Vincerne 40 in casa su 41 (eguagliando il record dei Celtics del 1986), scrivere alla fine della Regular Season sotto la colonna delle “W” 67 (settima squadra a raggiungere questo traguardo nell’intera storia NBA) ed essere considerata dai più come una squadra che può al massimo provare a dare fastidio, senza poter ambire però a togliere il Titolo a Golden State.
Gli unici a riuscire in questa impresa non potevano che essere i San Antonio Spurs, che dopo avere disputato una delle migliori stagioni di sempre, arrivano ai Playoff come “vittima sacrificale d’eccellenza” di Curry e compagni. Certo, le luci della Baia di San Francisco sono state talmente tanto luminose che avrebbero messo in ombra chiunque, ma per chi è abituato a lavorare lontano dalle telecamere, questo è stato un enorme vantaggio. Avere avuto tutto il tempo a disposizione per crescere e per inserire in un ingraggio elaborato come quello Spurs un nuovo perno di inestimabile valore, non ha prezzo.
Il fulcro attorno al quale far girare l’attacco e in generale buona parte delle fortune per i texani. LaMarcus Aldridge è entrato in punta di piedi ed ha adattato il suo gioco sia in difesa (non proprio il suo forte) e poi in attacco. Toccare meno palloni, tenerla ferma meno del solito. Tirare un po’ meno, soprattutto dal suo confort spot, da quella “media distanza” che agli Spurs non dispiace, ma che deve essere il risultato del movimento di uomini, palla e soprattutto idee.
Primi avversari lungo il cammino Playoff per Popovich e i suoi sono i Memphis Grizzlies più rimaneggiati degli ultimi anni, reduci da un finale di stagione a metà tra l’infermeria (sempre più piena) e il mercato dei free agent (dal quale raccattare non talenti o opzioni aggiuntive, ma semplicemente qualcuno da far giocare). Marc Gasol ha già scritto la parola “fine” alla sua stagione e spesso si è arrivati a giocare col quintetto completamente rivoluzionato causa indisponibilità dei “titolari”.
I Grizzlies hanno tenuto botta (soprattutto nel primo periodo), hanno perso quota (sono passati dal quinto al settimo posto), ma non sono precipitati, non hanno mollato e sono riusciti a garantirsi per il sesto anno consecutivo un posto ai Playoff. Provandole davvero tutte, arrivando addirittura ad adottare una “nuova” arma offensiva: Tony Allen! (si, a mali estremi, estremi rimedi) I vecchietti in nero argento invece sembrano ancora avere energie e forza per affrontare un’altra postseason.
Non sembrano sazi, con Duncan a fare da chioccia, Parker ad alzare il livello di intensità con l’arrivo della primavera e Ginobili, partito alla grande, bloccato da un infortunio per un mese e adesso alla ricerca della condizione migliore. Un turno di Playoff che non sembra lasciare molto spazio ai colpi di scena: una squadra rodata, piena zeppa di campioni (Leonard su tutti, ormai LA stella su cui si poggia la complessa struttura texana), che sa vincere e che ha ancora voglia di farlo. Dall’altra parte una squadra che in stagione ha sempre perso contro gli Spurs e in generale ad accoppiarsi contro quel tipo di Gioco (chi non soffrirebbe, direte voi).
In più il roster claudicante, un’infermeria piena, il numero di opzioni ridotte al lumicino. “Una vittima sacrificale” (autocit). Ma si sa, i pronostici non sono fatti per essere totalmente smentiti?
di Stefano Salerno