Sono la franchigia più vincente da quando esiste la NBA, quella che ha in dote la miglior striscia di successi nelle Finals (8 in fila), il professor James Naismith ha deliziato gli alunni dello Springfield College (Massachusetts) inventando il gioco del basket-ball a 150 Km da Boston, il titolo di MVP delle Finals è dedicato ad uno dei più grandi interpreti di questo gioco che ha indossato per una vita il numero 6 dei Celtics. Si scrive storia della pallacanestro, ma si legge Boston Celtics.
NBA Finals: 21
Vittorie: 17
Antefatti
Non facile descrivere a parole questi 66 secondi in cui una parte, l’ultima, della storia dei Celtics chiude la sua epopea in un clima surreale con l’American Airlines Arena a dedicare una meritatissima standing ovation a questi tre fenomeni in procinto di cambiare strada. Già perché il signor Danny Ainge ha optato per la ricostruzione dopo un periodo culminato con il titolo del 2008 e le sanguinose Finals del 2010 perse a discapito degli eterni rivali. Adesso entrambe le franchigie stanno vivendo un periodo di assestamento all’interno dei nuovi rapporti di forza creatisi nella lega, ma se in casa Lakers ci è voluto parecchio tempo per capire quale strada intraprendere, dall’altra parte degli USA il management bianco verde prima ha capito quale fosse la situazione e dopo si è mosso di conseguenza. La gara 7 contro gli Heat alla fine ha sancito la fine dell’avventura a Boston soltanto per Ray Allen, il quale, ironia della sorte, meno di un mese dopo si sarebbe accordato proprio con Pat Riley per trasferirsi in Florida. Pierce e Garnett si sono concessi un altro giro di giostra ma la stagione 12/13 non si rivelerà una bella annata: il crociato anteriore del ginocchio destro di Rondo fa crack a Gennaio e per il resto della stagione non scenderà più in campo, la squadra si qualifica ai playoff con il settimo posto ad Est e al primo turno i New York Knicks chiudono la serie al TD Garden il 3 Maggio. La data è importante perché questa volta è davvero la fine.
Doc Rivers viene sedotto dalla prospettiva di vincere l’anello alla guida di una delle franchigie più disastrate dello sport americano (vero Avvocato?) e a quel punto il GM Danny Ainge annuncia a Pierce a Garnett la sua volontà di ripartire con un allenatore giovane e un gruppo di giocatori ancora lontani dal proscenio della NBA. Sia The Truth che KG però propendono per il no, troppa la voglia di tornare a vincere. Il giorno del Draft 2013 sono entrambi scambiati ai Brooklyn Nets, freschi di nuovo proprietario sul quale bisognerebbe aprire un capitolo a parte. Quella notte, oltre a fare incetta di scelte future, Ainge mette le mani su Kelly Olynik, lungo canadese dalla mano morbida e primo tassello del puzzle. Qualche giorno dopo arriva anche l’ufficialità del nuovo allenatore; viene dall’Indiana e sul suo curriculum spiccano le due finali di NCAA perse alla guida dei Butler Buldogs (non esattamente Kentucky) di cui la prima si sarebbe trasformata in epocale vittoria se solo Hayward avesse dosato meglio quel fade-away. Fatto sta che i dubbi sul passare da un vincente nato come Doc Rivers ad un trentasettenne che in tenuta da gara potrebbe benissimo passare per un giocatore sono parecchi e le male lingue credono che, con Rondo ancora infortunato, i Celtics cambieranno ben presto idea su Brad Stevens.
