il leitmotiv della sua intera stagione): dopo il primo scontro già alla seconda giornata chiuso a quota 92, in entrambe le gare successive i Rockets han segnato sempre 110 punti, peraltro con ottime prove del Barba (30 e 37, mentre è stato quasi del tutto annullato nel primo incontro, chiuso a 4/18). Ancora una volta, le uniche speranze dei Rockets sembrano legate alla vena di Harden e a un minimo di maggiore tenuta difensiva, ma è chiaro come gli Warriors, visti anche gli scontri diretti, partano favoritissimi.
ANALISI E CHIAVI DELLA SERIE
Con risultati chiaramente diversi, soprattutto nell’ultimo anno, Golden State e Houston sono due squadre dall’idea di gioco molto simile: quattro giocatori perimetrali e un solo lungo d’area (a volte nemmeno quello), filosofia spiccatamente offensiva e votata all’attacco in transizione e ai tiri rapidi (meglio se dalla lunga), bocche di fuoco soprattutto, se non solamente, tra gli esterni e le guardie in particolare. La differenza tra le due compagini è dovuta in primo luogo al livello organizzativo estremamente più elevato tra quelli della Baia, in cui tutti sembrano sapere perfettamente cosa fare, quando tagliare, come muoversi; ma soprattutto lo scarto maggiore è nella propria metà campo, dove Golden State negli ultimi anni è diventata una buonissima squadra, mentre Houston spesso fatica anche solo a seguire i tagli: a riprova di ciò, il Defensive Rating tra le due rivali è quasi opposto (quarti gli Warriors a 100.9 punti subiti ogni cento possessi, 21simi i Rockets a 105.6). Una prima, basilare chiave per i Rockets per provare ad allungare la serie sarà dunque quella di alzare il volume in difesa per non soccombere totalmente alla potenza di fuoco degli esterni avversari: lo stesso Harden, con la batteria di guardie che avrà davanti, non potrà permettersi l’atteggiamento quasi fastidioso tenuto in stagione. Un’altra chiave sarà certamente l’apporto di Dwight Howard, il più delle volte sempre più inconsistente in campo: quello che sulla carta dovrebbe essere l’altro leader dei Rockets è l’unico giocatore dell’intera serie teoricamente pericoloso in area e dovrebbe essere una presenza nel pitturato, come lo fu, ad esempio, Tristan Thompson nelle ultime Finals, con punti ravvicinati e rimbalzi offensivi; l’ormai quasi ex Superman avrebbe dunque le caratteristiche per dar fastidio ai campioni in carica, se riuscisse a togliersi di dosso la kryptonite che ormai pare quasi portarsi in tasca. Infine, anche la sfida tra i due supporting cast e le panchine, entrambe molto lunghe, potrebbero determinare parecchio nelle sorti della serie.
Ma aumentare la difesa o l’aggressività di Howard nel pitturato non è esattamente come accendere un interruttore: è difficile pensare di fare queste cose a comando dopo una stagione tanto altalenante. Con ogni probabilità, Golden State riuscirà a fare il bello e il cattivo tempo con una squadra ad essa molto simile per caratteristiche e filosofia e che non la fa andar sotto fisicamente (come i Grizzlies o i Cavs negli ultimi playoff, con le quali infatti aveva sofferto): agli Warriors dunque dovrebbe bastare mettere in campo la propria pallacanestro chiudendo forte Harden (probabile la staffetta Thompson-Iguodala, non certo gli ultimi difensori della Lega…) per avere ragione abbastanza facilmente degli avversari.
PRONOSTICO
Pronostico scontato dunque? Per quanto riguarda la vincente, probabilmente sì (un clamoroso upset pare altamente improbabile), ma starà a Houston determinare un risultato più o meno netto. Siamo pronti a scommettere sull’orgoglio del Barba e su almeno una partita offensivamente stratosferica cui potrebbe corrispondere una vittoria; ma nell’arco di un’intera serie, è probabile che i Rockets vengano annichiliti dagli avversari come accade già quasi un anno fa, e il risultato, con roster peraltro molto simili, non dovrebbe essere alla fine molto diverso: 4-1 per gli Warriors.