“Oh, there is nothing like New York in the spring” è la frase pronunciata da una signora anziana mentre cammina contenta sul marciapiede prima di essere scaraventata tra i rifiuti da un’ altra signora evidentemente meno euforica di lei, il tutto facente parte di una serie chiamata 30Rock andata in onda per 7 anni sulla NBC. Effettivamente in primavera la Grande Mela acquisisce quella polpa succosa che la rende l’epicentro dell’universo terrestre in tantissimi campi artistici, culturali, musicali, sportivi. Già ma in primavera al Madison Square Garden non ci si gioca più da parecchio.
NBA Finals: 8
Vittorie: 2
Antefatti
Precisamente non ci si gioca più dal 16 Maggio 2013, quando i Knicks vincono gara 5 contro Indiana e si apprestano a giocare una grande gara 6 fuori casa senza però uscirne vincitori. Era l’anno in cui tutti i pezzi sembravano essere andati al loro posto: Chandler aveva chiuso la stagione passata con il titolo di DPY, J.R. Smith era il sesto uomo dell’anno uscente e convertiva gli scarichi in oro da oltre l’arco, Kidd e Stoudemire riuscivano ancora a tirare fuori delle partite solide nonostante la veneranda età, il tutto aspettando che ‘Melo mettesse i punti necessari a vincere la partita. In regular season avevano chiuso secondi ad Est, alle spalle dei Miami Heat, con un bottino di 54 vittorie, il miglior risultato degli ultimi quindici anni. Peccato però che quando arrivano i playoff i numeri contano fino a un certo punto e se al centro del ring Anthony e George chiusero la serie diciamo alla pari, i Pacers di Frank Vogel trovarono energie supplementari da gente come Hill, Stephenson e Hibbert che servirono prima a ribaltare il fattore campo e poi a chiudere la contesa tra le mura amiche. Uscire in una semifinale di conference è molto rischioso perché non fornisce una dimensione unanime alla riuscita o meno del progetto e così a New York bisognava capire se confermare il nucleo di giocatori in grado di vincere 54 partite oppure attuare una mini-rivoluzione per aggiungere nuova linfa al carburante che avrebbe dovuto portare Anthony alle Finals. In questi casi l’errore di valutazione è dietro l’angolo e infatti il GM Steve Mills fa un bella presa al draft chiamando Tim Hardaway Jr. con la 24, poi però deraglia completamente e invece di pensare ad un alleggerimento del libro paga, tagliando qualche ramo ormai da troppo tempo appeso al grande albero della NBA (i 21 milioni di dollari di Stoudemire ad esempio), scambia un paio di seconde scelte e una prima scelta al draft 2016 per mettere le mani sul Mago.
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Senza esplorare l’aspetto tecnico di un giocatore troppo spesso bersagliato dalla sfortuna era evidente già da allora che il gomito sinistro di Bargnani lo costringeva a giocare la metà delle partite e di quelle rendeva la metà del suo reale valore. In poche parole non un giocatore da 11 milioni e sicuramente non un uomo con le spalle abbastanza larghe per un contesto che richiede abnegazione e orecchie da mercante verso un opinione pubblica diciamo severa che si tratti di Manhattan o di Brooklyn. Oltre al lungo italiano arrivano giocatori tecnicamente poco affidabili (Cole Aldrich, Beno Udrih, Toure Murry) e altri decisamente oltre il proprio prime (Metta World Peace, Kenyon Martin). Insomma Mike Woodson può continuare a sviluppare la sua pallacanestro fatta di isolamenti, ritmi bassi e tiro da 3. Peccato che la pallacanestro tende ad evolversi e chiamare un isolamento per il 16% delle giocate in un partita diventerà ben presto un dato anacronistico anche se in squadra c’è uno come Anthony. Inoltre il declino del supporting cast è fin troppo evidente con Smith che si prende 2,7 tiri in meno a partita sottraendo alla causa più di 4 punti per game, Chandler incapace di confermarsi ai livelli del 2012 e Felton in balia di se stesso alla ricerca di una dimensione che rimane a metà tra il tiratore e il playmaker puro. La squadra registra un Pace di 90,3 (terzo peggiore della lega) e concede 109,1 punti ogni 100 possessi dato che diminuisce a 106 quando c’è Chandler ma che si attesta a 108 con ‘Melo in campo, troppo per una squadra da playoff. Infatti la stagione dei Knicks si conclude al nono posto della Eastern Conference con l’unica nota positiva rappresentata da Tim Hardaway autore di un ottima stagione d’esordio e inserito nel All-Rookie First Team. Che ci sia aria di cambiamento nella Big Apple sia era intuito a Marzo quando il Maestro Zen aveva accettato un contratto da 60 milioni di dollari per cinque anni nelle vesti di presidente plenipotenziario di tutto ciò che riguardasse la sfera cestistica dei New York Knicks.