Forte di un contratto da 22 milioni di dollari per sei anni il nuovo head coach comincia a lavorare su una squadra che ha in Jeff Green la sua stella (Rondo infortunato fino a Gennaio) e con tutto il rispetto convincere la tifoseria del Massachusetts a sostituire Pierce e Garnett con il buon Green non è affare da poco. Eppure Brad Stevens è abituato a lavorare sotto traccia con un gruppo di underdogs, le sfide lo stimolano e la prima cosa che vuole cambiare è il ritmo imposto in campo dai suoi ragazzi. In ogni set offensivo di Stevens ci sono una serie di blocchi lontano dalla palla per liberare un tiratore, per permettere un taglio a canestro o semplicemente per ritardare le rotazioni difensive. La palla deve sempre stare in movimento. Il risultato porta ad un Pace migliora rispetto all’ultima stagione di Doc Rivers e ad un Offensive Rating praticamente immutato nonostante l’assenza di terminali offensivi di livello oltre a Green. La bravura di Stevens sta nell’intuire prima di tutti che la lega si sta orientando verso un gioco sempre più veloce che fa delle transizioni offensive e del tiro pesante i suoi capisaldi. I Celtics tentano 3 tiri in più a partita da oltre l’arco e nonostante la franchigia avesse messo in atto la sempiterna arte del tanking, vendendo anche a Gennaio un Jordan Crawford in uno stato di forma invidiabile, le vittorie alla fine sono 25 il che vuol dire dodicesimo posto ad Est e sesta scelta al draft. Il processo di ricostruzione procede secondo i piani e adesso restano da sistemare due fattori decisivi e in qualche modo correlati per plasmare i nuovi Celtics: la difesa e Rajon Rondo.
Per quanto riguarda il nativo di Louisville la dirigenza aveva optato per tenerlo e renderlo parte del nuovo progetto, tuttavia, nonostante il gioco di Stevens e le mirabolanti doti da passatore del funambolico playmaker, la squadra è ventiduesima nella lega per assist a partita. Un dato che non piace allo staff dei Celtics e che mette in dubbio la validità di Rondo in un sistema dove non conta soltanto essere geniali ma bisogna anche saper interpretare le situazioni e agire di conseguenza. Il discorso naturalmente vale su entrambe le metà campo e l’impegno profuso da Rondo in difesa non è mai sembrato all’altezza di un potenziale che unito a quel corpo potrebbero farne una delle point-guard più arcigne della NBA. Per ora non è così e i Celtics hanno subito 107,7 punti ogni 100 possessi, un peggioramento di più di 4 punti rispetto alla stagione ’12/’13. Sicuramente l’assenza di un difensore eccelso come Garnett si è fatta sentire ma i problemi più gravi derivano dalle transizioni difensive dove la squadra di coach Stevens non riesce a contenere le folate avversarie.
Inoltre la squadra soffre molto quando deve cambiare sui pick and roll ed ecco spiegata una delle motivazioni che hanno portato alla scelta di Marcus Smart al Draft 2014. Il prodotto di Oklahoma State è reduce da una stagione fatta di alti e bassi legati soprattutto alla sua personalità quanto meno esuberante che lo porta anche a scene di questo tipo. Sul parquet invece Boston si assicura un esterno di 193 cm x 100 kg in grado di andare al ferro con estrema facilità ma soprattutto di cambiare sulla maggior parte dei blocchi ed essere un mastino quando si tratta di difendere. Adesso però ci sarebbe da risolvere il problema Rajon Rondo e il fatto che la prima scelta dei Celtics è una point-guard. Dopo quella notte appare evidente che il futuro della franchigia sarà senza il numero 9 anche se ci vorrà fino a Dicembre per vedere lo scambio con i Dallas Mavericks prendere corpo. E dopo aver scambiato l’ultimo reduce del titolo 2008 Danny Ainge comincia ad imbastire una girandola di trade che portano a Boston diversi asset importanti per il futuro, qualche milione di dollari che comunque fa sempre comodo e il tassello decisivo per puntare ai playoff: Isaiah Thomas. Dopo la pausa per l’All Star Game la squadra mette insieme 20 W a fronte di appena 11 sconfitte, numeri che valgono, vista anche il tasso tecnico meno elevato nella Eastern Conference, l’accesso alla postseason dopo appena un anno di digiuno. La squadra di Stevens adesso si diverte e fa divertire; quinta nella lega per Pace (95,8), ha migliorato esponenzialmente la capacità di andare al tiro producendo 4,5 assist in più rispetto alla passata stagione e diventando la quarta squadra per assistenze per game e la prima per tentativi dal campo.
Inoltre anche la fase difensiva è migliorato notevolmente, il Def Rtg è sceso a 104,5 (dodicesimi nella lega) e Stevens si ritrova una squadra in grado di difendere agevolmente in situazioni di 1vs1 e ben coperta da Zeller, Olynik e Sullinger visibilmente migliorati nella protezione del ferro.