A fine stagione licenziò tutti i membri dello staff di Mike Woodson (allenatore compreso ovvio) al fine di creare l’ambiente perfetto dove tornare a profetizzare la Triangle Offense in tutte le sue sfaccettature. Per fare ciò la prima cosa da fare è mettere alla guida della squadra un uomo che conosca la sua filosofiaa, la margherita viene sfogliata fino ad arrivare a due nomi: Derek Fisher e Steve Kerr. Mi sembra ovvio che con il senno di poi qualcosa non sia andato per il verso giusto, forse più semplicemente Kerr preferì ripartire da una franchigia già pronta piuttosto che impelagarsi in un contesto ancora in fase embrionale, resta il fatto che la scelta finale ricadde su Fisher. L’obiettivo di Phil Jackson è quello di ripartire da zero, senza zavorre contrattuali e personalità ingombranti all’interno dello spogliatoio. I primi a fare le valigie sono Raymond Felton e Tyson Chandler per i quali lascio a chi legge l’onere di metterli in una delle due categorie. A fare il percorso inverso da Dallas sono Calderon, Dalembert, Ellington e Larkin i quali pesano relativamente sul monte ingaggi ma risulta anche difficile credere che questi nomi possano portare un contributo tangibile alla causa. Con Phil Jackson a supervisionare il tutto la risalita dei Knicks viene considerata quasi una formalità, specialmente dopo che era riuscito a convincere Carmelo a rimanere, riempiendolo di milioni e di promesse sul futuro. Tuttavia il processo che porta a giocare la Triple Post Offense non è di natura esclusivamente tecnica ma racchiude anche una componente empatica tra i vari interpreti e soprattutto un lavoro sulle basi del gioco che lo stesso Jackson reputa uno dei motivi per il quale questo tipo di attacco sia “morto” negli ultimi anni. Con queste premesse è difficile importare un determinato stile di gioca tramite un telefono senza fili che parte da Jackson e arriva ai giocatori dopo essere passato per Fisher e il suo staff. Il risultato è ritrovarsi una squadra con il peggior attacco della lega (91,9 punti a partita) che ristagna nella metà campo avversaria senza creare situazioni di vantaggio.
A Natale il record recita un impietoso 5-26 e il progetto di riportare i Knicks verso le alte sfere della lega in tempi relativamente brevi si trasforma in un rebuilding senza data di scadenza. A inizio 2015 Smith e Shumpert si uniscono ai Cavaliers alla caccia dell’anello e le contropartite sono giocatori di poco valore in un’ operazione leggibile esclusivamente in ottica lottery e di alleggerimento del salary cap. A quel punto il tanking diventa un dato di fatto causato da un rilassamento generale e dall’intervento al ginocchio di ‘Melo post All-Star Game che gli farà chiudere la stagione con appena 40 partite all’attivo. L’edizione ’14/’15 dei New York Knicks contribuisce alla storia della franchigia nel senso più negativo del termine dal momento che mai la franchigia aveva perso più di 60 partite in una singola stagione, dato da riaggiornare a 65. Trovare qualcosa da cui ripartire è un compito assai arduo e Coach Zen decide di lasciare la squadra in mano al suo fido luogotenente sperando in un impennata negli indici di gradimento dopo la discutibile accoglienza riservata a Kristaps Porzingis, scelta numero 4 al draft 2015. Quella stessa notte Tim Hardaway Jr. viene scambiato agli Hawks per una scelta poi tramutatasi in Jerian Grant e qui la logica della trade è abbastanza latente e riconducibile al fatto che troppo spesso Hardaway trascurava beatamente la fase difensiva (il DefRtg con lui in campo schizzava a 114), anche se la bravura di un allenatore dovrebbe stare anche nel migliorare le lacune dei giocatori. La campagna di rafforzamento si divide tra la volontà di Anthony di arrivare il prima possibile a giocarsi un anello (visto il lento ma inesorabile incedere del tempo) e la creazione di un gruppo giovane e talentuoso in grado di dare i suoi frutti nel medio-lungo periodo. Robin Lopez firma un quadriennale da 54 milioni di dollari e insieme a lui arrivano Afflalo, O’Quinn, Derrick Williams, Kevin Seraphin e addirittura Vujacic nella speranza che un veterano della Triangle Offense possa somministrarne in maniera ottimale i concetti base.
Gli uomini di coach Fisher partono piuttosto bene ma partita dopo partita sia gli interpreti, sia gli avversari scovano più di qualche differenza tra il set offensivo in grado di sbaragliare ogni tipo di difesa tra gli anni ’90 e i primi anni 2000 e la filosofia proposta dall’ex playmaker dei Lakers. Evidentemente anche Derek Fisher durante l’offseason non è riuscito a far combaciare i precetti del suo maestro con un gruppo piuttosto scevro di talento puro e una pallacanestro giocata a ritmi sempre più elevati. Rispetto al primo anno del regno Jackson il Pace sale a 93,4, la squadra tenta due tiri da 3 in più a partita, l’Offensive Rating sale da 99,9 a 104,6 e con esso salgono anche le vittorie, dal momento che il 20 Gennaio il record è un onesto 22-22. Da lì non è facilissimo ricostruire i fatti: sicuramente trovarsi in mezzo ad un duello rusticano per difendere l’onore della signorina Gloria Govan non deve aver fatto piacere al Front Office newyorkese, così come non deve aver fatto piacere sentire il loro allenatore parlare di una squadra in crescita ma ancora acerba per un posto ai playoff (quando invece la classifica diceva che i Knicks potevano giocarsela tranquillamente). La motivazione più credibile però sembra essere la volontà di Phil Jackson di vedere la squadra muoversi secondo i dettami della Triangle Offense, dettami da cui Fisher stava sempre di più prendendo le distanze. Fatto sta che l’8 Febbraio 2016 finisce l’avventura di coach Fisher ai New York Knicks. Al suo posto viene promosso Kurt Rambis il quale conclude la regular season con il record di 32-50 lasciando più di qualche dubbio sul prossimo inquilino di una delle panchine più roventi di tutta l’NBA.
Situazione attuale
L’obiettivo numero uno dei Knicks è mettere ordine dove fino ad ora c’è stato soltanto caos. Dal momento che tutte le decisioni passano da Phil Jackson quest’ultimo deve capire se il suo modo di intendere la pallacanestro può essere ancora attuabile da una persona che non sia lui. Qualora tale esame di coscienza risultasse negativo le interferenze nell’aspetto tecnico della squadra dovranno essere ridotte al minimo per evitare di destabilizzare ulteriormente un ambiente scopertosi fragile nel giro di un paio di anni. Il nome che rimbalza più insistentemente in questi ultimi giorni e che sembrerebbe a un passo dai blu-arancio è quello di Jeff Hornacek che a primo acchito con il triangolo c’entra meno di zero. Bisogna presumere quindi che lo Zen Master abbia deciso di mettere da parte il suo mantra cestistico per sviluppare una pallacanestro fatta di transizione (la passata stagione i Phoenix Suns segnavano 18,2 punti in transizione per game, terzi nella lega) e ritmi alti. Dovesse arrivare Hornacek potremmo assistere ad un quintetto veramente stuzzicante con Porzingis da 5, ‘Melo da 4 e gli altri ruoli ancora da definire.