Il salto di qualità definitivo arriva durante la stagione appena conclusa con i Celtics ormai tornati alla ribalta della Eastern Conference guidati da un Pace che continua ad incrementare e ad oggi è il quarto della lega, Thomas e Bradley sono due discreti attaccanti ma la vera forza nella metà campo offensiva deriva dalla panchina, guidata da Evan Turner, che è l’ottava per punti (prima ad est) e la terza per assist. La vera metamorfosi però è ancora una volta in difesa, con i Celtics che subiscono 103,6 punti ogni 100 possessi, meglio di loro fanno soltanto Spurs, Hawks e Pacers. La chiave di tutto sta in un collettivo unito, disposto al sacrificio e capace di mascherare i difetti al fine di far emergere i pregi. La squadra non può essere considerata totalmente votata alla small ball ma gente come Sullinger, Olynik e Jerebko aprono il campo magnificamente, Amir Jhonson si è integrato molto bene e grazie alla sua fisicità la squadra subisce molto meno nei pressi del ferro. Boston chiude quinta ad est e combatte su ogni pallone al primo turno dei playoff contro Atlanta, prima di soccombere 4-2 sotto i colpi di Teague e compagni.
Situazione attuale
In una serie combattutissima contro i più esperti Atlanta Hawks i ragazzi di coach Stevens hanno dovuto alzare bandiera bianca privi di due tasselli fondamentali come Bradley e Olynik. Adesso però bisogna concentrarsi sul draft e sulla free-agency dove scenari possibili sono molteplici. Il maxi-scambio che ha portato Garnett, Pierce e Terry a Brooklyn lascia ancora diversi strascichi decisamente positivi per lo spazio di manovra concesso a Danny Ainge. Quest’ultimo infatti avrà a disposizione ben tre scelte nel primo giro del prossimo draft di cui una che oscilla tra la terza e la quinta. I nomi più intriganti da quelle parti sono Dragan Bender, diciottenne croato di 2,13 m in grado di tirare con il 40% da 3 in maglia Maccabi Tel Aviv, e il senior Buddy Hield from Oklahoma di cui tanto si è parlato e probabilmente tanto ancora se ne parlerà. Le altre due scelte sono una a metà del primo giro, gentile concessione dei Mavs nell’affare Rondo, e l’altra (che poi sarebbe quella originale dei Celtics) intorno alla 25. Senza contare che poi a disposizione di Ainge ci sarebbero altre due chiamate ad inizio secondo giro e altre tre nella seconda parte, per un totale di OTTO possibili nuovi giocatori! Più probabile che l’astuto GM dei Celtics decida di imbastire qualche scambio usando questa marea di asset a disposizione. Secondo le previsioni lo spazio salariale dei Celtics per la stagione 2016/17 dovrebbe galleggiare intorno ai 50 milioni di dollari, abbastanza per firmare almeno due grandi giocatori e il nome più appetibile è ovviamente Kevin Durant. L’ala di OKC vuole assolutamente vincere il titolo e le franchigie interessate al fuoriclasse di Washington sono parecchie quindi, nonostante al Garden lo aspettino a braccia aperte, gli occhi di Ainge potrebbero ben presto guardare altrove. La priorità sembra essere un big man: il primo nome sulla lista è Al Horford, in cerca di un max contract anche lontano da Atlanta il prodotto di Florida ha dimostrato negli ultimi due anni di saper abbinare spiccate doti di rim-protector a letture eccelse in attacco, oltre ad aver sviluppato una discreta meccanica di tiro come Brad Stevens ha potuto suo malgrado ammirare.