La firma di Tony Wroten e la presenza di Calderon sembrano spostare le mire dei Knicks lontano da una point guard (Jennings andrebbe a New York anche a piedi), Afflalo eserciterà la player option da 8 milioni di dollari esclusivamente se avrà il posto garantito in quintetto mentre Derrick Williams sembra orientato ad esercitarla in ogni caso. Il tutto ci porta ad una moderata immobilità da parte dei Knicks rispetto alla frenesia dimostrata da altre franchigie. Gente come Durant o DeRozan sembra molto lontana dalla Grande Mela, si era parlato di un colloquio tra Jackson e Noah ma con Hornacek sul pino il francese potrebbe non trovare tanto spazio. L’unica soluzione per aggiungere un All-Star a roster sarebbe quella di liberarsi del proprio; Anthony ha dichiarato in tempi non sospetti che il suo unico obiettivo è vincere senza specificare la jersey con la quale lo farà. Tuttavia il contratto del prodotto di Syracuse chiama per 78 milioni di dollari per altri tre anni e il fatto che lo stesso giocatore si sia esposto sulla no-trade clause spinge verso una riconferma del numero 7.
Prospettive Future
Non sembra essere dei più rosei il futuro all’ombra dell’Empire State Building. E sarebbe ancora più cupo se Kristaps Porzingis non avesse giocato una stagione da 14,3 punti e 7,3 rimbalzi ad allacciata di scarpa, non sufficiente ad aggiudicarsi il premio di Rookie Of The Year soltanto perché chi lo ha vinto viene dal futuro. I Knicks non prenderanno parte a questo draft per via delle trade che hanno portato Bargnani e Anthony al Madison Square Garden e anche nel prossimo avranno a disposizione una sola chiamata (salvo trade che coinvolgano scelte). Insomma il Front Office deve cominciare a ragionare lucidamente e creare i presupposti affinché la franchigia torni ad essere una contender ad Est nel giro di tre-quattro anni, il tutto cercando di coinvolgere Anthony nell’attuazione del progetto. La stagione 2017/18 sarà ancora più ghiotta per chi vorrà esplorare la free-agency e da lì Phil Jackson dovrà cominciare a far leva sulle sue proverbiali capacità persuasive e sul suo pedigree vincente. Intanto l’obiettivo primario rimane la scelta di una guida tecnica in grado di dare stabilità e carisma all’interno dello spogliatoio. I discorsi sulla Triangle Offense saranno gioco forza abbandonati se i risultati continuassero ad essere questi e anche l’intransigente Maestro Zen troverà sollazzo nel rivedere vecchie cassette dei Bulls o dei Lakers, esponenti di un epoca passata che difficilmente tornerà di moda in questo decennio. Qualora il progetto dovesse naufragare e i mal di pancia di ‘Melo si facessero più insistenti non ci sarà altra soluzione che liberarsene e guardarlo formare quell’utopico quintetto nel quale il quinto giocatore potrebbe essere tranquillamente Duffy Duck in versione Space Jam. Ammesso che poi il quinto giocatore non sia Porzingis e i colori della squadra non siano il blu e l’arancione. In fondo sarebbe un bel regalo, impacchettato dai ragazzi terribili del 2003 per salutare la scena NBA con un ultima folle stagione nella Grande Mela, arrivando fino in fondo e testimoniando che si, non c’è niente come New York in primavera.