Le alternative sono Whiteside (anche se gli Heat faranno di tutto per trattenerlo) e Cousins con il secondo che andrebbe coinvolto in una trade visto che ancora per due anni il contratto lo lega ai Kings, anche se la suggestione più grande porta al ex superman Dwight Howard. Tuttavia i dubbi sul centro di Houston sono molteplici non ultima la sua tenuta fisica decisamente altalenante in questi ultimi due anni. L’idea è che uno di questi nomi alla fine sbarcherà in Massachusetts, ci sarà da vedere se lo farà da free-agent o da giocatore scambiato. Risolta la questione del centro bisognerà occuparsi della grana Evan Turner, unrestricted free-agent ancora incerto sul futuro nonostante le parole al miele spese da Brad Stevens nei confronti del suo sesto uomo. Diverso il discorso per Sullinger e Zeller che il management non sembra voler mantenere a roster; la regular season di Sullinger è stata decisamente positiva, lui è un ottimo uomo spogliatoio, ma nella serie contro Atlanta è scomparso dai radar e se Boston vuole tornare ad essere una contender probabilmente si priverà del prodotto di Ohio State. Gli altri due nomi spesso accostati ai Celtics sono quelli di Jimmy Butler e Kent Bazemore. In questi playoff Bazemore sta dimostrando una volta tanto i suoi incredibili progressi in Georgia e ai Celtics farebbe decisamente comodo un giocatore in grado di giocare da 2 e da 3 con buone doti difensive e margini di miglioramento offensivi ancora notevoli. Per Butler invece sembrava già tutto fatto a Febbraio, quando Danny Ainge ha deciso di non privarsi di Crowder (14esimo per palle rubate e appena 1,1 palle perse a partita) e rimandare il discorso a Luglio. Adesso però la resistenza dei Bulls sembra essere diventata più esasperata nei confronti del numero 21 tanto da rifiutare qualsiasi trattativa che non comprenda una top 3 pick e un uomo da inserire subito in quintetto. In ogni caso a bussare alla porta di Gar Forman (GM dei tori) saranno in parecchi da Luglio in poi, dal momento che il ragazzo, nel giro di due anni, si è trasformato da eccelso difensore a all-around in grado di sfornare prestazioni del genere.
Tornare al livello dei big three, è questo l’obiettivo nemmeno troppo celato posto dalla dirigenza dei Celtics. Per farlo servirà ancora tempo eppure i presupposti ci sono e lasciano trapelare un certo ottimismo negli uffici del TD Garden. Sicuramente l’imminente offseason servirà a capire se Boston è tornata ad essere un lido attraente per le superstar alla caccia di un contratto e il lavoro di Danny Ainge verterà principalmente sul “vendere” la sua squadra come futuribile ma allo stesso tempo pronta a giocare per il trono dell’Est. Effettivamente l’età media dei Celtics è di 24,5 anni (quinta più giovane della lega) ma allo stesso tempo gente come Thomas, Bradley, Turner hanno già passato almeno 4 anni nella lega quindi sono già in grado di fornire un contributo tangibile e immediato. L’aggiunta di uno tra Cousins e Horford, sotto la guida di un allenatore mite ma allo stesso tempo autoritario quando la situazione lo richiede, garantirebbe quell’esperienza mancante per raggiungere il salto di qualità che proietterebbe Boston di diritto tra le prime quattro squadre ad Est. Se dal draft dovesse uscire un giocatore NBA ready (Hield chi?), se alla fine uno dei grandi nomi dovesse sbarcare a Boston e se Turner continuasse ad essere uno dei “panchinari” più decisivi della lega, allora l’assalto alle semifinali di Conference diventerebbe una realtà già dal prossimo anno. In base a come si presenteranno le altre squadre potrebbe risultare credibile anche una finale contro i Cavs ma ora come ora non ci sentiamo di spingerci troppo oltre con i pronostici, non per la prossima stagione almeno. Infatti nel 2017/18 il salary cap subirà un ulteriore impennata verso l’alto e nelle mani di Boston ci sarebbe un’altra scelta al primo giro from Brooklyn che, vista la situazione attuale della franchigia newyorkese, rischia di essere piuttosto alta. Danny Ainge potrebbe anche decidere di sopportare un anno di transizione mettendo a rischio anche i playoff per creare ancora più spazio nel payroll dei Celtics. A quel punto si ritroverebbe nel estate del 2017 con una squadra più matura di due anni, un allenatore più esperto di due anni e una valanga di dollari da investire in una free-agency che tra gli altri annovera la scadenza dei contratti di Curry e Westbrook. Il contratto di Brad Stevens chiama per altri tre anni, basterà questo lasso di tempo per creare una nuova vecchia contendere in NBA?